Chi si ricorda del Grande Vecchio? Nessuna parentela, lo dico ai più giovani, con il Grande Fratello, se non forse per la misura delle scarpe o della cinghia dei pantaloni. Il Grande Vecchio: una delle più accreditate incarnazioni di quella sindrome del complotto che fa risalire vicende altrimenti inspiegabili alle trame di personaggi o di forze che agiscono nel buio.

Tempi corruschi e lontani, quando era comodo, a scarico della coscienza di molti, attribuire gli interrogatori e la morte di Moro non ai Piccoli Giovani delle Brigate Rosse, protetti da omissioni e lacune dei “servizi” tutt’ora inspiegabili, ma ad una figura autorevole, potente e misteriosa: il Grande Vecchio, appunto. Le storielle appurate a distanza di qualche anno sul “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli e della P2 ci fecero capire che su quelle cose c’era poco da scherzare e che la vecchia regola di badare a dove poggiare i piedi e con chi accompagnarsi, che i nostri anziani ci hanno insegnato, conserva sempre una qualche attualità. Quello che è avvenuto dopo, con l’avvio della Seconda Repubblica e la scesa in campo dei figliocci di Gelli ci riporta più ai Mangiafuoco e alla storia dei burattinai che ai Grandi Vecchi. In questa dissolvenza delle grandi storie e dopo il benservito ai nani e alle ballerine, il vuoto della ragione ha generato fate, elfi, gnomi, folletti e alchimisti che si sono impossessati, senza darla a vedere, di zone ombrose di potere e di luoghi di responsabilità anche delicate. Senza che ce ne accorgessimo, sono entrati anche nella politica e nelle istituzioni e si sono messi a confezionare malefici e pozioni tossiche, così potenti che gli effetti si propagano a distanza, anche, ad esempio, tra i nostri emigrati in lontane parti del mondo. Non ci credete? Ve ne do subito un esempio. Per lungo tempo le donne che hanno sposato stranieri hanno perduto la cittadinanza e non l’hanno potuta trasmettere ai loro figli. Cosa brutta di per sé, orribile quando la Costituzione ha affermato la parità delle persone e l’eguale dignità tra i coniugi. Eppure per molti decenni i figli nati dalla stessa madre hanno potuto diventare cittadini italiani se nati dopo il 1 gennaio ’48, ma sono restati stranieri se nati prima. Finalmente la Cassazione, nel febbraio del 2009, ha abolito l’odiosa discriminazione che impediva alla donna che avesse sposato uno straniero di trasmettere la cittadinanza originaria ai propri figli. Immediatamente, con altri colleghi parlamentari, mi sono attivato per chiedere al Governo: che si fa? Quando sarà possibile vedersi riconoscere questo diritto senza fare lunghe e costose cause, ma solo presentando all’amministrazione una richiesta? Un anno fa ci fu detto: stiamo cucinando, il piatto sarà servito quanto prima. Dopo un anno di inedia, con il collega Porta e con numerosi altri parlamentari, sono tornato a chiedere al Governo: a che punto è la cottura? Ci volete almeno dire se serve una semplice domanda in carta semplice o una legge per sbloccare la situazione? Sui banchi del Governo qualche giorno fa è salita una splendida fatina, sotto la specie del sottosegretario Laura Ravetto, proveniente dal Regno della Presidenza del Consiglio, e con voce maliosa ci ha recitato questa favola: “C’era una volta una legge che voleva dare giustizia alle donne emigrate e ai loro discendenti. Questa legge le fate azzurre l’avevamo messa sull’Arca delle Mille Proroghe, ma un elfo maligno l’ha buttata giù. Le fate azzurre, pietose, l’hanno raccolta e per non farla scoprire dagli elfi maligni ora la vogliono caricare su un vascello s(d)ecreto che la porterà fino al porto del salvamento”. Non posso nascondere di essermi commosso a questa favola, assieme al mio amico Porta. Ci siamo recati immediatamente al porto e abbiamo chiesto notizie sul vascello s(d)ecreto. E’ partito? Che porta nelle sue stive? Il comandante che tipo è? Ci hanno detto che effettivamente era partito e che era fermo nel caricatoio estero della Camera. La voce corrente era però che il comandante fosse un brutto soggetto intenzionato a fare morire di stenti e privazioni alcuni passeggeri, i COMITES e il CGIE, per non passargli più le gallette e la razione d’acqua e risparniare così sul viaggio. Il comandante, poi, aveva già detto che non appena fosse arrivata a bordo la legge delle fate azzurre, agli emigrati, che in tanti avevano calcato i ponti di quel vascello, avrebbe lasciato la possibilità di portare con sé solo i figli e i nipoti e tutti gli altri li avrebbe buttati a mare, benché in tenera età. Hai capito le fate turchine, pardon azzurre? Ora tutti ci domandiamo chi è l’elfo, o meglio, l’Alchimista Malefico che si serve delle malie delle fate per somministrare pozioni tossiche e polpette avvelenate. Sarei portato a scartare il Rommel della Farnesina, per gli amici la Volpe di Ponte Milvio, troppo impegnato a trastullarsi con i suoi giocattoli di guerra per accorgersi delle cose che accadono intorno a lui. Non sono sicuro, per la verità, nemmeno che si tratti di Tremanti lo Squartatore, che pure ha terrorizzato mezzo mondo, compresi molti elfi del suo stesso regno che prima facevano gli spacconi e i gradassi. Un dubbio è legittimo: se fosse tornato il Grande Vecchio, magari mimetizzato da trapianto di capelli, intenzionato questa volta a parlar chiaro e a realizzare nelle terre degli emigrati non un evanescente “Piano di rinascita democratica” ma un più tosto ed esplicito “Piano di annientamento demografico”? - Gino Bucchino -