Sin dall’inizio delle sue pubblicazioni Hashtag Sicilia ha dedicato uno spazio ai racconti di viaggio. Viaggiare e conoscere il mondo, scoprire Paesi lontani, è fondamentale per interpretare la realtà di tutti i giorni, coglierne luci ed ombre, speranze e difficoltà.
Riprendiamo anche in questo 2020 con un reportage esclusivo dal Myanmar – più comunemente, la Birmania – uno dei paesi più interessanti del Sudest asiatico, realizzato da Carlotta Bonura.
YANGON – La foglia d’oro che ricopre la Pagoda di Shwedagon scintilla sotto la luce del sole, insieme ai diamanti e agli zeffiri. Accanto ai santuari, delle ragazze vendono foglietti d’oro che la gente va ad attaccare uno sopra l’altro, strato dopo strato, sulle statue di Buddha. Visitatori buddisti e non, provenienti da tutte le parti del mondo, vengono in pellegrinaggio e affollano questa grande “agorà”, luogo di incontro, socialità e preghiera allo stesso tempo. Insieme a Chiara e Sofia, compagne instancabili di questo viaggio alla volta dell’Oriente, vedo i riti di questa religione così interessante e per noi così complessa. Gli otto altari detti “planetary posts” sono posizionati agli spigoli dell’ottagono della terrazza della Pagoda. Ognuno dedicato ad un giorno della settimana, sono otto perché ce ne sono due per il mercoledì, simboleggiato da un elefante. Ogni credente prega davanti all’altare del giorno della propria nascita. Ci si avvicina alla piccola statua di Buddha, si accende una bacchetta di incenso, si offrono doni. Servendosi di ciotoline poste accanto agli altari, i credenti versano sulle mani aperte della statua del Buddha l’acqua che scorre appena sotto. Questa vera e propria Mekka buddista ospita il maggior numero di Buddha (quattro) di tutte le altre pagode del Paese e ne conserva le reliquie. Ci sono molti turisti birmani e tailandesi, cinesi e coreani. Tutti chiedono di fare delle foto insieme a noi. In un batter d’occhio siamo l’attrazione del luogo. Una signora seduta per terra accanto ad un altare indica sorridente il pareo brasiliano che indosso sopra i pantaloncini, troppo corti per essere ammessa al tempio. I bambini ridono e corrono intorno a sospiranti genitori. Qualcuno riposa all’ombra. Camminiamo senza scarpe sul marmo bianco del pavimento della prima terrazza di Shwedagon (rialzata di alcuni metri dal livello della strada), indossando una gonna lunghissima chiusa a portafoglio, il tradizionale longi, che rende il movimento delle gambe molto complesso. I longi degli uomini sono annodati sul davanti e di colori più scuri rispetto ai coloratissimi completi delle donne, che brillano nella caldissima luce di questa giornata.
“La politica non è un tema di conversazione”. La mia amica Giulia, che vive da un anno a Yangon, mi confida che preferisce non parlare di politica, né accennare a Suu Kyi (“The Lady”) con i colleghi birmani dello studio in cui lavora.
Nay Pyi Taw, capitale amministrativa del Myanmar dal 2005, ospita quasi esclusivamente edifici governativi insieme ad alcune aree residenziali minori. La scelta di una nuova capitale amministrativa, lontana dai centri di maggiore concentrazione della popolazione urbana, impedisce ogni forma di protesta o partecipazione alla vita pubblica del Paese. Questo rende l’idea della politica nazionale ancora di stampo dittatoriale e militare. In Myanmar vivono circa 53 milioni di persone. La popolazione urbana ammonta a circa 18 milioni di abitanti, comprendendo i quasi 5 milioni di abitanti di Yangon (ancora spesso chiamata con il nome inglese Rangoon), circa un milione di Mandalay, un milione di Nay Pyi Taw e gli abitanti dei centri più piccoli come Hpa an o Bagan. La popolazione rurale ammonta stando agli ultimi dati (2014) a circa 34 milioni, di cui meno del 40% ha accesso all’elettricità e il 18,4% a energia pulita (come carburante per auto e gas per cucinare). L’accesso all’acqua da tubazioni o raccolte di acqua piovana è migliorato negli ultimi anni ma non interessa ancora l’intera popolazione. La popolazione rurale si stabilisce vicino a ruscelli, fiumi e laghi. Viaggiando in autobus da sud a nord e viceversa, lungo le strade corrono ruscelli, fiumi, risaie, palafitte costruite sui corsi d’acqua e cumuli di spazzatura, che non appena cala il sole vengono bruciati. La stagione delle piogge è appena finita, dura da Giugno a inizio novembre ed è ciò che scandisce i periodi dell’anno. Dopo la stagione