“I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo”.
(Sandro Pertini - dal discorso di fine anno, 31 dicembre 1978)
Che uomo Alessandro Pertini detto Sandro, che Socialista e che veracità questo ex partigiano che ha lasciato un segno indelebile non solo sulla storia del Colle più alto di Roma, ma anche su quella italiana. Per non parlare del contesto in cui è stato eletto Presidente; in pieno stragismo, a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, in una fase inizialmente di profonda crisi economica e poi – successivamente - di esplosione del Pil, e nel mezzo di una delle dispute politiche più accese ed accanite del XX secolo. E’ “tosto” Sandro, lo ha dimostrato negli anni quaranta, quando insieme al collega Saragat viene imprigionato a Regina Coeli e sempre in prima linea contro la lotta alla dittatura fascista. E’ un politico di “razza”, di quelli che non se ne vedono più, contraddistinto da un’innata sincerità e una tale straordinaria onestà che lo ha reso unico nel suo genere. Quell’Italia viaggiava su due binari equidistanti e paralleli; da un lato viveva una stagione all’insegna della ripresa e della crescita economica e sociale e dall’altro il peggior momento degli anni della violenza. Duro il 1978 per il nostro Paese. Il sequestro e il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro segna il momento più delicato degli anni di piombo; lo scandalo Lockheed che travolge il Quirinale e Giovanni Leone di certo lascia molto amaro in bocca e in questo particolare contesto di criticità c’è da ridare speranza ad un popolo deluso e disincantato. L’unico che è in grado di rilanciare l’immagine è un ligure, nato in provincia di Savona, un politico di grande levatura. Un combattente insieme al socialdemocratico Saragat del regime, e soprattutto un puro nella testa e nell’animo. Medaglia d’oro al valor militare, deputato all’Assemblea Costituente e Presidente della Camera per quasi dieci anni, Sandro Pertini identificava alla perfezione il Presidente che in quegli anni la nazione richiedeva.
La Dc porta Guido Gonella, il Pci Giorgio Amendola e i socialisti Pietro Nenni. Si continua in questa fase per quindici scrutini fin quando, al sedicesimo, i tre maggiori partiti convergono sul nome di Pertini, che l’8 luglio del 1978 raggiunge la maggioranza con uno strepitoso 83,6%, pari a 832 su 995 elettori. Un plebiscito!
Il Presidente numero sette fa sentire la sua personalità quando con coraggio consegna l’incarico di formare un governo a Spadolini e successivamente al leader socialista Bettino Craxi. Pertini e Craxi dunque, insieme alla guida del Paese, un gesto che negli anni Ottanta porta, per la prima volta, alla famosa sterzata a sinistra dopo decenni di monocolore Dc. Due lauree; in giurisprudenza a Modena e in Scienze Sociali a Firenze, aderisce nel 1922 al Partito socialista unitario di Filippo Turati e nel secondo conflitto è grande oppositore del movimento fascista.
Sull’attentato di Via Rasella ideato da Giorgio Amendola si professa innocente, non conferma il suo impegno in quell’agguato, né la sua diretta partecipazione, anche se ex post considera giusta l’intera operazione. Tante le vicende a cui - durante il suo mandato - è costretto, suo malgrado, ad assistere. Un’intera Nazione che cambia. Si reca spesso in Sicilia e non per visite istituzionali ma per presenziare ai continui funerali degli uomini che lottano contro la mafia; Pio La Torre e il Generale Dalla Chiesa. È un’Italia in “guerra”, molteplici ed efferati gli omicidi per mano di Cosa nostra siciliana, della camorra campana, delle bombe sui treni e nelle piazze. E’ l’epoca vissuta in prima persona al Colle dal VII° Presidente; tra gioie e sconcerto. Forte è il rammarico per la perdita dell’amico Enrico Berlinguer, e la sua commozione ai funerali la dice lunga sull’affetto e la stima che nutriva per lui. Triste il momento che vive a Vermicino, nella lunga diretta di “Alfredino”; il bambino caduto nel pozzo da cui prende spunto per la creazione della Protezione Civile e memorabile quanto indimenticabile la storica partita a scopa sull’aereo con Bearzot di rientro dalla Spagna con la coppa del mondo al seguito. Emozioni contrastanti e sincere, che hanno reso ancora oggi - l’ex partigiano ligure - uno dei migliori Presidenti della nostra Repubblica e sicuramente tra i più amati dal suo popolo.
Il 29 giugno del 1985 Pertini lascia il Quirinale e il 3 luglio, Francesco Cossiga, detto il “picconatore”, si insedia al suo posto. Pochi giorni fa, e con precisione il 24 febbraio, ricorreva la sua morte. Era il 1990, aveva 93 anni quando si spense a Roma, e dopo un quarto di secolo, il suo impegno sociale e la sua straordinaria verve ancora è viva nei ricordi di quanti erano presenti. Profondo e sincero il suo amore per i giovani, proverbiale la sua devozione alle Istituzioni, indissolubili i suoi forti ideali…e noi - per concludere – vorremmo ricordarlo nostalgicamente con queste parole, che risuonano oggi ancora più vibranti rispetto agli anni in cui era nostro Capo di Stato:
“Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero” (Mirko Crocoli)