"Per ardui che siano gli sforzi da compiere, non c'è alternativa al crescere insieme, di più e meglio insieme, Nord e Sud, essendo storicamente insostenibili e obbiettivamente inimmaginabili nell'Europa e nel mondo d'oggi prospettive separatiste o indipendentiste,

e più semplicemente ipotesi di sviluppo autosufficiente di una parte soltanto, fosse anche la più avanzata economicamente, dell'Italia unita. Tutte le tensioni, le spinte divisive, e le sfide nuove con cui è chiamata a fare i conti la nostra unità, vanno riconosciute, non taciute o minimizzate, e vanno affrontate con il necessario coraggio". Così il presidente della Repubblica nel corso della Conferenza, dal titolo "Verso il 150° dell'Italia Unita: tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso", con cui l'Accademia dei Lincei, a classi riunite, ha aperto le celebrazioni dell'Unità d'Italia. Napolitano ha assunto come punto di riferimento gli eventi che hanno fatto "da spartiacque tra l'Italia che consegue la sua unità e l'Italia che inizia, ottantacinque anni dopo, la sua nuova storia. Parlo del momento segnato dall'avvento della Repubblica, dall'elezione dell'Assemblea Costituente, dall'avvio e dallo svolgimento dei lavori di quest'ultima. Campeggia, nella Carta che l'Assemblea giunse ad adottare nella sua interezza il 22 dicembre 1947, l'espressione 'una e indivisibile', riferita alla Repubblica ch'era stata proclamata poco più di un anno prima. E ci si può chiedere se si tratta di un'espressione rituale, di una meditata e convinta visione della condizione effettiva del Paese, o di un supremo, vincolante impegno politico e morale. Ma in quel momento non poteva comunque mancare, nei padri costituenti, la consapevolezza di come l'unità della nazione e dello Stato italiano fosse stata appena, faticosamente messa al riparo da prove durissime che l'avevano come non mai minacciata. Una consapevolezza che dovrebbe oggi essere seriamente recuperata". Il capo dello Stato ha indicato "il tema del più grave dei motivi di divisione e debolezza che hanno insidiato e insidiano la nostra unità nazionale: mi riferisco ovviamente, alla divaricazione e allo squilibrio tra Nord e Sud, alla condizione reale del Mezzogiorno. Anche le analisi più recenti hanno confermato quanto profondo resti, per molteplici aspetti, il divario tra le regioni del Centro-Nord e le regioni meridionali, al di là delle pur sensibili differenziazioni che tra queste ultime si sono prodotte. E oggi meritano forse una riflessione formule come quella, per lungo tempo circolata, della 'unificazione economica' che avrebbe dovuto seguire e non seguì alla 'unificazione politica' del paese; s'impone un approccio meno schematico, più attento alle peculiarità che possono caratterizzare lo sviluppo nelle diverse parti del paese, e ai modi in cui se ne può perseguire l'integrazione riducendosi il divario tra i relativi ritmi di crescita. Si impone un approccio più attento a tutte le molteplici componenti di un aggravamento della questione meridionale che ha la sua espressione più evidente nel peso assunto dalla criminalità organizzata. E nell'allargare e approfondire l'analisi, si incontra il nodo di una crisi di rappresentanza e direzione politica nel Mezzogiorno che è stata fatale dinanzi alla prova dell'autogoverno regionale". "L'affrontare nei suoi termini attuali la questione meridionale - ha rilevato Napolitano - non è solo il maggiore dei doveri della collettività nazionale, per avere essa fatto della trasformazione e dello sviluppo del Mezzogiorno una delle missioni fondative dello Stato unitario; ma è anche un impellente interesse comune, perché è lì una condizione e insieme un'occasione essenziale per garantire all'Italia un più alto ritmo di sviluppo e livello di competitività". Per Napolitano "c'è da chiedersi quanto, da alcuni decenni, questo patrimonio di valori unitari si sia venuto oscurando - anche nella formazione delle giovani generazioni - e come ciò abbia favorito il diffondersi di nuovi particolarismi, di nuovi motivi di frammentazione e di tensione nel tessuto della società e della vita pubblica nazionale. E non possiamo sottovalutare i rischi che ne sono derivati e che ci si presentano oggi, alla vigilia del centocinquantenario dell'Unità". "E' indispensabile - ha sottolineato Napolitano - un nuovo impegno condiviso per suscitare una ben maggiore consapevolezza storica del nostro essere nazione e per irrobustire la coscienza nazionale unitaria degli italiani". Occorre un "impegno condiviso che implica una svolta da parte dell'insieme delle classi dirigenti, un autentico scatto di consapevolezza e di volontà in modo particolare da parte delle forze che hanno, o possono assumere, responsabilità nella sfera della politica". La prospettiva è l'Europa. Il presidente Napolitano ha richiamato l'intellettuale e patriota polacco, Bronislaw Geremek che ha scritto che "La diversità delle culture nazionali resta la più ricca risorsa dell'Europa". E ha ricordato che già decenni fa Jean Monnet sottolineò che 'Quel che bisogna perseguire è una fusione degli interessi dei popoli europei, e non semplicemente il mantenimento degli equilibri tra questi interessi'. Quel monito - per il Capo dello Stato - "è drammaticamente attuale : fusione di interessi e condivisione di sovranità, perché l'Europa possa svolgere il suo ruolo peculiare, come soggetto unitario, e non rischiare di scivolare nell'irrilevanza, nel mondo globalizzato di oggi e di domani. L'identità e la funzione nazionale dell'Italia unita possono dispiegarsi solo in questo quadro, solo contribuendo decisamente all'affermarsi di questa prospettiva di sviluppo nuovo e più avanzato dell'integrazione europea". Il presidente della Repubblica ha concluso la Conferenza esprimendo una speranza: "Ci si risparmi il banale fraintendimento del vedere sempre in agguato l'intento di un appello all'abbraccio impossibile, alla cessazione del conflitto, fisiologico in ogni democrazia, tra istanze politiche e sociali divergenti. E' tempo che ci si liberi da simili spettri e da faziosità meschine, per guardare all'orizzonte più largo del futuro della Nazione italiana, per elevare al livello di fondamentali valori e interessi comuni il fare politica e l'operare nelle istituzioni". (Inform)