Possiamo considerare come data di svolta della Autonomia regionale siciliana quella in cui l’Alto Commissario per la Sicilia costituisce, il 1° settembre 1945, la Commissione incaricata di redigere il progetto di Statuto. Proprio su questa data va fatta una riflessione in quanto appare, non indifferente per spazzare via un luogo comune, purtroppo accettato anche in sede scientifica, assolutamente senza fondamento. Per chi parla infatti di soluzione pattizia, e rifiuta il concetto di un’autonomia come concessione, quella data è, infatti, dirimente. Basta ricordate come già dal febbraio 1944 la Sicilia era stata restituita al legittimo governo italiano ed erano stati ricostituiti gli uffici decentrati dei ministeri per cui il controllo sull’isola era totale. L’idea di accordo “pattizio” prevede infatti che vi siano due entità, pari ordinate, che addivengono ad un accordo e che fissano di comune accordo regole e limiti; mi pare che, nel ‘45/46, non esistesse un corrispondente contraente rispetto allo Stato, tantomeno un’entità pariordinata con cui lo Stato stesso era costretto a trattare. Sgombrato il campo da questo che, ripeto, è un luogo comune, possiamo ricordare che i lavori della Commissione iniziarono il 22 settembre del 1945 e si conclusero il 7 dicembre dello stesso anno. Un brevissimo lasso di tempo nel corso del quale i commissari ebbero modo di confrontarsi soprattutto con gli studi di Gaspare Ambrosini sullo Stato autonomistico regionale che si rifaceva all’esperienza della Catalogna, varata nel 1931 e durata fino all’avvento del franchismo. L’idea guida, sulla quale gli stessi commissari, pur espressione di diverse esperienze politiche, tuttavia d’accordo sulla creazione di un’entità politico giuridica autonoma nel quadro dello Stato italiano. Il problema (o i problemi) riguardavano soprattutto le interpretazione da dare a questa nuova entità politico giuridica, che si rifletteva sull’estensione dei poteri, delle competenze e delle prerogative da assegnare a quest’entità. In sede di commissione furono, dunque, presentati quattro progetti di Statuto, tutti e quattro riflettenti le tendenze che si venivano a confrontare. Un progetto che riassumeva la preoccupazione della sinistra per una possibile degenerazione in senso separatista, era stato presentato da Mario Mineo, un giovane intellettuale socialista. Esso infatti piuttosto che esaltare l’aspetto politico-istituzionale della nuova istituzione, poneva l’accento sulle esigenze socio-economiche dell’isola, e tendeva a fare della istituenda Regione, in collaborazione e non in contrapposizione con lo Stato, uno strumento funzionale allo sviluppo del territorio inquadrando la questione siciliana nel contesto della questione meridionale. Anche il progetto Salemi era restrittivo, nel senso che la competenza legislativa regionale si esercitava entro “i limiti della legislazione di principio e di interesse generale” e per “soddisfare condizioni particolari e gli interessi propri della Regione”. Il terzo progetto, presentato da Giovanni Guarino Amella, noto per essere stato il segretario dell’Aventino, si modellava su quello già citato della Generalidad de Catalunã e invertiva il sistema di attribuzione delle competenze, infatti piuttosto che elencare le materie di competenza della Regione, elencava quelle dello Stato attribuendo alla Regione tutte quelle non comprese nella indicazione di cui all’art. 22 del progetto. L’ultimo progetto era quello del duca Avarna di Gualtieri, che si muoveva all’interno della logica del programma minimo indipendentista, il progetto assegnava alla Regione materie in competenza esclusiva senza alcun vincolo o limite statuale e prevedeva, addirittura, la creazione di un ruolo di magistrati regionali. Nonostante le differenze sostanziali fra i quattro progetti, la Commissione riuscì a trovare una sintesi ed il progetto, su cui lavorò Salemi, poté arrivare alla Consulta che ne affrontò la discussione soprattutto registrando dissensi sul tema della estensione dell’autonomia finanziaria e su quello dell’idea di Regione, nonché sul rapporto della Sicilia con il resto del Mezzogiorno. Il decano dei consultori, il vecchio Enrico La Loggia, protagonista della storia politica siciliana già dalla fine dell’ottocento e redattore di un progetto sulla regionalizzazione dei lavori pubblici in Sicilia, si fece portavoce dell’idea che lo Statuto regionale dovesse essere strumento di risarcimento per i presunti torti subiti dall’isola dall’unità in poi. Inoltre lo stesso La Loggia sosteneva che la Sicilia potesse, grazie al sistema tributario e al fondo di solidarietà nazionale, fare a meno dello Stato e soprattutto dovesse rinunciare a fare sistema con quel Mezzogiorno col quale condivideva ritardi culturali ed economici che si traducevano in evidente sottosviluppo. Sullo sfondo di questa impostazione isolazionista stava sicuramente l’idea di strutturare una istituzione che facesse barriera al cosiddetto “vento del nord”, quel rinnovamento radicale che sembrava dovesse cambiare in profondità la struttura di potere del Paese. Un “vento del nord” che portava, per ragioni opposte, il comunista Giuseppe Montalbano a proporre l’emendamento decisivo per vincolare la competenza legislativa esclusiva prevista dall’art. 14 che poteva esercitarsi “senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali che [sarebbero state] deliberate dalla Costituente dello Stato”. Questo emendamento, evidenziava Massimo Ganci, “rivelava la cieca fiducia che, allora, le forze di sinistra riponevano [appunto] nel ‘vento del nord’. Mario Mineo, fu il consultore che avversò maggiormente l’impostazione laloggiana che invece ottenne l’appoggio pieno dei comunisti rappresentati da Li Causi e che, anche grazie a quest’appoggio, fini per essere maggioritaria provocando, per protesta, le dimissioni dello stesso Mineo. Lo Statuto che venne alla fine approvato, ebbe come risultato di giustificare lo storico isolazionismo siciliano e per effetto l’indebolimendo, proprio per la mancanza dell’apporto dell’isola, di quel meridione che avrebbe dovuto, di fronte alla nuova Italia, presentarsi unito. La consapevolezza di questo errore fu oggetto delle riflessioni della fine degli anni sessanta e primi anni settanta quando, anche grazie ad una nuova classe dirigente più sensibile alle politiche meridionaliste, attraverso le cosiddette Conferenze delle regioni del mezzogiorno (la prima delle quali si svolse nel 1971 proprio a Palermo) si tentò di recuperare, con non proprio brillanti risultati, gli errori del passato. (by Pasquale Hamel) continua/3