Di cambiailmondo il 11/01/2025 1. La riproposizione di un dualismo sistemico finalizzato ad una nuova indelebile cortina di ferro e alla guerra come destino inevitabile, è stata presentata, dentro il circuito mediatico e intellettuale mainstream dell'occidente, nella stagione di Biden, con la usurata declinazione di democrazie liberali Vs democrazie autoritarie o autocrazie; sulla falsariga, rivista e corretta, della nota esportazione della democrazia;

mai riuscita prima, letteralmente fuori luogo poi. Si è trattato manifestamente di un artificio narrativo deficitario e démodé che si può definire come pura propaganda. Un diverso approccio critico ha sostenuto invece la ripetizione del conflitto inter-imperialistico, come chiave interpretativa di quanto accaduto, destinando ad una geopolitica a-valoriale il compito di procedere nell'analisi. Chiave che può avere qualche tautologica ragione, ma che non consente di comprendere fino in fondo questa necessità stringente della parte di mondo a occidente, di continuare a distinguersi e autodefinirsi. A meno che non si convenga che il suo vero, profondo e storico destino è l'autorappresentazione assoluta. Paradossalmente, la parte ad oriente usa invece canoni critici verso l'avversario che sono pienamente mutuati dalla sua cultura: sicurezza comune, diritto internazionale, autodeterminazione, ecc., inveendo sul fatto che tali principi siano contraddetti dai comportamenti reali di quella parte del globo che li ha inventati, ma quasi mai applicati. Fin qui siamo alle dicerie, alle narrazioni. O all'invettiva fra opposti, che alla fine sono tutti uguali. Ma si può ipotizzare qualche caratteristica tendenzialmente sistemica e strutturale dei due diversi poli in cui sembrerebbe riorganizzarsi il conflitto globale ? Può avere senso o si tratta di un tardo tentativo di applicare qualità diverse a cose che alla fine sono invece unificate dalla mera e implacabile ricerca di potenza all'interno di un unico sistema? Proviamo a definirli diversamente e a vedere se, sulla base degli antecedenti e delle prospettive che si colgono dai fatti degli ultimissimi anni, altre definizioni possono avere qualche fondatezza o spiegarli meglio della stretta geopolitica o, magari, in parallelo ad essa.

NAZISMO LIBERALE E BUROCRAZIA AUTORITARIA.

