Il tribunale del Riesame ha disposto la scarcerazione dei 4 uomini che avrebbero avuto rapporti mercenari con la ragazzina, imponendo l’obbligo di presentarsi 3 giorni alla settimana alla questura. I quattro erano agli arresti domiciliari e il Riesame ha ritenuto che ormai le esigenze cautelari sono attenuate e che non motivano il mantenimento della misura detentiva per L. A., operaio, 49 anni, P. T., coltivatore diretto di 69 anni, L. P., 48 anni, autotrasportatore e G. T., allevatore di 63 anni, tutti ennesi, difesi dagli avvocati Giuliana Conte, Gabriele Cantaro, Mario Costa, Francesco Costantino e Michele Baldi. La donna è difesa dall’avvocato Franco Puzzo. Bisognerà attendere il deposito delle motivazioni del Riesame, ma l’impianto accusatorio a carico degli indagati, sembra essere stato confermato dalla decisione dei giudici nisseni. Le difese contestavano le ordinanze, chiedendone l’annullamento. Per i difensori le indagini sono state condotte per alcuni mesi dalla Procura ordinaria di Enna che ha poi trasmesso alla Dda il fascicolo, tuttavia le intercettazioni telefoniche che sono uno degli elementi principali dell’accusa, sarebbero inutilizzabili, perché disposte dalla procura di Enna. La procura aveva avviato le indagini sospettando un giro di prostituzione, quando su una utenza sotto controllo erano state intercettate alcune telefonate con Loredana B. Erano scattati pedinamenti ed appostamenti ed era emerso che la donna faceva prostituire la ragazzina con alcuni suoi clienti. Quando era stato accertato che si trattava di una minorenne il fascicolo era stato trasmesso alla Dda che ha proseguito le indagini condotte dalla Squadra mobile di Enna e chiesto le misure cautelari al Gip nisseno che le aveva disposte. Nell’inchiesta sono coinvolti anche altri uomini denunciati a piede libero, che avrebbero avuto rapporti a pagamento con la ragazza quando questa aveva già compiuto 16 anni. (fonte: vivienna)
ENNA. SU MANCATA BONIFICA MINIERA PASQUASIA PER LA PROCURA SAREBBE COLPEVOLE L’ING.LA ROSA
Enna. Nella vicenda della miniera di sali potassici di Pasquasia e della sua bonifica ad essere colpevolizzato è stato l’ingegnere Pasquale La Rosa, 57 anni dell’Ufficio di coordinamento dei siti minerari ed ex consegnatario della miniera, tanto da finire nell’inchiesta della Procura di Enna. L’ingegnere La Rosa si è giustificato in aula di tribunale che “pur avendo il potere di intervenire sull’inquinamento di Pasquasia, non aveva le risorse a disposizione per poter compiere una massiccia azione di bonifica del sitoâ€. Lo hanno spiegato due funzionari dell’Arra, l’agenzia regionale per i rifiuti, testimoni dell’accusa al processo a carico dell’ingegnere Pasquale La Rosa. Da maggio La Rosa è sotto processo di fronte al tribunale penale collegiale di Enna, presieduto dal giudice Vittorio Giuseppe La Placa. L’accusa è sostenuta dal pm Francesco Rio, mentre l’imputato viene difeso dall’avvocato Marzia Maniscalco. Secondo l’accusa La Rosa non avrebbe lavorato perché si evitasse la dispersione delle fibre di amianto alla miniera di Pasquasia e avrebbe messo a repentaglio, l’incolumità del territorio. Parte civile il ministero dell’Ambiente, tramite l’avvocatura dello Stato, assistita dall’avvocato Salvatore Faraci. Nel corso del dibattimento i testimoni hanno sottolineato come la bonifica di Pasquasia comporta un intervento economico notevole, tant’è vero che oggi si sta provvedendo con una gara d’appalto di 24 milioni di euro, che si svolgerà la prossima settimana con l’apertura delle buste. La Rosa viene accusato di non aver provveduto alla rimozione e allo smaltimento del cemento amianto, sparso sul suolo