di Agostino Spataro Due minoranze di fanatici prevaricano due stragrandi maggioranze Ci risiamo. Di nuovo minareti e crocefissi branditi come spade in questa guerra di simboli che può degenerare in guerra vera. E’ accaduto in passato, anche in Europa, accade, oggi, in tante parti del mondo. Ancora una volta, Occidente, sempre meno cristiano, e Oriente, sempre più islamico,

si guardano in cagnesco a causa di due rumorose minoranze, fanatiche quanto ipocrite, che usano i simboli religiosi per imporre un nuovo “scontro di civiltà” a due sterminate maggioranze già ingravidate dei semi malefici dell’odio e dell’intolleranza. E, alla fine, il mostro nascerà e porterà distruzione e morte fra i nostri popoli impauriti e confusi. Ma, davvero, non c’è nulla da fare per fermare il fanatismo? Più il tempo passa più il pericolo si accresce, anche perché dietro questo agitar di simboli spirituali si celano interessi molto materiali, economici e politici. Tuttavia, le due maggioranze, recuperate alla ragione, sono ancora in grado di sconfiggere i fomentatori di odio e ricacciarli negli anfratti da cui provengono. Occorrono una generale presa di coscienza e una volontà determinata per ripristinare, in uno spirito di pace e di cooperazione, un dialogo fra popoli e Stati che era stato avviato con successo, non molto tempo fa. Sicurezza: chi specula e chi la difende Dopo questo necessario preambolo, andiamo all’attualità, alle ultime polemiche provocate dai leghisti che vorrebbero usare la vittoria del referendum svizzero anti-minareti per scatenare in Italia la caccia all’islamico, dopo quella all’immigrato e a tutti i circolanti “diversi” rispetto al prototipo umano che pretendono di rappresentare. Nessuno disconosce che la presenza islamica può comportare qualche problema alle comunità d’accoglienza. Si tratta, in gran parte, di problemi risolvibili con la conoscenza e la tolleranza reciproche. Secondo le leggi dell’ospitalità. Nei casi più ostici, quali possono essere i comportamenti delittuosi, è ovvio che il “buonismo” non basta e sono necessarie misure adeguate di prevenzione e di repressione. Secondo la legge penale. Soprattutto, quando si tratta di casi accertati di terrorismo, comunque colorato e/o mimetizzato, bisogna reagire con fermezza e unità. Come avviene, del resto, con tutti i delinquenti italiani o di altre nazionalità. Insomma, i capi leghisti devono convincersi che la sicurezza, la serenità dei cittadini è una preoccupazione di tutte le forze democratiche italiane e non loro esclusivo appannaggio. Perciò, la divisione non corre fra chi le difende e chi no, ma tra chi agisce in buona fede e chi sopra ci specula, per un pugno di voti. L’illustre precedente della grande moschea di Roma Il divieto d’erigere minareti in Svizzera che si vorrebbe importare in Italia, mi ha riportato alla mente un precedente illustre: la costruzione, negli anni ’80 e 90, della moschea di Roma ovvero la più grande d’Europa sorta nella Città eterna, a poca distanza dal Vaticano cuore pulsante della cristianità. Qualcosa di più vistoso, impegnativo dei tanti magazzini adattati a luoghi di culto. Eppure, non si registrarono posizioni d’intolleranza, di rigetto sia negli ambienti religiosi sia tra le forze politiche e culturali. Certo, ci furono discussioni e polemiche insorte, soprattutto, intorno al problema- anche allora- del minareto. Nel senso che il progetto dell’architetto Paolo Portoghesi prevedeva la costruzione di un minareto più alto della cupola di S. Pietro. Alla fine prevalse il buon senso e il progetto fu modificato nel senso richiesto e il cupolone continuò a primeggiare sopra i cieli di Roma. Da notare, che il terreno (30.000 mq ai piedi di Monte Parioli) fu donato dal Comune di Roma al Centro islamico d’Italia ossia l’ente morale incaricato di curare i lavori di costruzione. Ci vollero tempo ed enormi finanziamenti (sauditi) e un incessante lavorio politico e diplomatico, sovente dietro le quinte, prima di giungere all’inaugurazione, nel 1995. Oggi, la moschea di Roma convive in pace col quartiere e con la città come luogo di culto per i tanti mussulmani presenti nella capitale e come simbolo di dialogo e di reciproca comprensione fra religioni ed anche fra popoli e Stati. (continua 1)