Roma, 24/03/2025 (II mandato) Presidente: prima di procedere con i vostri interventi, vorrei ringraziare il Ministro dell’agricoltura per l’invito a essere presente a questo incontro e salutare le autorità e tutti i presenti. Vorrei cogliere questa occasione pubblica, che apre la settimana, per ribadire quanto gli italiani siano lieti del ritorno del Papa - di Francesco - nella sua casa in Vaticano, rinnovandogli gli auguri di piena e veloce ripresa.
Adesso ragazzi, a voi. Domanda: Buongiorno, signor Presidente. Ricorre domani il sessantasettesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Finita la Seconda guerra mondiale, era da poco cominciata in Europa una nuova storia di libertà, di democrazia, di coesistenza pacifica. Grandi ideali e grandi speranze ispirarono le scelte di allora. Lei ritiene che le generazioni successive siano stati all’altezza di questi impegni? Cosa è stato realizzato e cosa è stato invece tradito? Serve ancora l’Europa per affrontarle e confermare i nostri valori? Presidente: domani ricorrerà questo anniversario, e sarà il modo per riflettere che quello è stato un punto di partenza, storicamente di grande rilievo, ma anche un punto di arrivo. Lo abbiamo un po’ visto, poc’anzi, nel filmato. Forse è bene, ragazzi, riflettere sul contesto in cui si muoveva questo avvio dell’integrazione europea. Nel 1945, l’Europa usciva da una guerra devastante, che si inseriva nel solco di secoli di guerre sanguinose fra le nazioni europee. Un numero immane di ragazzi vostri coetanei ha perso la vita sui fronti della Prima e Seconda guerra mondiale. Vi erano state brutali dittature. Si era vissuto l’abisso dell’Olocausto. In quel clima di tragedia, di condizioni drammatiche, di fame che incombeva sull’Europa, di disperazione quasi, alcuni statisti lungimiranti e coraggiosi hanno compreso che occorreva capovolgere il modo di rapporto tra i Paesi europei. Hanno pensato che fosse il momento di compiere davvero una rivoluzione di pensiero. Anziché contrapporsi, mettere insieme, in comune, il futuro dei popoli europei. Questo è stato, tra il ‘45 e il ‘49–‘50, il tentativo che è stato compiuto da statisti - ripeto - coraggiosi e lungimiranti, da movimenti di pensiero, di proposte che li hanno accompagnati. Ed è questo che ha provocato l’avvio di questo fenomeno. Quindi per questo è anche un punto di arrivo il Trattato di Roma del ’57. Infatti il primo passo fu, come abbiamo visto nel filmato, nel ‘51, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, perché nel ‘50 Robert Schuman, Ministro degli esteri francese, propose al suo Paese, all’Italia, alla Germania, al Belgio, all’Olanda, al Lussemburgo, di mettere insieme carbone e acciaio. Oggi sembrano cose marginali, ma allora il carbone era la principale fonte di energia. E l’acciaio era l’elemento base per gli armamenti più pesanti. È come se oggi si dicesse: ‘mettiamo insieme petrolio, gas e armi nucleari’. Proposta davvero rivoluzionaria rispetto al pregresso dell’Europa. E fu accolta. E in pochi mesi si stipulò, nel ‘51, appunto, il Trattato della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Vi fu una seconda tappa a cui ci si mise subito al lavoro. Appena fatta quell’organizzazione, ci si mise al lavoro per una comunità di difesa dell’Europa. Con un trattato che metteva insieme i sei Paesi per la difesa comune dell’Europa. I Governi firmarono quel trattato, ma alla fine il Parlamento francese non lo accolse e quel tentativo sfumò. Ne paghiamo ancora le conseguenze. Sembrava che il fenomeno dell’integrazione europea fosse impantanato, esaurito, sfumasse, si limitasse al carbone e all’acciaio. Invece, come abbiamo visto, subito dopo, nel ‘55, un anno dopo quella bocciatura, nel ‘55 a Messina, una Conferenza dei sei Paesi ha rilanciato il processo di integrazione. E siamo arrivati