Poteva accadere anche questo in quel tempo che, con tanto superficiale che impropria definizione, è stato liquidato come l’età dei “secoli bui”. La vicenda che raccontiamo riguarda un fanciullo di nome Teofilatto, appartenente a una nobile stirpe, i conti di Tuscolo che, allora, spadroneggiavano a Roma

e tenevano in ostaggio la cattedra di Pietro, la consideravano eredità familiare, facendone merce vile merce di scambio. A quel fanciullo, allora dodicenne affidato alle cure del colto e pio prete, fu imposta la tiara per volere del padre Alberico III. A detta dei detrattori dei Tuscolo, quel fanciullo – divenuto papa col nome di Benedetto IX – avrebbe condotto una vita scandalosa, lo accusarono di essere un sodomita e di avere stuprato giovani donne, sicuramente non in linea con la missione di sommo pontefice di santa romana chiesa ma, anche se tale non fosse stata, immaginate quale esempio o quale responsabilità poteva intestarsi un ragazzino anche se fosse stato guidato da saggi consiglieri. Nonostante ciò, rimase sul trono per circa dodici anni, strumento nelle mani di chi esercitava realmente il potere, fino a quando i romani, sollecitati dai Crescenzi – la fazione rivale dei Tuscolo -, non si sollevarono contro lo strapotere dei Tuscolo, e lo deposero in maniera clamorosa. Ma la storia di Benedetto IX non finì lì, il peggio sarebbe arrivato di lì a poco. Dopo meno di un anno dalla detronizzazione, le lotte intestine fra le famiglie romane lo riportarono a Roma e il giovane Benedetto potette rientrare trionfalmente nelle stanze papali. Una vittoria la sua che, tuttavia, non lo soddisfaceva fino in fondo. Perché ingabbiarsi nelle regole liturgiche e sottostare ad un cerimoniale pesante quando invece la vita scorreva e ne poteva gustare a piene mani gli aspetti più piacevoli? Ecco allora la soluzione al suo dilemma. Al trono pontificio aspiravano in tanti e fra essi anche l’arciprete Giovanni Graziano della ricca e potente famiglia dei Pierleoni. Questi ultimi erano ebrei convertiti che si erano arricchiti con l’usura ed erano penetrati nel cuore della Chiesa divenendone autorevoli esponenti. Benedetto cui interessava sciogliersi dal vincolo e godersi la vita, fece convocare l’arciprete e di punto in bianco gli propose lo scambio. Avrebbe ceduto la tiara per una congrua somma di danaro. Detto fatto il blasfemo baratto venne concluso con soddisfazione di entrambe i contraenti. Fu così che Giovanni Graziano, il 5 maggio 1045, assurse alla cattedra di Pietro col nome di Gregorio VI. Per la cronaca, anche questo nuovo papa, non ebbe lunga presenza, infatti, malgrado la fama di santità che circondava ancora in vita Gregorio VI, le basi per la sua elezione a Papa indebolivano la figura, seppure carismatica. Questo pontefice aveva acquistato la dignità papale, per cui poteva essere accusato di simonia, tanto che nel 1046 fu deposto per iniziativa dell’imperatore Enrico II. La deposizione di Gregorio fece sperare a Benedetto di ritornare sul trono di Pietro. Ci volle ancora l’intervento dell’imperatore per mettere fine allo scandalo. Benedetto fu infatti scomunicato da Damaso II, il nuovo papa. Da quel momento la sua storia pubblica finisce anche se la morte lo coglie ben otto anni dopo. Di lui San Pier Damiani scrisse che era un uomo “sguazzante nell’immoralità, un diavolo venuto dall’inferno travestito da prete” sguazzante nell’immoralità. Pasquale Hamel