Le associazioni antimafia scrivono all’Anbsnc, Cnel e Mimit, preoccupate per un accordo che prevede la cessione onerosa di terreni e immobili sottratti alla criminalità organizzata e alla corruzione Roberta Lisi i risiamo: il governo ha firmato un secondo accordo, questa volta con l’Anbsnc, Cnel e Mimit, che preoccupa fortemente chi si occupa di lotta alla criminalità organizzata e di costruzione della cultura della legalità.

Già: costruzione della legalità vuol dire anche sottrarre beni alle mafie e a corrotti e corruttori, restituendoli alla società dimostrando che un’altra economia è possibile. Questo è ciò che succede quotidianamente nei beni e nei terreni confiscati e sequestrati e assegnati a cooperative, a lavoratori e lavoratrici nel caso di aziende, alla società civile. Ebbene, lo scorso 4 aprile, con tanto di sostegno propagandistico il Cnel, l’Agenzia dei beni confiscati e il ministero delle imprese e del Made in Italy hanno apposto la propria firma in calce a un documento che, di costruzione della cultura della legalità e di riconsegna alla società civili di quanto sottratto dalle pratiche criminali, davvero non ha nulla. Libera, Cgil, Legambiente, Arci, Avviso Pubblico, Forum Terzo Settore, Legacoop hanno inviato una lettera all’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, al Cnel e al ministero delle Imprese e del Made in Italy per esprimere perplessità e preoccupazione rispetto all’accordo, sul tema della destinazione dei beni confiscati alle mafie e alla corruzione. “Riteniamo – scrivono le associazioni – che ogni iniziativa sul tema, per essere davvero efficace, debba nascere da una condivisione tra tutti i soggetti sociali e istituzionali che in questi trent’anni hanno dato vita e vivacità allo strumento del riutilizzo dei beni sottratti alla criminalità organizzata, per rafforzare lo spirito della legge Rognoni La Torre, di Libera, che alla legge 109\96 ha dato i natali, e di tutto il movimento antimafia, nell’ottica di un’assunzione comune di responsabilità”. Molte le ragioni di preoccupazione. “La prima, quella più evidente, riguarda una confusione di fondo tra beni immobili in generale e beni riconducibili ad aziende sottoposte a confisca. Riteniamo che accorpare queste due diverse categorie di confisca rischi di allargare l’approccio privatistico anche ai beni immobili, per i quali l’affitto oneroso e la vendita devono rimanere l’extrema ratio”. In secondo luogo: “Prevedere che per le aziende la via prioritaria debba ritenersi l’affitto a titolo oneroso e solo secondariamente l’assegnazione in comodato a lavoratori dipendenti della stessa rappresenta un’inspiegabile inversione di priorità. Per di più, nulla viene specificato nell’accordo rispetto alla disciplina della gestione e del riutilizzo di questi ricavi. Ulteriori modalità di affidamento della gestione, nel testo si citano non meglio precisate ‘società miste’, che appaiono, anche in questo caso, favorire l’assegnazione prioritaria di tali attività a soggetti privati”. La legge sul riuso a fini sociali dei beni confiscati è chiara. Per questo i firmatari della lettera chiedono “che si riattivino gli organi consultivi già esistenti, come il Comitato consultivo dell’Anbsc e il Forum Imprese e legalità del Cnel, in un tavolo di lavoro col terzo settore, il movimento cooperativo, i sindacati e le associazioni di enti locali per rivedere e arricchire l’articolato, e per disegnare una diversa filiera di coinvolgimento delle istituzioni nazionali, volta a garantire il riuso sociale come strumento cardine della lotta alle mafie e alla corruzione. Allo stesso tempo, chiediamo che gli enti locali possano mantenere centralità nella filiera di destinazione, come la normativa antimafia richiede, e che le procedure di co-progettazione e co-programmazione richiamate siano al centro dell’operato, per attivare energie produttive dal basso, che possano riportare sviluppo ed economia sul territorio interessato”. (FONTE: Collettiva)