al Trattato di Roma del ’57. Partendo da un altro punto di comunanza di interessi: il mercato, i commerci. E qui è nato il Mercato Comune europeo. Nel corso del tempo il Mercato comune - questa unificazione dei mercati di commercio - si è ampliato ad altre collaborazioni in Europa. E si è arrivati allora, mettendo insieme le economie dei sei Paesi, alla Comunità Economica Europea. Si è proceduto ancora. Integrando altri settori, altre attività, altri ambiti, si è arrivati a quella che oggi è l’Unione europea, che nel frattempo si era ampliata, allargata. I sei Paesi originari sono adesso ventisette, come sapete. Altri sette/otto hanno chiesto di farne parte. Entreranno, appena raggiunti gli standard per entrare nell’Unione. Alcuni di questi sono già pronti per l’ingresso. Questo è stato un grande fenomeno storico, cui si è aggiunta poi la moneta comune: l’Euro. Senza quello strumento i risparmi dei cittadini europei sarebbero stati travolti dalle crisi finanziarie drammatiche dell’inizio di questo millennio. Terremoti finanziari che hanno travolto condizioni finanziarie in tutto il mondo. Ma l’Europa ha resistito per la moneta comune, che è stata un riparo. È quindi un processo che ha raggiunto traguardi che non erano immaginabili al momento della firma. Lo sviluppo e il benessere conseguiti dai Paesi europei era impensabile nel ‘57. Così come una quantità di risultati di sicurezza sociale, di previdenza, di scuola e sanità aperti a tutti. Tutti ambiti in cui l’integrazione ha agevolato il percorso dei Paesi membri. E che vanno costantemente monitorati perché, nel mutare delle condizioni, rimangano sempre efficienti e completi. Quindi c’è stato un grande progredire dell’integrazione. Non ci si è limitati a quel primo passo. Altri ne hanno fatto seguito, e faranno seguito. Anche per questo, per questo grande successo storico, questo modello europeo viene imitato in altri continenti. In America Latina, nel Sud America, alcuni Paesi - cui altri si sono aggiunti da qualche anno - hanno iniziato con lo stesso approccio con cui l’Europa ha cominciato: mettere insieme i mercati. È il Mercosur, in America meridionale. In Asia, l’ASEAN raccoglie alcuni Paesi, tra cui l’Indonesia, le Filippine, Singapore, Vietnam, che hanno un’apertura di mercati fra di loro, ispirandosi a quell’esperienza europea. Anche in Africa vi sono iniziative simili. Naturalmente ben diverse come contenuto, come modalità, come è ovvio, per ciascun continente. Non soltanto con l’Unione africana, ma con il mettersi in comune, con aperture di mercato in grandi Regioni, da parte dei Paesi che ne fanno parte. Per esempio tra i Paesi del Golfo di Guinea. Questa imitazione, questo modello imitato nel mondo, dimostra quanto sia stata straordinariamente di successo questa esperienza. Naturalmente, ragazzi, non è perfetta. Contiene errori, contraddizioni, lacune da colmare. Per esempio, ha bisogno di processi decisionali più veloci. I problemi di oggi sono prevalentemente globali, ormai. Pensiamo al clima; pensiamo ai fenomeni migratori che sono presenti in tutti i continenti; pensiamo alla salute, dopo l’esperienza della pandemia; pensiamo all’economia, ormai mondializzata, e in cui vi sono soggetti che operano al di sopra delle dimensioni e dei confini degli Stati. Tutto questo richiede risposte veloci, tempestive, perché i fenomeni sono veloci. E l’Europa ha bisogno di aggiornarsi, di verificare quanto non va e quanto va invece corretto e migliorato. Io credo che questo fenomeno dell’integrazione, talmente rilevante, sia compreso bene dai giovani. Vi sono due aspetti, due fenomeni, che i giovani vivono come se fossero normali, assolutamente consueti, e non lo erano un tempo, tutt’altro: Erasmus e Schengen. Erasmus che consente, per gli studi superiori scolastici e per le università, di fare