(di Agostino Spataro) -  CHI GOVERNA LO SVILUPPO?

Di fronte a tale, inquietante scenario nasce la sensazione dell’infiacchimento, progressivo e costante, del ruolo, e del potere democratico, della politica e dei governi nei rapporti coi “poteri forti” extra istituzionali.

I partiti, i governi sembrano avere esaurito le loro capacità di reagire al declino e di governare i processi che investono l’economia e la società e d’indicare una convincente di via d’uscita. Situazioni simili si sono registrate anche in passato, mai, però, si era giunti a questo punto. La politica poteva entrare in crisi, subire momentanei sbandamenti, commettere errori e abusi. Tuttavia, il sistema era in grado di produrre, mobilitare nuove risorse e progetti per rilanciare la situazione. Anche in Sicilia, le vecchie crisi, per quanto acute, seguivano, con alti e bassi, il ciclo economico generale, restando in qualche modo in sintonia con i movimenti e coi processi d’innovazione presenti in Italia e in Europa. Termini e altre vertenze ci dicono che l’Isola potrebbe restare fuori da tali contesti, che, sola e smarrita, potrebbe avviarsi verso un inesorabile tracollo. DALLA CRISI AI LICENZIAMENTI IL PASSO È BREVE Esagerato? Basta guardarsi intorno, e passarsi una mano sulla coscienza, per accorgersi che nell’industria siciliana (tralasciamo altri settori solo per ragioni di spazio) non si parla più di ristrutturazioni, ma di ridimensionamenti, di chiusure degli stabilimenti esistenti. Insomma, dalla crisi ai licenziamenti il passo è divenuto troppo breve. L’elenco delle aziende che chiudono, o chiuderanno, definitivamente è molto lungo e conosciuto. La Fiat di Termini è il caso più clamoroso anche perché costituiva uno dei capisaldi strategici dell’economia siciliana. E’ umano sperare nel miracolo, ma tutti hanno capito che da Termini la Fiat è già partita per sempre e che non potranno, certo, rimpiazzarla le improbabili “proposte alternative” (quali esattamente?) pervenute al ministero o alla regione che, per altro, cadono una dopo l’altra, come foglie al vento. Vedremo. Tuttavia, è chiaro che Termini e qualche altro stabilimento meridionale sono a rischio chiusura perché anelli più deboli della strategia di questa multinazionale italiana che, mettendo da parte patria e nazione (termini enfatici cui gli stessi ricorrono per vendere aerei e cannoni), va a cercare il massimo profitto nei luoghi del più duro sfruttamento dell’uomo e della natura. Purtroppo, l’annuncio di Fiat è stato preceduto e seguito da altre società medie e piccole, e call center che stanno chiudendo una dopo l’altra. Tutto ciò non avviene a caso. Soprattutto nelle aree più deboli che stanno pagando per prime il prezzo di questa sorta di regressione globale e pianificata nella quale il capitale finanziario, sovente di natura illecita e criminale, svincolato da ogni obbligo sociale (perfino da quello di pagare le tasse) punta a demolire il complesso delle conquiste operaie e sociali, per riportare indietro, di decenni, la condizione dei lavoratori occidentali. IL FUTURO EURO-MEDITERRANEO DELLA SICILIA E qui mi fermo per non allontanarmi troppo dalla Sicilia che- com’è noto-, oltre a trovarsi nella morsa della tenaglia neoliberista, è penalizzata dagli effetti di altri fattori negativi specifici: un’amministrazione pletorica e inefficiente (o resa tale), una criminalità troppo invasiva e una marginalità eccessiva rispetto ai principali mercati tradizionali e/o in formazione. Insomma, alla fine del ciclo la Sicilia rischia di ritrovarsi alla periferia di tutto. Eppure, una, volta era al centro di tutto. Ma questa è un’altra storia che dovremo rileggere con l’occhio rivolto all’attualità, alla sua invidiabile centralità mediterranea grazie alla quale si potrebbe ribaltare la sua posizione: da periferia emarginata a punta più avanzata nella politica europea di cooperazione e di scambio con i Paesi rivieraschi, del medio e dell’estremo oriente. Purtroppo, lo squilibrio (in senso antiarabo) della politica estera del governo Berlusconi non rafforza questa prospettiva. Così come il basso profilo della politica siciliana che continua a sfornare governi improvvisati, minoritari e liste di dirigenti riciclati, di consulenti che poco o nulla hanno da consigliare in proposito. Lo proponiamo, lo scriviamo da decenni: il futuro della Sicilia si gioca, in gran parte, nel Mediterraneo, destinato a diventare, in questo secolo, una delle principali aree strategiche del pianeta. Purtroppo, oggi, per fare la politica economica della Sicilia si guarda all’amico di corrente o di partito invece che ai flussi di beni e servizi in transito per il canale di Suez. Una Sicilia con le carte in regola, liberata cioè da tutta la zavorra che l’opprime, guidata da un moderno ceto dirigente, politico e imprenditoriale, può divenire, infatti, luogo privilegiato di scambi, d’investimenti e di produzioni, una fiera permanente, qualificata per gli scambi economici, tecnologici e culturali intra ed extramediterranei. Così perdurando la situazione, la Sicilia non sa dove andare. Eppure, non tutto è perduto, la crisi siciliana può avere un duplice sbocco: la decadenza (in itinere) e le grandi opportunità (da cogliere) sul fronte euro-mediterraneo dello sviluppo. La salvezza è ancora possibile. Ma ci vorrebbe una politica nuova, di sana pianta, capace d’invertire la micidiale tendenza e di delineare una via d’uscita.  (fine)Â