Nel 1967 si trasferisce a Palermo per seguire negli studi le figlie e per scrivere. Esce intanto per l'editore Mursia una antologia "Narratori di Sicilia", curata da Sciascia in collaborazione con Salvatore Guglielmino.
Nel 1969 inizia la sua collaborazione con il Corriere della Sera e pubblica Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D., che racconta, attraverso una rappresentazione teatrale, la controversia per la vendita di una partita di ceci per la quale il vescovado di Lipari non vuole pagare la tassa (siamo all'inizio del '700). Il vescovo aveva scomunicato i gabellieri, ma il re, mediante l'appello per abuso, aveva annullato la scomunica. La storia, apparentemente banale, in realtà denuncia i rapporti tra Stato-guida dell'ex Urss e gli Stati satelliti. Le iniziali A.D. identificano Alexander Dub?ek, che fu protagonista nel 1968 della Primavera di Praga.
La pensione
Nel 1970 Sciascia va in pensione e pubblica la raccolta di saggi "La corda pazza", nella quale l'autore chiarisce la propria idea di "sicilitudine" e dimostra una rara sensibilità artistica espressa per mezzo di sottili capacità saggistiche. Quest'opera riporta, già dal titolo, a Luigi Pirandello che nel suo libro "Berretto a sonagli" sostiene che ognuno di noi ha in testa "come tre corde d'orologio, quella "seria", quella "civile", quella "pazza"".
Sciascia vuole indagare sulla "corda pazza" che, a suo parere, coglie le contraddizioni e le ambiguità ma anche la forza razionalizzante di quella Sicilia che è tanto oggetto dei suoi studi.
Il ritorno al genere poliziesco
Il 1971 è l'anno de "Il contesto", con il quale l'autore ritorna al genere poliziesco. La vicenda si svolge intorno all'ispettore Rogas che deve risolvere una complicata vicenda che origina da un errore di giustizia e una serie di omicidi di giudici. Benché il romanzo sia ambientato in un paese immaginario, il lettore riconosce senza sforzo l'Italia contemporanea. Il libro desta molte polemiche, più politiche che estetiche, alle quali Sciascia non vuole partecipare, ritirando così la candidatura del romanzo al premio Campiello.
Dal romanzo venne ispirato il film di Francesco Rosi, uscito nel 1976 ed intitolato Cadaveri eccellenti.
Con gli "Atti relativi alla morte di Raymond Roussel" del 1971, si comprende che in Sciascia la propensione ad includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera si fa sempre più forte. Così sarà ne "I pugnalatori" del 1976 e ne "L'affaire Moro" del 1978.
Nel 1973 pubblica "Il mare colore del vino" e scrive la prefazione ad un'edizione della "Storia della colonna infame" di Alessandro Manzoni, in cui scrive: «Più vicini che all'illuminista ci sentiamo oggi al cattolico. Pietro Verri guarda all'oscurità dei tempi e alle tremende istituzioni, Manzoni alle responsabilità individuali».
Nel 1974 pubblica la prefazione ad una ristampa dei "Dialoghi" dello scrittore greco Luciano di Samosata dal titolo "Luciano e le fedi".
Esce intanto Todo modo, un libro che parla "di cattolici che fanno politica" e che viene stroncato dalle gerarchie ecclesiastiche. Il racconto, di genere poliziesco, è ambientato in un eremo/albergo dove si effettuano esercizi spirituali. In questo luogo, durante il ritiro annuale di un gruppo di "potenti", tra i quali cardinali, uomini politici e industriali, si verifica una serie di inquietanti delitti.
Anche da questo romanzo verrà tratto un film dallo stesso titolo diretto dal regista Elio Petri nel 1976.
L'impegno politico
Alle elezioni comunali di Palermo nel giugno 1975 lo scrittore si candida come indipendente nelle liste del PCI; viene eletto con un forte numero di preferenze, ottenendo il secondo posto come numero di preferenze dopo Achille Occhetto, segretario regionale del partito, e davanti ad un altro illustre candidato, Renato Guttuso[6].
Nello stesso anno pubblica "La scomparsa di Majorana", una indagine sulla scomparsa del fisico Ettore Majorana avvenuta negli anni trenta.