periodi di studio in altri Paesi dell’Unione, scambiando esperienze, acquisendo esperienze nuove. Schengen consente di viaggiare dal Portogallo alla Romania, dalla Grecia alla Svezia. Tutto questo sembra normale oggi, ma è stato frutto di questo straordinario processo che è partito nel ’57. Per questo è stato un successo e abbiamo bisogno dell’Europa. Grazie. Domanda: Buongiorno, signor Presidente. Con il Trattato del 1957 sulla Comunità economica europea viene formalmente istituita la Politica Agricola Comune. Sarà un caposaldo delle politiche europee. Anzi un motore della costruzione comunitaria. E lo è tuttora, vista l’importanza che occupa nel bilancio dell’Unione. Nel frattempo, nell’arco dei decenni, l’agricoltura in Europa si è trasformata, è cambiato il suo ruolo e il suo peso nelle economie e nelle società, restando cruciale per la sicurezza (degli alimenti e non solo), le potenzialità di sviluppo e la qualità della vita degli europei. Lei ritiene che l’Europa possa essere ancora di supporto agli operatori agricoli in questa stagione così tempestosa? Presidente: ti ringrazio innanzitutto per avere parlato della Politica Agricola Comune con il nome per esteso, e non con l’acronimo PAC, come abitualmente si fa. Qui, col permesso del Ministro, esco fuori tema rispetto al tema dell’agricoltura. Siamo sommersi dagli acronimi. Nel web, sulla stampa, nei documenti, anche quelli che ricevo. Sono infarciti di acronimi. È come un linguaggio per iniziati, che esclude chi non è consapevole. In fondo, ragazzi, riflette quello che sta avvenendo anche con i telefonini, con i messaggi telefonici, in cui le parole vengono contratte; si riducono ad alcune lettere, vengono quasi simboleggiate. Cioè, si contrae il modo di esprimersi, per brevità, per guadagnare tempo. Ma quello che vorrei dire - uscendo dal tema della giornata - è che il pensiero si esprime con la parola. E se le parole si contraggono e perdono compiutezza espressiva, il pensiero non riesce più a esprimersi adeguatamente. Quindi bisogna stare attenti. Sono indispensabili acronimi e messaggi brevi. Ma mai perdendo di vista quanto sia importante esprimersi in maniera compiuta. L’agricoltura è sempre stata protagonista nella vita dell’integrazione europea. Lo è già nel Trattato. All’articolo 3 - all’inizio del Trattato, nei primi articoli - si parla della Politica agricola comune. E poi ve ne è un altro, che è l’articolo 39, che parla dei traguardi da raggiungere. Parla della qualità dei prodotti, del tenore di vita di chi in agricoltura vive, della capacità di approvvigionamento, di prezzi ragionevoli per il consumatore, della tutela del mondo agricolo nel suo complesso, cioè. Questo ha fatto sì che nascesse - come abbiamo visto - la Politica agricola comune, che ha avuto grandi risultati, successi importanti. Abbiamo visto una crescita costante dell’agricoltura in Europa. Per l’Italia il bilancio è altamente positivo. Per i mercati in cui siamo entrati, per la qualità dei prodotti che inviamo, per le filiere agroalimentari che sono diventate produttrici di eccellenze mondiali. Siamo il primo Paese dell’Unione come prodotti tutelati. Vi sono centinaia di prodotti italiani che sono – vorrei evitare gli acronimi - di denominazione di origine protetta, di indice geografico protetto, di specialità tradizionali garantite. L’Italia, più di ogni altro Paese dell’Unione, ha un numero alto di prodotti con queste protezioni, dimostrando – questo - la grande qualità della nostra agricoltura. Quindi è abbastanza facile dire che l’agricoltura rimane nevralgica nell’Unione, e l’Unione la garantisce, come ha fatto in questi decenni. E quella italiana è protagonista. Domanda: Buongiorno, signor Presidente. L’agricoltura italiana esprime rilevanti eccellenze, molto apprezzate dai consumatori internazionali. L’attuale