BERNA – Il Comites di Berna e Neuchâtel ha presentato il volume a cura di Rosita Fibbi e Philippe Wanner dal titolo “Gli italiani nelle migrazioni in Svizzera. Sviluppi recenti”. All’incontro online hanno partecipato Rosita Fibbi, ricercatrice al Forum per lo studio delle migrazioni dell’Università di Neuchâtel,

e Mattia Lento, giornalista e ricercatore all’Università di Zurigo. Il volume, pubblicato da Armando Dadò Editore, svolge un’attenta analisi delle caratteristiche della nuova migrazione italiana collocandola nel quadro del nuovo corso che la Svizzera ha impresso alla propria politica di immigrazione e di integrazione all’inizio del nuovo secolo. Gli autori esaminano le trasformazioni della politica elvetica ossia quali siano le ragioni di natura interna e internazionale che inducono la Svizzera a rimettere in discussione l’impostazione della propria politica. C’è poi la questione a noi più prossima della mobilità italiana, dal momento in cui si è assistito ad una recente significativa ripresa della immigrazione italiana in Svizzera. Gli autori analizzano questo nuovo flusso e ne mettono in risalto le peculiarità: tratti demografici e sociali, inserimento della composita popolazione italiana sul mercato del lavoro, senso dell’italianità in Svizzera. Nel volume ci sono diversi contributi di altrettanti saggisti: Paolo Barcella, Sandro Cattacin, Gianni D’Amato, Rosita Fibbi, Cristina Franchi, Lisa Iannello, Irene Pellegrini, Nelly Valsangiacomo. Il giornalista Lenti ha evidenziato come gli arrivi in Svizzera ci siano stati anche durante il 2020 ossia in piena pandemia e le previsioni danno il flusso migratorio in uscita dall’Italia in aumento nel post-Covid per via della crisi economica determinata dalla pandemia. L’autrice Fibbi ha ricordato come l’emigrazione italiana in atto dal 2010 abbia tratti nuovi e diversi rispetto al passato con colorazioni tipizzate in espressioni quali “fuga dei cervelli” e con accenti variabile dalla fierezza di avere persone qualificate che ben si collocavano sul piano internazionale, alla perdita di talenti da parte dell’Italia. “In Svizzera gli italiani sono diventati invisibili perché non se ne parla più. Nel discorso pubblico o vengono classificati come migrazione europea oppure come migrazione frontaliera. Ormai gli italiani fanno parte della realtà svizzera e non sono più oggetto di stigmatizzazione”, ha spiegato Fibbi evidenziando come la rappresentazione mediatica tuttavia riesca a cogliere soltanto degli sprazzi di questa realtà. “All’inizio degli anni ‘90 c’erano 10 mila persone annue in arrivo dall’Italia; poi dal 2000 sono diventate circa 5 mila prima della risalita fino agli attuali oltre 15 mila arrivi annui. Questo è dipeso anche dalla nuova politica svizzera, frutto di accordi bilaterali, orientata a liberalizzare l’emigrazione proveniente da Paesi europei come Germania, Portogallo e appunto Italia”, ha aggiunto Fibbi sottolineando che circa un terzo dei nuovi residenti, circa 90 mila persone, sia arrivato dall’Italia tra il 2011 e il 2018. C’è insomma una tendenza generale al ricambio generazionale nella migrazione italiana; purtuttavia il discorso analitico si complica riguardo a coloro che hanno la doppia cittadinanza, perché per le statistiche ufficiali elvetiche essi sono considerati cittadini svizzeri a tutti gli effetti. Un altro problema sollevato dall’autrice è dunque proprio nella distanza che si è creata, anche in fatto di legame, tra la vecchia emigrazione e la nuova mobilità. “Lo studio conferma che non emigrano soltanto cervelli in fuga e laureati – ha invece precisato Lenti – anche se in effetti in Svizzera la migrazione è piuttosto qualificata rispetto ad altri Paesi”. La conferma giunge dalle parole della stessa autrice che sottolinea come “la Svizzera capti un numero particolarmente elevato di migranti qualificati”. La proporzione di emigrati dall’Italia è più o meno la seguente: 50% laureati, 30% diplomati e poco più del 10% di persone con la licenza media. “Ci sono persone con la laurea in chimica, farmacia o fisica che arrivano in Svizzera con un contratto di lavoro in mano e che considerano la tappa svizzera fondamentale per una loro affermazione in ambito internazionale; ci sono poi persone laureate in scienze umanistiche ma non riescono spesso a far valere la propria qualifica e ad inserirsi correttamente nel mercato del lavoro; infine ci sono persone senza alti livelli di qualifica che si inseriscono tramite le reti familiari o di conoscenze ma non sono sempre inserimenti ben riusciti o con paghe al di sotto dei livelli medi salariali”, ha spiegato Fibbi evidenziando l’esistenza del fenomeno del lavoro in nero. Per dovere di cronaca corre l’obbligo di segnalare che il webinar in questione, come avvenuto anche per un incontro organizzato nella stessa giornata (26 marzo) dal PD Lussemburgo, è stato oggetto per diversi minuti di intrusioni informatiche con insulti ed offese che hanno costretto gli organizzatori a chiudere anzitempo la trasmissione. (Simone Sperduto/Inform)