del sito minerario di Pasquasia e di non aver rimosso varie decine di fusti di olio dielettrico, ed altri rifiuti pericolosi depositati in due capannoni. Secondo la Procura si tratterebbe di atti che, per ragioni di igiene e sanità , dovevano essere compiuti con una certa immediatezza. Inoltre vi è l’accusa del presunto stoccaggio abusivo di fusti, bidoni e sacchi. L’accusa più grave è quella di avere messo a rischio l’incolumità pubblica, dunque di disastro colposo, commettendo i reati previsti dalle due imputazioni precedenti. Nel dettaglio, la Procura sostiene che l’ingegnere La Rosa non avrebbe fatto depositare i rifiuti “in modo tale da impedire il rischio di dispersioni di polveri e fibre contenenti amiantoâ€, “omettendo di rimuovere i rifiuti e di bonificare il sito minerarioâ€. In questa maniera avrebbe creato involontariamente pericolo per la pubblica incolumità , “considerato che il percolato dei rifiuti sarebbe andato a confluire nei sottostanti torrentelli affluenti nel fiume Morelloâ€, a valle del sito minerario. Il processo riprenderà a dicembre. (fonte: vivienna)
REGALBUTO: PRESENTATO IL LIBRO SUL COMPLESSO ARCHEOLOGICO DI SANT’ANTONIO
Regalbuto. In ogni territorio ci sono luoghi importanti, luoghi a cui siamo abituati da sempre, ma di cui spesso non conosciamo l’importanza storica. Un esempio di questi luoghi è sicuramente il complesso del Monte Sant’Antonio di Regalbuto, un luogo quasi magico, che domina la Valle del Salso, di cui molto si è raccontato ma poco si è studiato. La comunità regalbutese dispone da oggi di uno strumento importantissimo che fa luce sulle origini del complesso rupestre e sulla storia della comunità regalbutese, il libro “L’insediamento rupestre di Monte Sant’Antonio a Regalbuto – Alle origini di Rahal di Abbud†scritto da Ileana Contino e Francesca Buscemi. Ileana Contino è un’archeologa regalbutese, che ha studiato presso l’Università di Catania e fornisce consulenze specialistiche presso diverse sovrintendenze. Francesca Buscemi è invece è ricercatrice e insegnante di archeologia presso le università di Catania e Palermo. Sia l’ex Sindaco Gaetano Punzi che l’attuale primo cittadino hanno sentito la necessità di affidare a una regalbutese competente e preparata come Ileana Contino un progetto che riguardasse il nostro territorio. Come ha ricordato la Contino si è subito pensato a Monte Sant’Antonio e al grande patrimonio mai scoperto interamente e mai studiato adeguatamente. Sul monte è presente un convento settecentesco confiscato alla Chiesa nel 1866 e venduto a privati. La difficile situazione proprietaria è proprio la causa del degrado del sito, che adesso verte in condizioni di difficile stabilità . Il lavoro delle due archeologhe si è concentrato su una mappatura dell’intero sito, di cui vi sono tracce ancora visibili, seppure spesso coperte da arbusti e segni del tempo. Un lavoro difficile dunque, perchè scopre una cosa nuova, mai studiata, portato avanti con passione e scrupolo e grazie al supporto dei volontari della ProLoco. Alla fine del lavoro si è tracciata una mappa che rivela un sito molto più ampio di quanto questo possa sembrare oggi e perfino le tracce di una antica chiesa di ispirazione bizantina scavata nella roccia. Oltre alle autrici del libro erano presenti e sono intervenuti anche Ferdinando Maurici, Professore presso il distaccamento di Trapani dell’Università di Bologna e Direttore del Parco del Monte Iato, Anselmo Musco, docente di Filosofia Medioevale presso l’Università di Palermo e Carmela Bonanno, Direttore del Parco Archeologico di Sabucina e rappresentante della Sovrintendenza delle Belle Arti di Enna. (fonte: vivienna)