LA SCONFITTA DEL SEPARATISMO SICILIANO: 10 FEBBRAIO 1944

L’idea, accreditata da ambienti separatisti, che da parte degli angloamericani, che avevano occupato la Sicilia dopo lo sbarco del giugno del 1943, ci fosse stata un consenso tacito alle iniziative degli indipendentisti di Finocchiaro Aprile,

risulta storicamente smentita facendo mente locale sui vari passaggi che precedettero la riconsegna dell’isola al Regno d’Italia il 10 febbraio del 1944. L’interesse degli Alleati infatti era quello di staccare definitivamente l’Italia dall’alleanza con la Germania per farne un utile alleato nella guerra contro le armate del terzo Reich. La restituzione della Sicilia all’Italia costituiva, in questo senso, merce di scambio e strumento di pressione per convincere il governo Badoglio a quella decisione. Dell’opportunità del coinvolgimento italiano nella guerra antinazista ne aveva fatto cenno, per primo, il premier inglese Winston Churchill, stessa esigenza, avevano manifestato sia il presidente statunitense Franklin Roosevelt come, anche, quello sovietico Iosif Stalin tanto che, ad un mese circa dall’entrata in vigore dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, che come si sa fu annunciato l’8 settembre, in un vertice tenuto a Mosca veniva formalmente assunta la decisione di restituire la Sicilia all’Italia in cambio della cosiddetta dichiarazione di “cobelligeranza”. La decisione assunta a Mosca rinviava alla Commissione alleata di controllo, che si sarebbe riunita ad Algeri, il compito di fissarne le modalità di attuazione. Alla luce di quanto stava dunque avvenendo, e dei rapporti di forza presenti nell’isola, ogni iniziativa di contrastarne l’esecuzione non poteva che qualificarsi velleitaria. Ed in effetti, provocatoria e velleitaria fu certamente considerata l’iniziativa del capo dei separatisti di convocare a Palermo, il 9 dicembre 1944, in seduta pubblica plenaria i leader del movimento, per adottare iniziative dirette a scongiurare la decisione alleata. L’iniziativa dei separatisti violava, apertamente, il divieto imposto dagli Alleati di svolgere attività pubblica politica e appariva un colpo di mano per tentare di bloccare la decisione alleata con la minaccia di una rivolta popolare. L’azzardo, tale infatti poteva essere considerato quel vero e proprio atto eversivo, avrebbe potuto portare ad una forte reazione dello stesso A.M.G.O.T., il governo militare alleato , venne infatti presa in considerazione la proposta di procedere all’immediato arresto dei capi del separatismo e solo la saggezza del colonnello Poletti, vicecomandante del governo militare alleato, impedì, anche per motivi di ordine pubblico, che il provvedimento di fermo venisse assunto. Poletti, infatti, abusando delle sue funzioni, scelse una linea morbida, evitando azioni di forza e, indirettamente, pur rispettando l’impegno per una rapida restituzione dell’isola al Regno secondo le modalità fissate ad Algeri, si fece parte diligente per l’accoglimento di una subordinata formulata dai separatisti. Si impegnò perché, nel momento in cui l’isola fosse passata all’amministrazione italiana, la gestione non fosse affidata ad un militare sabaudo ma si desse luogo ad una gestione civile affidata ad un siciliano non ostile al separatismo. Tutto questo passò attraverso una procedura anomala, la convocazione del consiglio dei nove prefetti siciliani i quali, riaffermando la “Unione al grande nome dell’Italia”, manifestarono, nell’occasione, l’esigenza di una “piena autonomia amministrativa” della Sicilia. La conduzione politica dell’intera questione fu un vero successo per il colonnello Poletti che vide la convergenza sulle sue proposte soprattutto della parte britannica, ricordiamo la presa di posizione di Harold Macmillan, la quale riscopriva quell’attenzione all’autonomismo siciliano di cui si era già fatta mentore a partire dalla rivoluzione del 1812. La Sicilia veniva quindi restituita all’amministrazione italiana – sotto la supervisione della commissione alleata di controllo – che, però, assumeva l’impegno di concedere un regime di autonomia all’isola. Nonostante le resistenze, anche di ordine tecnico – il generale Badoglio, presidente del consiglio, non avrebbe infatti voluto forzare l’assetto costituzionale vigente, lo Statuto albertino non prevedeva la figura di Alti Commissari – a poco più di un mese dalla riconsegna dell’isola al Regno, il 18 marzo 1944, veniva infatti, istituito l’Alto commissariato per la Sicilia – assistito da una giunta consultiva, alle dipendenze dello stesso capo del governo- e si procedeva ad investire delle relative funzioni l’avvocato Francesco Musotto, socialista moderato, non sgradito ai separatisti. Ormai la strada verso l’autonomia della regione siciliana era, irreversibilmente, segnata e, nonostante qualche opposizione, non si sarebbe potuto tornare indietro. L’istituzione dell’Alto commissariato per la Sicilia, analogo provvedimento era stato adottato nel gennaio del ’44 per la Sardegna, segnava anche la definitiva sconfitta della soluzione separatista che, a nostro giudizio, nella società siciliana, era allora, ed a maggior ragione è ora, sicuramente, minoritaria. (Pasquale Hamel)