Ricorre quest’anno il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Tutto è pronto per festeggiare quella che, ancora oggi rimane, di fatto, soltanto una unificazione territoriale di aree geografiche culturalmente ed economicamente diverse. Una unità che , illusoriamente , insistiamo nel ritenere essersi realizzata, ma che, basta guardare ai nostri giorni, per comprendere come essa sia stata solo il frutto di un grande progetto di pochi uomini illuminati,

svilito perché fatto proprio da chi ne aveva da realizzare uno di natura completamente diverso. Vi è unità laddove vi è pari dignità ed opportunità tra cittadini; l’unità è l’espressione di un sentimento forte che dovrebbe far sentire un Piemontese vicino e solidale con un Lampedusano; l’ unità significa non alimentare fughe di cervelli e manodopera da territori più poveri a quelli più ricchi; l’unità di un popolo può realizzarsi anche attraverso un modello federalista , purché questo non sia finalizzato a tutelare solo gli interessi di una parte del territorio; Sarebbe opportuno ricordare che la Sicilia, dopo essere stata conquistata nel 1860, propose un modello federalista che, proprio i padri di coloro che oggi il federalismo propugnano, non ci vollero concedere. Ora mi domando: tutto ciò in questa Italia si è realizzato e, in ogni caso, cosa abbiamo fatto o stiamo facendo affinché si realizzi? Mi pare che la risposta stia nei fatti e nella realtà di tutti i giorni della gente di questa terra . Allora è alla gente di questa terra che bisogna chiedere quanto si senta Italiana o qual’è la percezione che in questi anni ha avuto relativamente allo sforzo fatto dalla classe politica per cercare di farla sentire tale. Eppure noi che, 650 anni prima di subire, dalla casata Sabaudia, la conquista del nostro territorio, camuffata da spirito di unità nazionale, ci eravamo dati il più vecchio parlamento del mondo con potere legislativo, avremmo da festeggiare, oggi, l’anniversario dei 200 anni di quella che è stata la prima costituzione concessa ad un territorio facente parte dello stivale. Avremmo da festeggiare il nostro retroterra storico e culturale e la lungimiranza dei nostri padri capaci di essere antesignani di uno Stato democratico, anziché ritrovarci ad essere servi silenziosi ed accondiscendenti di poteri a noi lontani. Proprio noi che nel 1948 siamo riusciti, attraverso la caparbietà di chi in questa terra credeva, ad avere uno Statuto che sanciva la nostra autonomia, abbiamo dovuto vederla e continuare a vedere, oggi, mortificata e svilita . Come non ricordare la sentenza della Corte Costituzionale n. 38 del 9 marzo 1957 che ha abolito la competenza, in materia di giurisdizione Costituzionale, dell’Alta Corte, istituita con l’art. 25 dello Statuto, ritenendola assorbita dalla propria? Quante volte abbiamo dovuto sopportare che venisse violato l’art. 21 dello Statuto che prevede che il Presidente della Regione partecipa alle riunione del Consiglio dei Ministri, con voto deliberativo allorché le materie trattate interessano la Regione Siciliana ? Quanti tentativi abbiamo dovuto subire di stravolgimento dell’impianto finanziario dello Statuto, ultimo dei quali andato a buon fine, a nostro discapito, da parte della Consulta la quale attraverso una lettura meramente storica di Esso, a dispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico che prevedono cha alla lettura delle norme si debba provvedere attraverso procedimenti ermeneutici letterali, sistematici e analogici e che tengano conto della volontà del legislatore, ci ha negato ciò che ci spetta in materia di accise con una perdita di circa quattro miliardi di Euro? Alla luce di tutto ciò, senza falsi vittimismi, vi chiedo : noi siciliani abbiamo da festeggiare per questa unificazione avvenuta nel 1860 o , tenuto conto di ciò che ci aspetta con i decreti attuativi del federalismo fiscale, dobbiamo ritenere che questa sia stata una iattura per la nostra terra ? Forse ciò che sta accadendo in questa Italia, servirà a far comprendere ai rappresentanti parlamentari nazionali siciliani, che se si vuole fermare una frantumazione, gia in corso, del territorio, prima di essere leali e consenzienti con i leader politici che li hanno scelti in modo verticistico, è necessario che lo siano nei confronti della propria terra che deve rappresentare per loro la propria madre, il proprio padre, i propri figli.

Michele Cimino Assessore al Bilancio della Regione Sicilia