Sono anni che nella super procura del capoluogo siciliano si indaga sulla delicatissima questione della trattativa tra Stato e Mafia, il famoso accordo più volte citato da Massimo Ciancimino (figlio di Vito) e da Giovanni Brusca, il pentito “eccellente” che, dopo essersi macchiato di efferati crimini, ha deciso di collaborare alacremente con la giustizia. I due (ma non solo) in più occasioni hanno tirato in ballo il famoso “papello” o “papeddu”, un carteggio suddiviso in 12 punti essenziali (quanti gli apostoli) scritto dalla Cupola capitanata dai corleonesi e indirizzato ad alcuni esponenti delle nostre istituzioni unitamente alla classe politica di fine Prima Repubblica. Cosa Nostra, dopo le dure condanne inflitte ai suoi uomini in Corte di Cassazione, lette da Presidente Valente nel gennaio del 1992, decide di praticare una feroce vendetta nei confronti dei principali personaggi ritenuti i veri responsabili di quei verdetti implacabili. Cominciano con il leader Democristiano Salvo Lima, trucidato in strada, reo di non aver mantenuto le promesse di assoluzione o alleggerimento pene nel terzo e ultimo grado di giudizio e, pochi mesi dopo, sulla A29, all’altezza di Capaci nel comune di Isola Delle Femmine è il turno di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e tre valorosi agenti della scorta. La questione (dopo Capaci) si fa problematica. il Clan dei “Viddani” si abbatte come un fiume in piena dapprima su quello che considera il “compiacente” storico alleato, il punto di contatto (da anni) con il potere centrale e in successione sull’Eroe numero 1, divenuto il simbolo per antonomasia della lotta alla mafia. Il segnale è chiaro e diretto; attenti, ora non avremo più pietà per nessuno. Lo stesso Andreotti andava punito con due precisi messaggi; l’eliminazione fisica del sodale partner DC in terra Sicula e l’ostruzionismo di tipo mediatico-sanguinario nella corsa al Colle più alto della capitale. L’eclatante attentato è stato probabilmente anticipato a maggio, proprio nel momento in cui la nazione era orfana (in quei mesi) proprio del Presidente della Repubblica. Il “divo” Giulio, più volte Premier e capo dicastero, ormai all’apice della sua carriera, ambiva spasmodicamente a quell’incarico ma qualcuno o qualcosa glielo ha impedito. Muore Lima, viene barbaramente assassinato Falcone, l’establishment “nostrano” inizia realmente ad avere paura e – non ne siamo ancora certi – per la logica del muoia Sansone e tutti i filistei, la vecchia guardia di Palazzo Chigi (e non solo) finisce col calare le brache dinnanzi a certi apocalittici scenari. Salvatore - O curtu - la belva, lo sterminatore dei padrini di città (vedi Bontade), il comandante dei colletti bianchi e il “terminator” delle nostre istituzioni vuole fatti concreti e non più chiacchiere. O si fa come dice lui (loro) oppure la scia di sangue non avrà più fine. E’ giunto il punto di piegare lo Stato, di redigere il “papello”, un serie di segnalazioni atte ad invertire la rotta in un sistema troppo antimafioso. Secondo quanto riportato dalle carte di Ciancimino Junior e company le richieste sono piuttosto eloquenti: via il 41 bis (carcere duro), via la legge la Rognoni-La Torre (reato di associazione a delinquere di stampo mafioso), immediata revisione delle sentenze/condanne di Cassazione, stop alle restrizioni in cella per le visite parentali, arresto solo in fragranza, sconto pena nei penitenziari vicini alle abitazioni di residenza, blocco delle ispezioni postali ritenute troppo fiscali e tanto altro ancora. Una serie di comandamenti emananti dalla Commissione e destinati – secondo il figlio dell’ex Sindaco in odore di mafia – alle nostre care e indebolite autorità.
Si disse che, Riina, Provenzano e i Fratelli Graviano (Filippo e Giuseppe) siano stati i veri fautori di tale iniziativa e che, in un contesto molto più ampio, vedeva coinvolti oltre al padre Vito anche il Comandante dei Ros Gen. Mario Mori e il Col. Mauro Obinu, per quest’ultimi pendeva anche l’accusa di aver favorito la latitanza di Bernardo “Binnu u Tratturi” Provenzano. Vennero ascoltati (come solo testimoni) decine di ex illustri esponenti della politica italiana, tra i quali Luciano Violante, Nicola Mancino e Claudio Martelli. Alla fine di un lungo iter processuale, secondo i giudici, lo stile calligrafico sul brogliaccio-papello in forma di fotocopia consegnata da Massimo Ciancimino e Michele Riccio non corrisponde alla mano di nessun “uomo d’onore” sopra menzionato.
Dopo un febbrile dibattimento il Tribunale di Palermo assolve, il 17 luglio 2013, con formula piena perché il fatto non costituisce reato i due ufficiali della Benemerita e – paradossalmente – al principale accusatore, Massimo Ciancimino, viene ravvisata l’ipotesi di falsa testimonianza come previsto dall’art. 372 del c.p.. Tutto ribaltato e il grande mistero sul cosiddetto “papello” rimane a tutt’oggi fonte di intrigata matassa. Ad onor del vero, è bene chiarire che, l’intera vicenda non è da considerasi affatto conclusa poiché, ancora e con maggiore scrupolosità, si sta indagando sulle eventuali connivenze tra uomini che ci hanno governato, Forze di Polizia e capiclan delle cosche siciliane. Il reato per tutti è Violenza e minaccia al corpo politico dello Stato, come previsto dall’art. 338 c.p.
A proposito di questo strano “PAPIRO” a noi cittadini non ci resta che sperare con positività nel lavoro attento e costante degli inquirenti e - soprattutto - nelle grandi doti da investigatore dell’ultimo impavido cavaliere; il Dott. Nino Di Matteo. ( Mirko Crocoli)