MATTARELLA: PALERMO E L’ITALIA RICORDANO IL FRATELLO DEL PRESIDENTE L’altra faccia dello stesso partito Nell’immaginario collettivo la figura autorevole di Piersanti Mattarella, ex Presidente della Regione
Sicilia nonché fratello dell’attuale inquilino del Quirinale, rappresenta il bel cuore degli elettori palermitani e soprattutto la parte pulita di tutti gli isolani che si sono sempre schierati dalla parte antagonista al potere mafioso. E pensare che proveniva dallo stesso schieramento (scudo crociato) da cui provenivano Vito Ciancimino e “sua Maestà” Salvo Lima. Due facce di una stessa medaglia ma con visioni politico-sociali completamente diverse, agli antipodi, uniti (in un modo o nell’altro) da un sottilissimo filo conduttore; le influenti cosche del Clan Riina. Sono caduti tutti per mano dei sicari di Don Toto’; amici, nemici, conniventi, accaniti oppositori e a farne le spese – naturalmente – gli uomini che occupavano le poltrone più importanti. Nato a Castellammare del Golfo (Trapani), Piersanti era – come si suol dire – figlio d’arte a livello politico, poiché il padre Bernardo (anch’esso Democristiano DOC) negli anni ’50 e ’60 aveva a più riprese ricoperto l’incarico di Ministro in numerosi dicasteri: Marina Mercantile, Trasporti, Commercio Estero, Poste - Telecomunicazioni e Agricoltura. Il secondogenito decise dunque, dopo una giovinezza studentesca trascorsa a Roma, ispirandosi a Giorgio La Pira di rientrare in patria ed intraprendere l’attività politico-istituzionale nella sua amata terra. Nato e cresciuto in Azione Cattolica e divenuto docente presso l’Università di Palermo la sua profonda ideologia - pur con radici centriste – collima con la corrente interna guidata da Aldo Moro, tendente “con leggerezza” verso una sinistra europeista. Dopo una folgorante carriera da Consigliere comunale e Deputato regionale, Mattarella conquista – nel 1978 – la presidenza del Palazzo dei Normanni, lo scranno più alto, all’epoca dei fatti covo di serpi, funzionari corrotti e ambigui personaggi a libro paga di Cosa Nostra. E’ una mosca bianca (anche in seno al suo partito) in mezzo ai tanti esponenti dell’isola totalmente in balia del governo centrale e di quelle strutture associative malavitose periferiche a guida Lima e company. Il Presidente non si voleva piegare ai diktat dei mammasantissima, aveva in cantiere importanti riforme atte a disinfestare l’ingarbugliato apparato dei lavori pubblici cittadini e non gradiva affatto il ritorno in auge di Ciancimino. Per questo - e non solo - la Cupola ormai in mano ai Viddani di Corleone (dopo la seconda Guerra di Mafia) dà il benestare per la sua eliminazione e (come troppo spesso avvenuto in quegli anni) lo fa nella maniera più violenta. Il 6 gennaio 1980 (giorno dell’Epifania), poco prima delle 13, Mattarella esce di casa, in via Libertà, il salotto buono di Palermo; è con moglie e figli e si sta dirigendo in parrocchia per la celebrazione della Santa Messa. La famiglia sale a bordo della Fiat 132. Non c'è scorta in quelle ore: la rifiuta nei festivi, vuole che anche gli agenti stiano con le loro famiglie. Pensiero nobile. Si è appena seduto alla guida della vettura, quando, dal nulla sopraggiunge il killer che rapidamente spara uno, due, tre colpi, poi fugge! La moglie Irma Chiazzese gli prende la testa tra le mani, piange, lo scuote. Non c’è nulla da fare, nessuna risposta e spira mezzo'ora dopo in ospedale. Accanto a lui il fratello Sergio, accorso per strada appena appresa la notizia. A soli 45 anni, l’uomo che non tollerava le infiltrazioni dell’Onorata Società” nelle nostre istituzioni, lascia la vita terrena a pochi passi dalla sua abitazione nel cuore del capoluogo Siculo. Uno dei tanti drammi della nostra Prima Repubblica, martoriata e insanguinata da Nord a Sud in un contesto di pazzesca collusione che era divenuto vero e proprio modus operandi in un sistema marcio fino al midollo. Quei pochi – come Piersanti - che hanno tentato con coraggio di combatterlo l’hanno pagata a caro prezzo. Magistrati eroici, Forze dell’ordine impegnate sul campo, giornalisti troppo zelanti e persone oneste prestate alla politica (come il sopra citato) hanno tentato di sovvertire l’andamento generale di una Nazione avvolta da una nube di intrighi e malaffare senza precedenti. Le indagini partono a rilento e solo dopo diversi anni dall’efferato omicidio paradossalmente non si parla di Mafia (come tutti si aspettavano) ma bensì di attacco terroristico compiuto dai Neofascisti.
