Biografia Placido Rizzotto Nacque a Corleone  da Giovanna Moschitta e Carmelo Rizzotto. Primo di sette figli, perse la madre quando era ancora bambino. In seguito all'arresto del padre, con l'accusa di far parte di un’associazione mafiosa,

fu costretto ad abbandonare la scuola per occuparsi della famiglia. Durante la seconda guerra mondiale  prestò servizio nel Reggio Esercit sui monti della Carnia, in Friuli Venezia Giulia, con il grado di caporale prima, di caporal maggiore poi e infine di sergente. Dopo l’armistizio dell’8 settembre si unì ai partigiani delle Brigate Garibaldi come socialista.

Rientrato a Corleone al termine della guerra, iniziò la sua attività politica e sindacale. Ricoprì l'incarico di Presidente dei reduci e combattenti dell’ANPI di Palermo e quello di segretario della Camera del lavoro di Corleone. Fu esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della CGIL. Venne rapito nella serata del 10 marzo 1948, mentre andava da alcuni compagni di partito, e ucciso dalla mafia per il suo impegno a favore del movimento contadino per l'occupazione delle terre. Mentre veniva assassinato, il pastorello Giuseppe Letizia assistette al suo omicidio di nascosto e vide in faccia gli assassini. Per questo venne ucciso con un'iniezione letale, fattagli dal boss e medico Michele Navarra  (il mandante del delitto di Placido Rizzotto).

Le indagini sull'omicidio furono condotte dall'allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio. Grazie alla testimonianza di Collura fu possibile ritrovare alcune tracce del sindacalista, ma non il corpo, che era stato gettato da Liggio nelle foibe di Rocca Busambra, nei pressi di Corleone. Criscione e Collura, insieme a Liggio che rimase latitante fino al  1964, furono assolti per insufficienza di prove, dopo aver ritrattato la loro confessione in sede processuale.

 

RIPORTIAMO SI SEGUITO L'ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA di Marco Nese 9 marzo 2012 | 16:25

 

Placido Rizzotto, la ricostruzione di un giallo lungo oltre mezzo secolo

Un testimone messo a tacere, la vendetta personale e quel cadavere dal cranio fracassato

Così il CORRIERE DELLA SERA in un articolo di Marco Nese del 9 marzo 2012 pubblica la drammatica vicenda.

 MILANO - La tragica fine di Placido Rizzotto fu causata da Luciano Liggio che, alla fine della Seconda guerra mondiale, aveva 20 anni e una smania sconfinata di emergere come boss mafioso. Capì che per diventare qualcuno doveva conquistare la benevolenza del padrone dell’intera zona di Corleone, il dottor Michele Navarra, un padrino all’antica che si trovò ad affrontare la rivolta dei contadini, i quali sfilavano per le vie dei paesi al grido di “Terra per tutti”. Il momento cruciale delle lotte contadine giunse nella primavera del 1948, i più agguerriti erano i contadini del feudo Drago, guidati dal giovane sindacalista Placido Rizzotto. La figura di Rizzotto turbava il sonno di Navarra. Don Michele temeva che quel profeta degli oppressi avrebbe trascinato i contadini in una guerra inarrestabile. Lo detestava anche per ragioni personali. Non gli aveva mai perdonato un affronto inaudito. Rizzotto era segretario della locale sezione combattenti e reduci di cui Navarra, a perpetua caccia di titoli, aveva tentato di diventare socio onorario. La risposta era stata un secco no: «Lei non è stato combattente, tanto meno reduce».

La sera del 10 marzo 1948 l’incauto Placido Rizzotto scomparve. Quella sera stessa un pastorello di nome Giuseppe Letizia scese dalla montagna sconvolto. Balbettando spiegò al padre di aver visto i banditi che fracassavano il cranio a un uomo. E siccome il pastorello gridava e si agitava come uno spiritato dovettero portarlo all’ospedale dove fu visitato dal dottor Navarra, che apparve molto interessato al racconto del ragazzino. «Forse ha solo visto un ladro che gli rubava le pecore», disse il medico. E aggiunse che un’iniezione lo avrebbe calmato. Ma l’iniezione non era di quelle che calmano. Era di quelle che uccidono. Il certificato di morte, firmato dal dottor Ignazio Dell’Aira, un medico che aveva aperto da poco uno studio a Corleone, parlava di “decesso dovuto a tossicosi”. Questo particolare incuriosì i carabinieri che ordinarono l’autopsia. Allora fu chiaro che la morte era sopraggiunta per avvelenamento. Il dottor Navarra si disse costernato perché aveva commesso un errore, aveva “scambiato” iniezione. Ma il suo collega Dell’Aira capì di essersi cacciato in un guaio grosso: chiuse lo studio, salì su una nave e se ne andò in Australia.

