Nel 1328, Federico III aveva messo insieme una consistente flotta di cinquanta galere e un consistente corpo di spedizione per unirsi alle forze imperiali e assestare agli angioini di Roberto d’Angiò quel colpo decisivo che avrebbe messo fine alla lunga lotta iniziata con la rivolta del Vespro.
Alla guida di quel corpo di spedizione si sarebbe messo lui stesso. E qui il colpo di scena. I baroni siciliani bloccarono l’operazione perché violava il patto costituzionale che imponeva al re di non allontanarsi dal regno se non con l’assenso preventivo del Parlamento. Quel veto, di fatto impedì a Federico di assumere la guida della spedizione. Proprio quel vincolo fu richiamato a partire dalla fine del settecento nei confronti dei sovrani Borbone. La stessa Costituzione del 1812 imponeva al sovrano di mantenere la residenza in Sicilia. Per aggirare questo ostacolo i Borbone tentarono di sostituire la figura del re con un luogotenente generale. Il primo fra essi fu proprio il principe Francesco di Borbone, vicario generale con l’alter ego. Adesso seguirono diversi luogotenenti generali, che in pratica avevano le stesse funzione degli antichi viceré, che tuttavia non avevano sangue reale e questo, evidentemente, era male accetto ai siciliani. Fu Ferdinando II che, salito al trono nel 1830, tentò di dare soddisfazione agli isolani, a lui si deve la nomina del fratello Leopoldo Beniamino di Borbone, conte di Siracusa, nato a Palermo nel 1813, che mantenne la carica per ben cinque anni. Nel 1835 , il giovane principe venne tuttavia rimosso dall’incarico, pare su richiesta del principe di Metternich, per una sua vicinanza alle idee liberali. Certo è che Leopoldo si fece amare dai siciliani e fu particolarmente critico nei confronti della involuzione della politica del fratello. Significativo è il giudizio che esprime in una lettera spedita da Parigi, dove si era stabilito per allontanare le polemiche, alla madre nel 1848 di cui trascriviamo il seguente brano: ”Carissima mamma, ….Il nome di Borbone, grazie alle inutili e barbare esecuzioni e grazie all’eccidio di tante centinaia di vittime sacrificate ad un principio che non è certo quello del bene dell’umanità, risveglia un’idea di orrore in tutti, siano italiani siano esteri”. Dopo la vicenda siciliana, Leopoldo si ritirò a vita privata non accettando nessuna delle cariche che gli venivano proposte. Per la cronaca, Leopoldo, che come il fratello Francesco aveva sposato una principessa Savoja, si dichiarò favorevole all’unità d’Italia e si adoperò perché ci fosse un passaggio non traumatico dal Regno sud al Regno d’Italia. Proprio Leopoldo, infatti, invitò con due lettere – che si dice fossero state suggerite dal diplomatico sabaudo, marchese Salmour di Villamarina – il nipote Francesco II a lasciare pacificamente il trono per evitare quelli che egli definiva inutili spargimenti di sangue di cui la dinastia avrebbe dovuto portare la responsabilità. Significativo è il giudizio che da su di lui il filosofo Benedetto Croce, additandolo ai posteri indicandolo come “costante assertore di libertà”. Palermo, che lui ha molto amato, a tutt’oggi, non gli ha dedicato, come invece sarebbe stato doveroso né una piazza e nemmeno una strada. by Pasquale Hamel (foto sopra)