Questa può essere una nuova partizione su cui ricostruire la riflessione su un tendenziale presente. Un presente in fieri, non ancora del tutto compiuto. Mentre il presente trascorso è impantanato nella falsa partizione e riproposizione (autoassolutoria) di democrazia liberale o autoritaria e non sembra cogliere le tendenze. Il nazismo liberale, per intenderci, è quello impersonato nel modo più puro, seppur marginale e per molti versi grottesco, da Milei, il presidente argentino con la sega elettrica. Ne è forse la forma concettualmente più pura e avanzata, anche per le citazioni teoriche a suo sostegno che provengono dall'anarco-capitalismo iperliberale di scuola austriaca rinverdita dai Chicago Boys in Cile (a cui egli fa esplicito riferimento), e diventato egemone nelle università del pianeta negli ultimi 4 decenni. Bolsonaro e il primo Trump ne sono stati degli antecedenti in progress, ma ancora non compiutamente definiti. Impantanati nella fase pandemica, sono state forme spurie che, anche al momento, si barcamenano in un interclassismo non risolto, che forse Musk purificherà, forse nella stessa direzione di Milei, ma con l'innesto di tratti fanta-hollywoodiani, indispensabili nel contesto culturale della prima potenza. Il nazismo liberale in estrema sintesi, mira a sciogliere tutti i lacci e lacciuoli, affinché le forze produttive interne ed esterne siano pienamente libere di articolare la loro connaturata propensione alla competizione e all'eliminazione dell'avversario. Alla fine di questo processo non può che restare in piedi solo un piccolo gruppo di vincitori. A parte quelli che saranno annientati dalla competizione, tutti gli altri che sopravviveranno dovranno riconoscerne la supremazia; la loro sudditanza sarà compensata con una segmentazione ragionata di possibilità di consumo a diversi livelli, fino al segmento finale, quello della mera sussistenza che si esaurisce prima dell'arrivo della pensione (di modo che la spesa pubblica prenda altre vie e lo stato sia depurato da fastidiose entità burocratiche di assistenza). Eventuali instabilità derivanti da malsani comportamenti reattivi dagli ultimi gradi della scala saranno adeguatamente trattati grazie a potenti apparati di repressione e controllo, gli unici, assieme a quelli per le future guerre di coalizione, per i quali sarà richiesto un vero investimento statuale. Le burocrazie autoritarie sono invece le nuove forme di moderata pianificazione statuale che debbono consolidarsi dentro il contenitore globale del post-capitalismo finanziario. Russia e Cina, in modi diversi le lasciano intravvedere. Gli altri Brics mostrano fabbisogni simili. Qui, le forze produttive vengono anche lasciate correre, ma l'obiettivo centrale della corsa è un contributo all'aumento di potenza statuale e della sua coesione interna, perché al momento questa è l'unica realistica modalità di poter competere con l'avversario. Inoltre queste burocrazie impongono qualche limite agli investimenti esteri in funzione di produzione reale, non a breve termine, con ricadute occupazionali e di consumo interno. Gli attori primari e concreti del primo sistema sono i grandi oligarchi (che però chiamiamo geni dell'intrapresa) che debbono essere liberi di raggiungere le vette stratosferiche del monopolio, equilibrate da una proliferazione di entità feudali sottostanti in cui sono destinati a ri-articolarsi i territori concreti. Gli attori del secondo sono invece le burocrazie statuali di moderata ri-pianificazione economica, per loro natura necessariamente politiche. Queste forme debbono essere "autoritarie" per porre un argine al rischio di sconfinamento che altri oligarchi (che non chiamiamo geni) potrebbero porre in essere, anche se da un livello di potenza storicamente inferiore a quelli atlantici. La forma burocratica-autoritaria mira dunque ad una difesa dalla penetrazione del nazi-liberismo (sia esterno o interno) che evidentemente farebbe piazza pulita di oligarchie nostrane e statali; e la sfida però, allo stesso tempo, è anche quella della capacità di tenergli testa sul piano della competitività sistemica tra spazi nazionali.

