La corte di Federico II, infatti, era ben frequentata da scrittori, poeti, artisti di vario genere ed ispirazione, che diedero lustro al grande mecenate e che portarono ai livelli più alti la scuola siciliana.
Di quella epoca, in questa rubrica vogliamo ripercorrere la strada, attraverso la conoscenza dei suoi protagonisti, che di volta in volta cercheremo di presentare e fare conoscere ai nostri elettori, quindi seguiremo su questa strada per arrivare ai giorni nostri ed agli scrittori ed artisti che stanno rendendo famoso il nostro secolo.
La letteratura siciliana comprende tutti i testi letterari scritti in lingua siciliana e si è sviluppata in Sicilia dal XIII secolo ai giorni nostri. Essa ha una componente popolare importante, poiché per secoli (e spesso tuttora) la produzione orale è stata molto più coltivata di quella scritta. Gli studiosi si trovano così di fronte ad un'imponente tradizione popolare, che è stata codificata solo nel XIX secolo, e ad un minor numero di documenti scritti di alto valore letterario.
La storia
Le origini: la cultura di massa
Uno dei personaggi più conosciuti della letteratura popolare siciliana è Giufà. Questo nome deriva da Giovanni, prima abbreviato in Giovà e poi adattato in Giufà. Lo scrittore e studioso della lingua siciliana Giuseppe Pitrè, nel libro Racconti Popolari Siciliani, ha trattato la storia di questo personaggio, reso famoso tramite i racconti di generazione in generazione e tuttora conosciuto dalla maggior parte dei siciliani.
I primi due testi interamente in siciliano sono due ricette conservate in un foglio di guardia di un antico manoscritto francese, conservato alla Biblioteca nazionale di Parigi, una per creare il colore azzurro e una per placare il desiderio sessuale. Sono state studiate da Antonino Pagliaro.
La Scuola siciliana
L'imperatore Federico II
Fin dal 1166 alla corte normanna di Guglielmo II di Sicilia convenivano da ogni parte i trovatori italiani.
I primi componimenti poetici in aulico siciliano risalgono al XIII secolo, quando si affermò presso la corte di Federico II (e si sviluppò ulteriormente sotto il regno del figlio Manfredi) la famosa scuola siciliana. Si trattava di un gruppo di funzionari statali che coltivavano la poesia, seguendo temi prettamente amorosi e riprendendo le liriche dei poeti provenzali, i trovatori.
Rimangono solo due componimenti nell'originale volgare siciliano, salvati da Giovanni Maria Barbieri: Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro da Messina e S'iu truvassi Pietati di Re Enzo, figlio di Federico. Tutte le altre poesie furono tradotte in fiorentino dai copisti toscani, che le conservarono in alcuni manoscritti, tra cui il Vaticano Latino 3793 e il Laurenziano Rediano 9.
Tra gli altri poeti i più famosi sono Giacomo da Lentini, considerato il caposcuola e anche l'inventore del sonetto e l'alcamese Cielo d'Alcamo, autore del famoso contrasto Rosa fresca aulentissima del 1231. Vi sono inoltre i messinesi Guido delle Colonne, Mazzeo di Ricco, Odo delle Colonne, Ruggieri d'Amici e Tommaso di Sasso, i campani Rinaldo d'Aquino e Pier della Vigna, il lentinese Arrigo Testa, il pisano Jacopo Mostacci, il genovese Percivalle Doria, il toscano Compagnetto da Prato, il pugliese Giacomino Pugliese, il francese Giovanni di Brienne e il piemontese Paganino da Serzana.
Dante Alighieri, nel dodicesimo capitolo del primo libro del trattato del De vulgari eloquentia, ricorda il volgare siciliano come uno tra i più illustri volgari italiani del suo periodo:
« Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell'isola hanno cantato con solennità. »
Subito dopo, però, il poeta spiega che non sta scrivendo del volgare del popolo, ma degli intellettuali:
« Il volgare siciliano, a volerlo prendere come suona in bocca ai nativi dell'isola di estrazione media (ed è evidentemente da loro che bisogna ricavare il giudizio), non merita assolutamente l'onore di essere preferito agli altri, perché non si può pronunciarlo senza una certa lentezza… Se invece lo vogliamo assumere nella forma in cui sgorga dalle labbra dei siciliani più insigni… non differisce in nulla dal volgare più degno di lode. »
La citazione di Dante è senza dubbio la prova più evidente della fama che ottennero i poeti della Scuola siciliana presso i contemporanei.
In verità, Dante fu con tutta probabilità tradito dalla traduzione toscana delle poesie siciliane, avvenuta di poco posteriormente alla quasi totale distruzione degli archivi siculi per opera francese. Le poche originali copie di cui siamo oggi in possesso furono infatti oggetto di ritrovamento solo intorno al 1500.
Trecento
Alla scuola siciliana segue un periodo di stagnazione culturale, che non viene aiutata dai governanti: gli angioini non hanno lo stesso interesse di Federico II per l'isola e la cultura non viene promossa. Nel XIV secolo la produzione letteraria si concentra prevalentemente nei testi devozionali, tra cui spicca la traduzione del Vangelo secondo Matteo.
Questi alcuni dei testi letterari composti in questo secolo: le traduzioni dal latino effettuate dal frate Johanni Campulu (i dialoghi di San Gregorio), Accurso di Cremona (un libro dello storico Valerio Massimo) e Angelo di Capua (l'Eneide).
La traduzione degli exempla del Factorum et dictorum memorabilium libri IX di Valerio Massimo, realizzata intorno al 1320, è stata dedicata a Pietro II di Sicilia. Si tratta di una delle poche opere medievali a possedere un proemio. L'autore è un mastru in li arti, proveniente da Cremona e facente parte della corte siciliana. Il titolo originale è Libru di Valeriu Maximu, translatatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona. Per quanto riguarda l'Eneide, Angelo di Capua si ispirò ad una traduzione toscana nel trasporre in volgare l'opera di Virgilio. L'edizione moderna è curata da Gianfranco Folena.
La produzione di trattati scientifici è invece rappresentata da otto testi, tra cui il Thesaurus pauperum di Arnaldo da Villanova e l'Antidotarium Nicolari.
Quattrocento
La ripresa si ha grazie all'opera di Francesco Petrarca, che con il suo Canzoniere influenza ampiamente la produzione letteraria siciliana, dando vita ad un cosiddetto petrarchismo dialettale. I primi esponenti di questo movimento sono Vilardo Di Rocco, Matteo Torello e Rocco Corbera.
Del 1477 è un ricettario attribuito a Luca di Silo, che mise insieme un gran numero di testi antichi riguardanti i più svariati argomenti, con formule quasi magiche. Si tratta di retaggi di una sapienza antica, più che della cultura popolare. Il testo era destinato prevalentemente ai dottori.