Nel 1976 esce una ristampa delle commedie "L'onorevole" e "Recitazione della controversia liparitana" con l'aggiunta de "I mafiosi". Nello stesso anno pubblica l'indagine "I pugnalatori", un libro inchiesta su una vicenda avvenuta a Palermo nel 1862 che vide uccise a pugnalate 13 persone.
All'inizio del 1977 Sciascia si dimette dalla carica di consigliere del PCI. La sua contrarietà al compromesso storico e il rifiuto per certe forme di estremismo lo portano infatti a scontri molto duri con la dirigenza del Partito comunista.
L'inchiesta sulla strage di via Fani e l'arrivo in parlamento
Nel 1978 pubblica L'affaire Moro sul sequestro, il processo e l'omicidio nella cosiddetta "prigione del popolo" ad Aldo Moro organizzato dalle Brigate Rosse.
Nel giugno del 1979 accetta la proposta dei Radicali[8] e si candida sia al Parlamento europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali resta a Strasburgo solo due mesi[9] e poi opta per Montecitorio, dove rimarrà deputato fino al 1983 occupandosi dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro (con una forte critica rivolta alla cosiddetta "linea della fermezza", difatti Sciascia si era prodigato perché si trattasse con le Brigate Rosse per liberare Moro) e sul terrorismo in Italia. Da una parte si trova in lui il rifiuto della violenza, dall'altra una costante critica del potere costituito e dei suoi segreti inconfessabili. È inoltre membro della commissione agricoltura e della bicamerale antimafia [10]
Si espresse anche contro la legislazione d'emergenza, che istituiva poteri speciali e inaspriva molte fattispecie di reato; egli era inoltre contrario al "pentitismo" (sia per il terrorismo sia per la mafia), in quanto premiava troppo un colpevole in cambio di rivelazioni che potevano essere fallaci, anche a danno di innocenti. Fu inoltre uno dei primi a ravvisare lati oscuri nel rapporto tra il terrorismo e lo Stato.[6][11] A Sciascia venne attribuito lo slogan "né con lo Stato né con le Brigate Rosse", per indicare la volontà di molti intellettuali di criticare duramente lo Stato senza per questo aderire al terrorismo rosso; in realtà egli non pronunciò mai questa frase.[12]
Nel marzo 1982 i parlamentari del Partito Radicale (tramite interrogazioni dei deputati Bonino, Rippa, Faccio, Boato e altri) e altri del PDUP (Famiano Crucianelli) e indipendenti (Stefano Rodotà), denunciano le torture inflitte ai brigatisti dalla polizia, principalmente durante il sequestro del generale James Lee Dozier; il Ministro dell'Interno Virginio Rognoni, che poi ammetterà di avere autorizzato i "metodi duri" e dato il "via libera" alle squadre speciali guidate dal prefetto Umberto Improta e dai funzionari Fioriolli, Genova e Ciocia, critica pesantemente i deputati. Il 23 marzo 1982 Sciascia prende la parola alla Camera, ribattendo in maniera decisa al Ministro:
« Ieri sera ho ascoltato con molta attenzione il discorso del ministro e ne ho tratto il senso di una ammonizione, di una messa in guardia: "badate che state convergendo oggettivamente sulle posizioni dei terroristi!" Personalmente di questa accusa ne ho abbastanza! In Italia basta che si cerchi la verità perché si venga accusati di convergere col terrorismo nero, rosso, con la mafia, con la P2 o con qualsiasi altra cosa! Come cittadino e come scrittore posso anche subire una simile accusa, ma come deputato non l'accetto. Non si converge assolutamente con il terrorismo quando si agita il problema della tortura. Questo problema è stato rovesciato sulla carta stampata: noi doverosamente lo abbiamo recepito qui dentro, lo agitiamo e lo agiteremo ancora![13] »
I contatti con la cultura francese
In questi anni aumenta i suoi viaggi a Parigi e si intensificano i contatti con la cultura francese.
Nel 1977 pubblica "Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia", dove è chiaro il riferimento al "Candido" di Voltaire.
Esce in quell'anno "Nero su Nero", una raccolta di commenti ai fatti relativi al decennio precedente, "La Sicilia come metafora", un'intervista di Marcelle Padovani e "Dalle parti degli infedeli", lettere di persecuzione politica inviate negli anni cinquanta dalle alte gerarchie ecclesiastiche al vescovo Patti, con il quale inaugura la collana della casa editrice Sellerio intitolata "La memoria" che festeggia nel 1985 la centesima pubblicazione con le sue "Cronachette".