FENOMENOLOGIA DELLE FORME

Nella prima forma vige il principio della ricchezza disponibile come modalità di accesso al potere, seppure mediato da apparenti consultazioni elettorali (determinate sempre da colossali investimenti in ricerca psico-sociale e conseguente marketing ottimizzato con l'uso dei big data). Nella seconda, il principio continua ad essere quello della politica, mediata da consultazioni, compromessi, accordi, che comunque non possono mettere in discussione la superiorità della natura statuale (e quindi, almeno relativamente, collettiva) del potere. Il primo modello è scalabile in considerazione della supremazia nella concentrazione di denaro di cui dispongono gli attori di primo livello in campo. Il secondo è anche scalabile, ma a condizione di fedeltà ad una statualità che non può essere messa in discussione. Di nuovo Sparte e Atene ? No. Ogni modello è un'astrazione che non corrisponde mai alla realtà, aiuta forse a interpretarla e a definirla, ma tale rimane. I gradi di avvicinamento o di lontananza all'archetipo sono innumerevoli e crescono con il dipanarsi del tempo storico. Se ne possono anche allontanare in direzione centrifuga. Bisogna vedere. Ad esempio, il modello Milei è ben meno articolato di quello del secondo Trump: appare come una riproposizione alquanto posticcia di una teorizzazione antica quanto infondata: la negazione della socialità e la centralità del merito individuale, un'impostazione che serve a negare la struttura dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; quello in via di complessa definizione negli Usa sembra annunciare una o più novità, ma anche questo può essere un abbaglio: la differenza sta nell'intensità della mediazione necessaria per imporre l'obiettivo di ricompattare gli attori più potenti dei diversi settori. Milei grida alla libertà assoluta, inclusa quella di aprire le porte alla multinazionali straniere e alle basi militari Usa, Trump grida ad una nuova unità delle classi apicali per recuperare M.A.G.A. (Make America Great Again) Mentre in Argentina si tratta quindi, essenzialmente, di recuperare e rimettere in sicurezza quella funzione di solida e ricca subalternità neocoloniale a favore dei pochi tradizionali settori esportatrici di commodilty e di consumatori di beni importati (di restaurare cioè pienamente la cosiddetta borghesia compradora) e rimettere al loro posto gli sfruttati di diversi ordini e gradi, magari soddisfatti da ulteriormente segmentazione sociale, negli Usa si assiste ad una sorta di contrattazione tra grandi gruppi della fase di globalizzazione e le parallele concentrazioni di grandi monopolisti interni; una contrattazione che dovrà trovare (o meno) un punto di equilibrio anche con la funzione statuale (residuale, ma giocoforza rinascente), che a sua volta rappresenta altre potentissime entità con essa compenetrate (armamenti, ecc.). A causa dell'esaurirsi della fase crescente della globalizzazione che ha assicurato profitti sempre maggiori a settori via via più ristretti delle multinazionali produttivo-finanziarie americane e con il conseguente accentuarsi di squilibri sociali interni sempre meno sostenibili (inclusa la riduzione di capacità competitiva sistemica del paese con la Cina) le elités si stanno scontrando e tentano una nuova sintesi che ne preservi la sopravvivenza e il ruolo di attori primari, interni o internazionali, possibilmente in modo unitario; ma non è detto. Non sembra emergere, in questo scenario, un protagonista sociale autonomo, se non per quel che serve episodicamente in fase elettorale a determinare chi fungerà da mediatore pro-tempore di queste spinte, presenti già da tempo (almeno dal 2016) e che ora sembrano più chiaramente delinearsi. Il quadro attuale appare comunque contraddittorio: le figure trumpiane della prima e della seconda ora non sono accomunate da visioni comuni di scenario, quanto piuttosto da una apparente doverosa multiforme critica alla globalizzazione neoliberista in salsa progressista, salvo esserne stati, in molti, interpreti di primissimo piano. Però, al di là della narrazione necessitata, sono tutte creature strutturalmente meticce di globale (molto) e di americano (ormai poco): Tesla, Apple, Amazon, Meta, Google, Oracle, ecc. ecc., senza contare i mega fondi come Vanguard o Blackrock, sono tutte creature siderali più presenti altrove che negli Usa. E la loro eventuale ridislocazione può durare molto tempo, ammesso che sia praticamente possibile. Alla luce del suo inatteso successo Trump si presenta però come il grande e riconosciuto mediatore che prova a riassumerne e a conciliarne le qualità e i vari livelli di potenza con il richiamo a fare tuttavia di nuovo grande l'America, poiché tutti coloro, genealogicamente, sono prodotti dell'America. E non dovrebbero dimenticarsene. Anche se da tempo la loro grandezza è proprio il frutto del superamento dei confini nazionali e del loro insediarsi diffondersi in territori altrui. Ma siccome la crisi e i rischi (e soprattutto la compresenza crescente di grandi competitors in oriente) sono reali per tutti, tutti convergono di buon grado al tavolo di trattativa e al tentativo di costruzione di un progetto condiviso, seppure da immaginare e perfezionare strada facendo. Il progetto è che in cambio di una parziale ri-nazionalizzazione delle rispettive companies, la rinnovata grande America intensifichi il suo supporto pubblico.