Il Procuratore aggiunto di Palermo Giovanni Falcone, per tutta una serie di collegamenti tra i Nar e le Cosche locali è convinto che in quel gesto di sangue siano coinvolti Giuseppe Valerio Fioravanti (detto Giusva) e Gilberto Cavallini. Ma la verità, solo dopo la strage di Capaci non tarderà a venire a galla. E’ Don Masino Buscetta unitamente a Gaspare Mutolo a rivelare la paternità dell’attentato. Non si uccide nessuno in terra di Sicilia senza l’avallo dei Padrini di Corleone, questo è poco ma sicuro e, anche se in quegli anni c’è un anticomunismo viscerale è ben chiaro che il Leader DC non è stato sacrificato per un mero scopo politico ma esclusivamente per fermare la sua preoccupante ascesa che – probabilmente – lo avrebbe visto protagonista di una sicura candidatura alla Segreteria nazionale. A Cosa nostra non interessa il colore, gli ideali o il credo ma solo ed esclusivamente il business, gli appalti e le banconote fruscianti. La leggenda dell’anarchico idealista Salvatore Giuliano e di un Sud filo-americano vicino al pensiero monarchico, cattolico ed anti marxista è una teoria di comodo che ha coperto per mezzo secolo le reali finalità di tutto il meccanismo perverso degli anni d’oro. I signori con rivoltella che si fanno chiamare Boss hanno solo un DIO; il denaro! E chiunque si frapponga fra loro e gli obiettivi prefissati o non mantenga quanto promesso diventa inevitabilmente carne da macello, poco ma sicuro, che siano essi rossi, gialli o verdi. Lo dimostra l’altra faccia della stessa medaglia, il Sig. Salvo Lima, capo indiscusso della DC isolana, quella vicino ai Clan, storico amico delle “famiglie” palermitane, l’esatto contrario di Mattarella. 12 anni dopo la morte del suo ONESTO collega di partito, a fronte di un accordo non rispettato in merito alle dure sentenze della Corte di Cassazione anch’esso verrà liquidato in egual maniera. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta c’è la Guerra in Sicilia, un conflitto interno tra i “Don” cittadini e i campagnoli brutali di periferia. E’ il pentito eccellente Buscetta a confermarlo, ed è sempre lui a sostenere che la Belva di nome Salvatore, amico di Bernardo, cognato di Bagarella a suon di detonazioni costringe, senza mezze misure, i cosiddetti colletti bianchi alla sudditanza. Stefano Bontade, considerato il Boss elegante, il Principe di Villagrazia, il frequentatore in cravatta della Palermo bene ne esce totalmente annientato e i seggi che contano all’interno della “commissione” interprovinciale di Cosa nostra vanno tutti ai fedelissimi di Corleone; Michele Greco detto il Papa, Pippo Calò e Francesco Madonia in testa.
Il Presidente dell’Assemblea autonoma regionale non è - ovviamente - né il primo né l’ultimo a cadere sotto il piombo dei “soldati” della nuova reggenza Riina. Numerose le anime di buona speranza che lo hanno anticipato, a partire dal capo della mobile Boris Giuliano e dal Giudice Cesare Terranova. Poco dopo si aggiungeranno alla lista (tristemente nota) Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Lenin Mancuso, Emanuele Basile, Giuseppe Montana e Ninni Cassarà.
Piersantti Mattarella è stato uno dei rarissimi esempi di politica sana, costruttiva, non disposta a soccombere sotto le minacce dell’organizzazione e non tollerare in alcun modo quanto fatto nel disastroso “sacco di Palermo” dalla triade Lima-Ciancimino-Gioia. Proiettili di vario calibro che nel corso del tempo hanno cosparso di sangue e morte vie e piazze della splendida punta del nostro Stivale, sostituiti (nei primi anni Novanta) dall’arrivo dei mezzi pesanti di nome Semtex, Tnt e C4. Dopodiché, a Stato ormai sconfitto, una misteriosa calma piatta! MIRKO CROCOLI