(NoveColonneATG) Roma - Dalla mattina del 4 maggio l’Italia è entrata ufficialmente nella Fase 2 dell’emergenza coronavirus, quella caratterizzata da una prima parziale riapertura delle attività commerciali e produttive, sottoposta a stretto monitoraggio.
Anche in questo, l’Italia fa da apripista in Europa, ma soprattutto in America Latina dove la curva dell’epidemia segue di diversi giorni quella italiana. Antonella Cavallari (foto sopra), segretario generale dell’Organizzazione internazionale italo-latino americana, traccia un quadro della situazione d’oltreoceano: “I Paesi dell’America sono ancora tutti in lockdown, stanno pensando in alcuni casi a riaprire moderatamente, soprattutto per via delle ricadute economiche: il Perù comincia a permettere la ripresa di alcune attività produttive, il Brasile riapre a macchia di leopardo perché lì ci sono stati lockdown solo su base territoriale... La ripresa delle attività produttive è qualcosa di necessario ed è per questo che è importante l’esperienza italiana: lo è stato per la prima fase, lo sarà a maggior ragione per la seconda”. L’Iila la scorsa settimana ha riunito in videoconferenza esperti italiani e ministri, viceministri e funzionari dei paesi aderenti, per consentire uno scambio di informazioni e buone pratiche sul contrasto al coronavirus: “E’ servito a stabilire un contatto tra le persone: la Colombia ha avuto un contatto bilaterale con Walter Ricciardi (esponente dell’Oms e consiglio del ministero della Salute, ndr), i paesi hanno conosciuto a chi rivolgersi per ottenere informazioni. D’altronde il contatto è una delle vocazioni principali dell’Iila e una delle cose cui teniamo di più. In questi giorni abbiamo avuto un supplemento di richieste di informazioni, Colombia, Cuba, altri paesi si sono rivolti a noi, ma tanti contatti sono stati presi direttamente in seguito alla conferenza”.
Bolsonaro a parte, c’è la giusta considerazione dell’entità del problema nei governi e nelle popolazioni latino-americane?
“C’è una varietà di posizioni ma questo succede ovunque: in alcuni paesi in cui la sensibilità è diversa, ma del resto anche da noi ci sono quelli più cauti e quelli che vorrebbero riaprire. La viceministra della Sanità brasiliana per esempio era molto consapevole della situazione, ha espresso la necessità di ampliare la ricerca, ci ha comunicato l’entità dei fondi che il Brasile sta impiegando: al di là delle speculazioni, la sensibilità c’è”. Com’è la situazione nelle grandi metropoli sudamericane, dove soprattutto nei quartieri più poveri e popolati il distanziamento non è semplice da attuare? “Le grandi città sono più che consapevoli e hanno adottato misure molto drastiche, il governatore di San Paolo ad esempio mi ha mandato una serie di informazioni sulle misure prese, è uno dei primi ad aver attuato un lockdown totale proprio perché è difficilissimo gestire l’epidemia in certi contesti”.
Dagli Stati Uniti rimbalzano notizie drammatiche legate nella gestione dei casi dovute a un sistema sanitario quasi esclusivamente privatistico: in America Latina è garantito l’accesso alle cure per tutti?
“La situazione è variegata. Ad esempio, io ho vissuto in Brasile e in Paraguay: in Brasile c’è un sistema sanitario nazionale che funziona abbastanza bene e una rete di ospedali privati che funziona ancora meglio, in Paraguay il sistema era già piuttosto carente. Il panorama generale però è che ovunque esiste un servizio sanitario nazionale, poi certo non tutti sono all’altezza di altri”.
L’America Latina e i Caraibi rischiano di essere tra le regioni più colpite dalla pandemia a livello economico?
“Ci sono varie voci che pesano sulla bilancia della regione. Il primo è il calo delle esportazioni, di materie prime e beni: la Cepal ha calcolato una contrazione del 15% che secondo me è anche sottostimata. Poi c’è la crisi del settore petrolifero: la contrazione è molto importante in alcuni paesi che si basano molto sull’esportazione del petrolio, parlo di Colombia, Messico, ovviamente Venezuela che ne è molto dipendente, e anche dell’Ecuador. E poi c’è l’aspetto turistico, che del resto investe anche l’Italia. È una crisi che non colpisce tutti allo stesso modo, l’area sud del Continente avrà una contrazione più forte, del 5,2% del Pil secondo Cepal, perché è una parte del Sud America molto esposta all’influenza della Cina. La situazione è diversa nel Centro America: il Messico per esempio ha una interdipendenza enorme con gli Stati Uniti e potrebbe risentire meno della crisi dell’export”.
L’Iila in questo periodo sta continuando a mettere a disposizione la propria piattaforma anche per creare un ponte culturale tra Italia e America Latina, rilanciando le iniziative del programma #QuedateenCasa.
“E’ un modo per avvicinare le persone anche virtualmente, abbiamo cercato di farci dire da ogni paese cosa stava facendo per non spegnere la voce della cultura, noi abbiamo rilanciato e condiviso le loro iniziative: visite ai musei virtuali, concerti, esposizioni. Abbiamo avuto un buon riscontro, del resto la nostra è una vocazione tradizionale, basti pensare al primo disco di Astor Piazzolla che è stato prodotto grazie all’Iila (nel 1976, ndr). E poi negli anni da noi sono venuti a fare delle conferenze grandi scrittori, da Garcia Marquez fino a Sepulveda: solo qualche giorno fa, in occasione della sua scomparsa, ho ricordato quando era venuto da noi un paio di anni fa, ci aveva lasciato un ricordo indimenticabile”.
La crisi in corso che effetti avrà invece sul programma istituzionale della vostra organizzazione?
“Non lo mettiamo certo da parte a causa del Covid, anzi lo approfondiremo anche ricalibrandolo a base a quanto avvenuto: è un programma basato sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e questi obiettivi sono ancora più importanti nell’emergenza post-Covid. Avevo già pensato a un progetto su economia verde e sviluppo sostenibile, di sostegno alle piccole e medie imprese, all’empowerment femminile, alla sicurezza alimentare: li continueremo. E a proposito di sviluppo sostenibile, mi lasci dire una cosa di cui mi sembra non abbia parlato mai nessuno…” Prego. “Mi chiedo come mai si facciano tante campagne sulle mascherine, ma non si parli mai di come smaltirle. Diventerà un grande problema, una emergenza ambientale, ogni volta che esco di casa ne vedo tantissime abbandonate a terra: ecco, vorrei unire la campagna sulla consapevolezza dei dispositivi di sicurezza come guanti e mascherine con una sul corretto smaltimento, altrimenti passata l’emergenza sanitaria rischieremo di trovarci davanti a una emergenza ambientale”.