IL LAMENTO LIBERAL-DEMOCRATICO

Se questo è ciò che sta accadendo, la lamentosa critica liberal-democratica al nuovo ipotetico ordine che si annuncia "denso di rischi per la democrazia", è un attardarsi su una narrazione che non ha alcun fondamento, ammesso che l'abbia mai avuto. Seguirla, equivale a inquinare i contorni di ciò che sta materializzandosi e rimandare alle calende greche ogni opportunità di alternativa reale ad un progetto che lascia intravvedere marcati segni di neofeudalità integrata dalle super-tecnologie e guidata da tecnostrutture che lavorano ad una riprogettazione necessariamente anche psicosociale con l'obiettivo di renderla sostenibile per i prossimi decenni, magari per i prossimi 100 anni. E' in questo che l'America tornerebbe ad essere grande: una nuova esplicita alleanza tra oligarchi, monopolisti e Stato, come attori coesi di controllo sociale e capacità di guerra e dominio verso l'esterno. Theotonio Dos Santos spiega anzitempo (1973, QUI) la deriva neoliberista e il suo naturale sbocco - che appare come una profezia di ciò che vediamo ora accadere - con le due vie d'uscita che si presenteranno: per lui, come per altri, sono fascismo o socialismo, o forse meglio, socialismo o barbarie. E' in questo frangente storico che sostiamo. Senza tuttavia un'ombra consistente di socialismo. Ma i casi della storia sono imponderabili. I giochi potrebbero essere ancora parzialmente aperti. Se c'è una volontà - più ampia - di renderli tali. Per questo è però essenziale una critica si emancipi dai lamenti valoriali della tradizione liberal-democratica e riassuma pienamente le coordinate di una tradizione democratica radicale, il cui obiettivo dichiarato dovrebbe essere quello di scalzare le elités dalla direzione tecnica e politica della transizione. L'attuale instabile e pericoloso punto di approdo non deriva infatti da un sovvertimento di valori, ma è il naturale portato di scelte fatte a fine anni '70 e cavalcate da destra e da sinistra; un percorso caratterizzato dalla assoluta libertà di movimento del capitale, il cui corollario fu la presunta fine della storia che prevedeva anche un nuovo inscalfibile ordine. Quell'ordine, costruito su guerre infinite per l'esportazione dei nostri "valori", si è tramutato in un incontrollabile disordine, dal quale oggi le elités tentano di uscire recuperando le antiche consuetudini, imbellettate di algoritmi energivori da far girare su piattaforme estrattive del sapere sociale di diverse generazioni, come imbellettarono di meccanica avanzata, di chimica e di organizzazione scientifica del lavoro, il ventennio '20-'40 del '900. In realtà l'ottimizzazione dello sfruttamento della risorsa ambientale e umana è la linea rossa che persegue il capitale per continuare ad assicurare a sé stesso un tasso adeguato di profitto. Ove questo percorso risulti a rischio, ogni possibile variazione sul tema può essere presa in considerazione e diventare accettabile. Ivi incluso un nuovo fascismo occidentale e quanto vediamo accadere da anni in est Europa e nel medio Oriente come prodromo potenziale e avvertimento della terza guerra. La posta in gioco si sta alzando perché l'attuale ciclo di ottimizzazione dello sfruttamento può essere sostenibile solo in presenza di una contrazione decisiva dell'umano in quanto essere critico e non del tutto riducibile a questa logica. Altrimenti non è sostenibile, durabile. Neurolink e le tante sperimentazioni mediatiche, chimico-farmaceutiche connesse a quelle psicosociali in corso, sono servite e servono ad aprire queste finestre sul post-umano atlantico. Poiché i rapporti di forza a medio-lungo termine non sembrano favorevoli allo spazio occidentale, si devono sondare altri ambiti di recupero di competitività extra economici; se va bene poi diventeranno super profittevoli anche sul piano economico. Nel frattempo, le aziende di Musk possono tranquillamente restare in vetta nelle borse internazionali, anche se la loro redditività effettiva langue abbondantemente. Segno che l'investimento è a lungo termine e supportato da un'altra forza (QUI). E dunque non siamo di fronte a valori che si scontrano. Siamo di fronte a dinamiche di puri rapporti di forza che attraverso la forza sembra debbano essere decisi. In uno scenario di questo tipo si può puntare sull'una o sull'altra opzione (più umano o meno umano e relativi interpreti); si può sperare che l'investimento a lungo termine basato sulla forza salti come la bolla dot-com del 2000, facendo possibilmente crollare tutto l'ambaradan; si può tentare di rinverdire valori sistematicamente antagonistici; ma non ci si può lamentare di un'età dell'oro che non c'è stata e se c'è stata è quella che ci ha condotto qui. (Rodolfo Ricci / gennaio 2025)