Buones Aires, 25/09/2010 - Agostino Spataro intervista Maria Kodama “Invece d’indignazione il fatto mi procura un’intima soddisfazione, quasi un’eccitazione, come se si trattasse di una nuova forma di erotismo letterario.”
1… Confesso che a me, con 35 anni d'iscrizione all'Ordine dei giornalisti, mi procura piacere e un certo appagamento ogni qualvolta che uno o più brani di un mio articolo, di un mio libro sono usati da altri sena citare la fonte. Mi dovrei indignare, protestare. Invece, no. Il fatto mi procura un’intima soddisfazione, quasi un’eccitazione, come se si trattasse di una nuova forma di erotismo letterario. Poiché ne deduco che il plagiario sia stato talmente attratto da quel brano fino ad attribuirselo, incurante dei codici etici (la famosa deontologia professionale) e d’altra natura. Immagino che egli vi sarà stato costretto dal… bisogno. Da qui il riconoscimento implicito per il vero autore, il suo meritato appagamento. Dopo questa sintetica premessa, che vale come considerazione personale di ordine generale, andiamo, al caso specifico che desidero segnalare all’attenzione del mio improbabile lettore. Nei giorni scorsi, mi è capitato di leggere un lungo articolo sul quotidiano “Il Foglio” (del 24/2/2020.), dal titolo assai bello e intrigante “La vita delle statue”, scritto da Valentina Bruschi, sicuramente una valente collega che però vi ha inserito un paio di frasi mie senza citarne la vera fonte. Non so come siano andate esattamente le cose. Se tale stravaganza sia stata intenzionale o indotta. Fatto sta che nel citato articolo (noi siamo abituati a citare autore e fonte!) si attribuiscono ad altri (o a chi?) le frasi, riportate fra virgolette,
(vedi foto n.3)
tratte da una mia intervista (di 10 anni fa) alla signora Maria Kodama sul viaggio di Jorge L. Borges in Sicilia, pubblicata in "La Repubblica" del 26 ottobre 2010 (vedi foto n. 2).
Foto n. 2- Mio pezzo tratto da “La Repubblica” del 26 ottobre2010 Foto n. 3- Pezzo tratto da “Il foglio” del 24 /2/ 2020 Ho segnalato il fatto al direttore del quotidiano non per farne una questione formale, ma solo per chiarire la ragione di tale stravaganza, per averne una spiegazione, per il rispetto dovutomi, se non altro perché ho fatto circa 26.000 km per raggiungere B. Aires. E anche a tutela della serietà della categoria. A ulteriore conferma,. aggiungo di avere inserito il testo dell’intervista alla Kodama nel mio libro ("Borges, nella Sicilia del mito"), uscito nel 2016, come tributo al grande scrittore argentino nel 30° anniversario della morte. (vedi sito: https://www.amazon.it/BORGES-NELLA-SICILIA-MITO-conversazione-ebook/dp/B01EXPTLIY) Il libro sarà ampiamente recensito su “Il Venerdì di Repubblica” del 27 maggio 2016 (vedi foto n. 4) da Piero Meli il quale, oltre a cogliere i passaggi più interessanti e piccanti del libro, descrive la mia singolare e piacevole esperienza a Buenos Aires, dove passai alcuni giorni a inseguire la vedova di Jorge L. Borges per farle l’intervista. Ci riuscii in extremis, al ristorante dell’aeroporto di “Ezeiza” di B.A., accompagnandola in taxi per imbarcarsi su un volo per Francoforte, dove era stata invitata come ospite alla fiera del libro.
Foto n. 4- Copertina de “Il Venerdì” del 237/5/2016
Fino ad oggi, il direttore non ha ritenuto di dare un cenno di riscontro alla mia segnalazione. Non c'é problema. Non mi sento ferito nell’orgoglio né leso nella mia dignità. Se mai altri. Noi ci nutriamo di cose semplici e di acqua pura di fonte. Certo, un po’ d’amaro in bocca resta. Tuttavia- ribadisco- il plagio mi lusinga perciò desidero condividerne il piacere con chi è dello stesso avviso. Che altro aggiungere? A parte l’eventuale problema dei diritti che potrebbe sollevare l’editore (Gruppo La Repubblica- Espresso), ricordo che per scrivere quell’articolo ci sono voluti tanto impegno, tanta fatica. Oltre al lungo viaggio, ho dovuto fare diverse ricerche in Argentina, in particolare presso la Biblioteca nazionale di Buenos Aires, dove ho trovato, e letto, libri, documenti, per altro citati nel pezzo. Per quanto mi riguarda, non mi sembra il caso di farne un “caso” (scusate il bisticcio intenzionale), ma solo un esempio sul quale riflettere, per evidenziare la gravità del fenomeno, sempre più diffuso nell’era del web, dell’attribuzione indebita, diretta o indiretta, del lavoro intellettuale degli altri. Prima di tutto, la questione é deontologica, morale e chiama in causa la responsabilità dello scrittore, poiché scrivere può essere una fatica piacevole, ma sempre fatica è: i giorni, le nottate, i caffè amari, gli scatti d’ira davanti un libro, un PC, gli archivi, le biblioteche, le “sacre note” e, soprattutto, l’umiltà, il rispetto verso il lettore e verso la fatica altrui. Data, 23/9/2020