delle piogge viene la stagione fredda, le temperature si aggirano intorno ai 30-35 gradi, a seconda dell’altitudine e della vicinanza al mare. La gente di Yangon mi sorprende per l’apertura e la tolleranza che percepisco all’arrivo. Penso ai sorrisi regalati per strada, nei mercati, nei negozi, ai bambini e agli sguardi benevoli dei monaci. Camminiamo per le strade del Downtown e calendari con il volto di Suu Kyi sventolano appesi alle entrate dei negozi. La “Lady” ti osserva da ogni angolo. Girovaghiamo per le vie del Downtown con i suoi palazzi coloniali, negozi per stranieri, tea house sulla strada, dove la gente del posto e i turisti bevono tè e mangiano in compagnia. Sedendo al Golden Bell apprezzo l’aria familiare, quasi come nei tapas bar dell’Andalusia. Non c’è bisogno di parlare: il tavolo si riempie subito di teiere, ravioli, bun cinesi e dolcetti alla crema. Tipicamente cinesi, i dolci serviti per le festività della luna hanno forme esclusivamente tondeggianti. Le Tea House sono sparse per il Downtown, nelle stradine del mercato dei libri che si estende su una rete labirintica di callette, in cui si possono trovare impolverati libri in tutte le lingue. I molti negozi di artigianato locale vendono oggetti in legno, (prevalentemente bambù), giada, ambra, argento, oro e pietre. Qui si trovano oggetti di quotidiana utilità, come le bacchette che vengono usate per mangiare, nella versione più fragile in giada e in quella più pregiata in osso di bufalo. Troviamo il negozio Hle Day, di artigianato equo e solidale, che lavora solo con comunità locali, in cui persone con difficoltà di reinserimento nella società e nel mercato del lavoro imparano una pratica artigianale. Il ricavato della vendita di questi prodotti va alla comunità. Hanno un ottimo caffè birmano. Il caffè inizia ad essere consumato più assiduamente in Myanmar. Prevalentemente nelle tea houses, frequentate da molti stranieri, si trovano tantissimi tipi di preparazione diversi: dai classici Espresso e Americano al caffè turco, moka, e altre preparazioni più tradizionali. Passeggiando tra gli edifici coloniali ci fermiamo al The Pansodan per un aperitivo prima di cena. Al ristorante dell’Hotel Wai Wai’s Place trascorriamo la serata bevendo Myanmar Beer e mangiando Tea Leaves Salad (una insalata a base di foglie di tè fermentate che diventerà protagonista delle nostre visite gastronomiche), insalata di patate, insalata di zenzero, Noodles e Kailan saltato, detto anche broccolo birmano. La sera a Yangon sediamo al tavolo con Jane, una cuoca inglese che abbiamo conosciuto in aeroporto all’arrivo e che alloggia nello stesso hotel. Mi racconta dei suoi viaggi nei luoghi più esotici. Ripenso alla visita di questa ex capitale, Yangon. Qui è ancora tutto molto “informale”, le tasse sono state introdotte da pochissimo tempo, i contratti di lavoro sono molto rari e la gran parte dei commercianti non rilascia ricevute né dichiara entrate. Il sistema sanitario pubblico non sembra adeguato alle esigenze della popolazione, anche se mi viene detto che i medici del Yangon General Hospital sono molto competenti. Ciò che manca sono le strutture e le attrezzature per permettere a questo personale di lavorare. La sanità privata è più costosa, ma più sicura. Senza dimenticare che la maggior parte della popolazione è rurale e si cura con rimedi tradizionali o medicina cinese. Le farmacie bimane sono semplici attività commerciali, per cui non si ha bisogno di una laurea in farmacia. L’inesistenza del farmacista come tale e il difficile accesso ai medici fa si che spesso medicinali senza prescrizione vengano venduti senza chiarimenti sull’assunzione, causando a volte più danni che rimedi. Le norme di sicurezza in Myanmar sono molto rudimentali. Giulia mi racconta della propria ansia nei cantieri, vedendo gli operai lavorare in infradito e longi, senza elmetti o protezioni di alcun tipo. “E’ come se loro dessero meno valore alla vita rispetto a noi”, osserva. L’aspettativa di vita in Myanmar è molto bassa, aggirandosi intorno ai 66 anni, mentre l’età media della popolazione è di 27 anni. Stanche ormai dei ritmi della città guardiamo già alle prossime tappe del viaggio: il sito archeologico di Bagan, con i suoi circa 2500 templi ancora intatti, il Lago Inle e i villaggi di palafitte, l’Oceano Indiano e Hpa an, dove sorsero le prime caverne buddiste. Carlotta Bonura Fine prima parte