Pochi giorni dopo la scomparsa del pastorello, l’onorevole Girolamo Li Causi, comunista, guida morale dei contadini in lotta, ricevette una lettera quasi completamente scritta in dialetto: «Attento le persone che ti faccio presenti, che è stato le carnefici di Placito tutte le due altri sono Luciano Liggio Cammarata Pietro… e lo figlio del chiagnoto, quello che sta avecino alla chiesa de Sallionardo… Quando anno preso Placito lui lo spetevano a dietro la chiesa di Santoluca che ci avevano la machina pronta che prima di uscire il paese Placito era dicendo lasciatemi andare. Sì andare alla morte!». Per entrare nelle grazie di Navarra, Luciano Liggio aveva tolto di mezzo il fastidioso sindacalista. E cominciò a praticare una comoda latitanza. Le indagini sulla scomparsa di Rizzotto si arenarono. La fine del sindacalista diventava uno dei tanti “casi irrisolti”.

Stavolta però accadde qualcosa di imprevisto. Giovanni Pasqua, ex amico di Liggio, relegato nel carcere Ucciardone di Palermo, divenne improvvisamente loquace. Probabilmente per vendetta. Sta di fatto che dichiarò di conoscere la verità sulla morte di Rizzotto. Disse che quella famosa sera del 10 marzo, Liggio aveva avvicinato Pasquale Criscione, il gabellotto del feudo Drago, e gli aveva mostrato il rigonfiamento della pistola sotto la giacca ordinandogli di convincere Rizzotto a seguirlo in un luogo isolato. Criscione non ebbe scelta. Affiancò Rizzotto, che era in piazza, e inventò una scusa per portarlo via. Proseguirono verso la villa comunale dove non c’era anima viva. A questo punto sbucò dall’ombra Liggio che piantò la canna della pistola nelle costole del sindacalista. Sopraggiunse anche Vincent Collura che ordinò a Criscione di sparire e tenere la bocca chiusa. Per verificare il racconto di Giovanni Pasqua, i carabinieri arrestarono Collura, il quale confessò. Con Liggio aveva costretto Rizzotto a salire su una Millecento partita poi verso la zona rocciosa di contrada Casale. Qui, Liggio gridò a Rizzotto di scendere e lo sospinse nel buio verso i sassi.

Echeggiarono tre colpi di pistola

Poi Liggio spiegò a Collura di aver gettato il cadavere in una voragine dove nessuno lo avrebbe mai trovato. Il padre di Rizzotto, sconvolto dal dolore, gridava per le vie del paese che l’assassino di suo figlio era sicuramente Liggio, ma il mandante era il dottor Navarra. Una bomba per Corleone. Navarra fu mandato al confino a Gioiosa Jonica in Calabria. Mentre Liggio era introvabile. Si arriva al processo per l’uccisione di Rizzotto. Vincent Collura, reo confesso, davanti ai giudici si rimangia tutte le accuse, giura di non ricordare di aver mai rilasciato dichiarazioni contro Liggio. Nonostante la richiesta di ergastolo del pubblico ministero, Liggio è assolto per insufficienza di prove. E’ ormai un boss, liquida anche il vecchio Navarra e diventa il padrone di Corleone. Finché nel 1964, dopo una lunga latitanza, il colonnello dei carabinieri Milillo lo arresta nel suo nascondiglio, il posto dove meno avrebbero dovuto cercarlo, a casa di Leoluchina Sorisi, l’ex fidanzata di Placido Rizzotto.

CORRIERE DELLA SERA Marco Nese 9 marzo 2012 | 16:25