Nel 1980 pubblica "Il volto sulla maschera" e la traduzione di un'opera di Anatole France, "Il procuratore della Giudea".
Nel 1981 pubblica "Il teatro della memoria" e, in collaborazione con Davide Lajolo, "Conversazioni in una stanza chiusa".
Nel 1982 esce "Kermesse" e "La sentenza memorabile", nel 1983 "Cruciverba", una raccolta di suoi scritti già pubblicati su riviste, giornali e prefazioni a libri.
Pubblica nel 1983 "Stendhal e la Sicilia", un saggio per commemorare la nascita dello scrittore francese.
Gli ultimi anni di vita
In quegli stessi anni gli fu diagnosticato il mieloma multiplo. Sempre più spesso fu costretto a lasciare la Sicilia per Milano per curarsi ma egli continua, sia pure con fatica, la sua attività di scrittore.
Nel 1985 pubblica "Cronachette" e "Occhio di capra", una raccolta di modi di dire e proverbi siciliani, e nel 1986 "La strega e il capitano", un saggio per commemorare la nascita di Alessandro Manzoni.
Carichi di tristi motivi autobiografici sono i brevi romanzi gialli "Porte aperte" del 1987, "Il cavaliere e la morte" del 1988 e "Una storia semplice", ispirato al furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi del Caravaggio, che uscirà in libreria il giorno stesso della sua morte.
Nel 1986 Sciascia scrive a Bettino Craxi, comunicandogli di aver votato per il PSI nelle elezioni regionali siciliane di quell'anno ed invitando il leader socialista a favorire il ricambio della classe dirigente siciliana del partito.
Nel 1987 cura una mostra molto suggestiva, all'interno della Mole Antonelliana a Torino, dal titolo "Ignoto a me stesso" (aprile-giugno). Erano esposte quasi 200 rare fotografie scelte da Leonardo Sciascia e concesse in originale da importanti istituzioni di tutto il mondo. Si tratta di ritratti di scrittori famosi, dai primi dagherrotipi ai giorni nostri, da Edgar Allan Poe a Rabindranath Tagore a Gorkij a Jorge Luis Borges. Il catalogo viene stampato da Bompiani e oltre il saggio di Sciascia "Il ritratto fotografico come entelechia" contiene 163 ritratti e altrettante citazioni dei relativi scrittori. La chiave della mostra è forse la citazione di Antoine de Saint-Exupéry: « Non bisogna imparare a scrivere ma a vedere. Scrivere è una conseguenza »
Una delle sue ultime battaglie politiche fu in difesa di Enzo Tortora (suo amico di lungo corso, vittima di errore giudiziario e divenuto anch'egli un militante radicale) e il sostegno dato ad Adriano Sofri, accusato nel 1988 dell'omicidio Calabresi (Sciascia chiese anche che si facesse finalmente luce sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli del 1969).[14]
Pochi mesi prima di morire scrive "Alfabeto pirandelliano", "A futura memoria (se la memoria ha un futuro)", che verrà pubblicato postumo, e "Fatti diversi di storia letteraria e civile" edito da Sellerio.
La morte
Leonardo Sciascia morì a Palermo in seguito a delle complicazioni, il 20 novembre 1989 e chiede i funerali in Chiesa, per "non destare troppo scandalo" attorno alla famiglia a Racalmuto[15]. Con lui nella sua bara la moglie e gli amici vollero mettere un crocifisso d'argento, simbolo che egli rispettava, pur non essendo un credente in senso stretto (ma nemmeno ateo: «mi guidano la ragione, l'illuministico sentire dell'intelligenza, l'umano e cristiano sentimento della vita, la ricerca della verità e la lotta alle ingiustizie, alle imposture e alle mistificazioni», scrisse[16])[17][18]. Al funerale viene ricordato da numerose parole di stima, fra cui quelle del grande amico Gesualdo Bufalino.
È sepolto nel cimitero di Racalmuto, suo paese natale; sulla lapide bianca una sola frase: « Ce ne ricorderemo di questo pianeta » (Epitaffio sulla tomba di Sciascia, la citazione è di Auguste de Villiers de L'Isle-Adam (Salvatore Augello da vikipedia)