spinta a porre dazi, a interrompere i processi di commercio internazionale, può avere dei riflessi negativi sull’export dei prodotti agricoli italiani? Presidente: La cooperazione, i mercati aperti, per noi corrispondono a due esigenze vitali che abbiamo: la prima è quella della pace, la seconda, quella dei nostri concreti interessi come Paese esportatore. Quindi, è facile dirlo - è abbastanza ovvio - ma è indispensabile ripeterlo, ribadirlo: i dazi creano ostacolo ai mercati. E ostacolano la libertà di commercio; come dire, alterano il mercato, penalizzano i prodotti di qualità, perché tutelano quelli di minor qualità. E questo per noi è davvero una cosa inaccettabile. Ma dovrebbe essere per tutti i Paesi del mondo inaccettabile. Si è dato vita, in questi decenni passati, alla Organizzazione Mondiale del Commercio per indurre tutti i Paesi del mondo a commerciare in maniera leale, con regole rispettate. Non sempre vi si è riusciti – naturalmente - però, quell’organismo è riuscito a far sì che crescesse in maniera più corretta il mercato mondiale. Ha fatto crescere molti Paesi, li ha fatti migliorare. Questo sistema, questa volontà di collaborazione su regole leali, è indispensabile. Alle volte viene violato, e lo sappiamo. Vi sono Paesi che hanno un sovrappiù di produzione, che sorreggono per riversarlo sui mercati esteri. Ma questo non ha come risposta i dazi di chiusura, ha come risposta le regole da far rispettare e da migliorare come efficacia. Un sistema di dazi e di chiusure creerebbe conseguenze fortemente negative anche per gli apparati produttivi interni. Pensiamo all’Italia: noi esportiamo il 40% del vino che produciamo; un terzo del riso che produciamo; importiamo la metà, il 50%, del grano che ci serve. Quando si parla di guerre commerciali, spesso si mette l’accento sull’aggettivo “commerciali”; bisogna metterlo, invece, sul sostantivo “guerre”, perché sono guerre anche queste: di contrapposizione, che inducono poi a contrapposizioni sempre più dure e più pericolose. Bisogna essere sereni, senza alimentare un eccesso di preoccupazione, perché l’Unione Europea - di cui facciamo saldamente parte – ha la dimensione, la consistenza, la forza per interloquire in maniera autorevole, con calma, ma con determinazione, per contrastare scelte di chiusura dei mercati e di applicazione dei dazi, così immotivati e così generali. Il nostro apparato produttivo è strettamente interconnesso, integrato con gli apparati produttivi di altri grandi Paesi d’Europa. Questo fa dell’Europa un soggetto forte, autorevole sul piano economico. Quindi, la scelta è interloquire con autorevolezza, con calma – ripeto - ma anche con determinazione, perché si mantenga l’apertura dei mercati che è anche una garanzia di buona vita internazionale. Vedete, l’Unione Europea, nel corso del tempo, ha stipulato accordi di apertura dei mercati con il Giappone, con il Canada, con l’America Latina con il Mercosur: sono tutti rapporti che, da un lato, consentono scambi commerciali vantaggiosi per entrambe le parti ma, soprattutto - e accanto a questo, che è importante, naturalmente, come interesse del nostro Paese e dell’Europa - creano una tessitura di collaborazioni, di rapporti di fiducia internazionale, che garantisce la pace. Mercati contrapposti mettono in pericolo la fiducia tra i Paesi, la collaborazione internazionale. Mercati aperti, con commerci comuni, scambiati, creano rapporti di fiducia, di conoscenza; creano – appunto - questa tessitura di collaborazione che garantisce la pace. Per questo la nostra posizione è chiarissima: per la pace nel mondo e per il vantaggio delle popolazioni occorre avere mercati aperti. E questa è una regola di civiltà, che da tanto tempo è stata affermata. Vi ringrazio ragazzi. Auguri! Siete un magnifico spettacolo. (FONTE: sito istituzionale)