di Agostino Spataro - Nuovi muri di cemento e di odio Non serve altro odio e altro sangue, già ne scorre abbastanza in Israele, in Palestina, sopra i colli della vecchia e della nuova Gerusalemme. Città tre volte “santa” per le principali religioni monoteiste che le imposero il nome, bene augurante, di “città della pace”, da cinquemila anni causa e sede di conflitti infiniti, di eccidi compiuti, sotto differenti stendardi, in nome e per conto dello stesso Dio che, forse, l’avrà “promessa” a più di uno. A ben pensarci, non si capisce in che cosa consista la “santità” di questa città. Per Gustave Flaubert, che nel 1848 vi si recò da pellegrino, “Gerusalemme è un carnaio circondato di mura. Tutto v’imputridisce…” (in “Viaggio in Oriente” Ed. Mancoso, Roma, 1993). Ancora oggi, il grande problema è quello della pacifica e paritaria convivenza tra le diverse comunità residenti. Nel 1947, le Nazioni Unite decisero di dare alla città uno status speciale, di “corpus separatum” amministrato da un consiglio di tutela dell’Onu”. Purtroppo, così non è stato, non è. Continuano le separazioni, le discriminazioni, i conflitti. Si alzano nuovi muri di cemento e di odio; nascono nuovi quartieri ebrei nella zona attribuita agli arabi. Si allontana la soluzione politica. Eppure, sulla questione di Gerusalemme e su quella israelo/palestinese la diplomazia interna-zionale ha profuso, inutilmente, il più lungo, defatigante sforzo negoziale della storia contemporanea. Viene da chiedersi: come mai i “gentili” riuscivano a far convivere decine di Dei, mentre a Gerusalemme non si riesce a far coesistere tre confessioni religiose ispirate dallo stesso
Dio? Quella volta Federico a Gerusalemme Correva l’anno 1228, quando Federico II, re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero, giunse, a capo della VI Crociata, in Terra Santa e senza colpo ferire “conquistò” Gerusalemme e se ne proclamò re. Non era successo prima, non succederà dopo. Fu questa l’unica Crociata risoltasi, in modo incruento e a favore dei cristiani, mediante un accordo di pace raggiunto tra Federico e il sultano Kamil. Un fatto veramente eccezionale nella storia penta millenaria della Città “tre volte santa”, reso possibile dalla cultura e dalla mentalità “mediterranea” dei due sovrani, che assicurò alla Palestina un lungo periodo di pacifica convivenza. Dopo quella esperienza, Gerusalemme non ebbe più pace: passò da un’invasione a un’altra, da una guerra all’altra. L’ultima, quella “dei sei giorni” del 1967, quando fu occupata dalle armate israeliane. Poco tempo dopo, sarà proclamata, unilateralmente, “capitale eterna e indivisibile dello Stato d’Israele” in violazione delle vigenti risoluzioni dell’Onu che assegnano alla Città uno “statuto speciale internazionale”. La comunità internazionale (in primis il Vaticano) non ha riconosciuto come legittima tale decisione, tanto che nessun governo ha trasferito la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme “capitale”. Strano, però. Israele è l’unico Stato nato per decisione dell’Onu ed è uno dei primi Stati al mondo che non rispetta le risoluzioni dell’Onu ossia della “madre” che lo ha generato. Oggi, a Gerusalemme non c’è la guerra, ma neanche la pace. Si stanno accumulando tante, gravi tensioni che alla prima scintilla potrebbero esplodere. Una regione a statuto speciale a… Gerusalemme. Una soluzione o una minaccia? Mentre fra i dignitari delle tre religioni del Libro continua l’eterna contesa sulla Città santa, in alcuni ambienti della “scienza” araldica è in corso una controversia, sotterranea e surreale, al limite ridicola, sulla legittima attribuzione del titolo di re di Gerusalemme, derivato dalla auto-proclamazione di Federico II di Svevia del 1228. In sintesi, la contesa si svolge fra chi sostiene il diritto dei discendenti degli Hohenstaufen (Svevi) e chi quello degli eredi di Casa Savoia. La più parte propende per i Savoia i quali, oltre al regno d’Italia, avrebbero, così, il diritto di rivendicare quello di Gerusalemme che era associato al primo. Se, per assurdo, dovesse prevalere l’altra corrente, l’ambito titolo spetterebbe agli eredi di casa Sveva, in quanto associato a quello di re di Sicilia. Senza fare confusione con il successivo regno “delle due Sicilie”,
denominazione coniata dai Borboni per gabbare i baroni siciliani e mantenere la reggia a Napoli. Se il titolo di re di Gerusalemme fosse attribuito agli svevi, noi siciliani, come popolo costituente del regno e dell’impero, potremmo sentirci autorizzati a esportare le nostre competenze in fatto di governo di territori contesi. Legittimamente, direi! Muovendo dalla decisione dell’Onu (che impone uno Status speciale per la Città santa), potremmo andare a impiantare in quel territorio conteso una bella “regione a statuto speciale gerosolimitana” e così porre fine alla diatriba. Stiamo scherzando, ovviamente! Tuttavia, l’idea potrebbe essere brandita come deterrente, come minaccia per indurre ebrei, mussulmani e cristiani ad accordarsi e a convivere in pace a Gerusalemme. (Agostino Spataro)