SPECIALE 50° USEF
A soli 3 anni dalla costituzione della Filef avvenuta nel dicembre del 1967, come federazione unitaria e progressista del mondo dell’emigrazione che raccolse l’adesione di molte associazioni anche pre-esistenti sia in Italia che all’estero, agli inizi degli anni ‘70, in parallelo con l’istituzione delle Regioni,
si concretizzò una diffusa rete di associazioni regionali che a loro volta aggregarono centinaia di circoli e associazioni costituite dai nostri emigrati nei diversi paesi. Le prime due realtà che seguirono il modello unitario proposto dalla Filef furono l’Alef (Associazione Lavoratori Emigrati del Friuli-Venezia Giulia), nata nel dicembre del 1969 e a distanza di un anno, l’Usef (Unione siciliana dei lavoratori emigrati e loro familiari). Entrambe aderirono fin dall’inizio alla Filef, non certo casualmente, poiché nel gruppo fondatore della Filef erano già presenti dirigenti, sindacalisti, politici e prestigiose figure del mondo della cultura italiana originari di molte e diverse realtà regionali. Tra questi, il grande pittore e intellettuale siciliano, Renato Guttuso, che intratteneva una antica amicizia e condivisione di impegno artistico, morale e politico con Carlo Levi, primo presidente della Filef. L’indicazione del gruppo dirigente nazionale della Filef fu fin dall’inizio quello di replicare a livello locale la nascita di associazioni unitarie che potessero divenire punti di riferimento per le comunità emigrate che frequentemente, all’estero, si erano consolidate a partire da affinità culturali di origine anche per gli effetti delle “catene migratorie” che avevano caratterizzato tanti percorsi emigratori. Ma vi era anche un’altra ragione riconducibile, in particolare nel meridione, alla necessità di frenare il deflusso di emigrazione che impoveriva ulteriormente realtà già marginalizzate da un secolo di politica nazionale ben poco attenta a sanare gli antichi squilibri. La possibilità di ricostruire legami stretti con le realtà emigrate poteva consentire di immaginare percorsi di rientro e di nuovo sviluppo delle località di origine, cosa che, con la nascita delle Regioni, poteva diventare qualcosa di concretamente attuabile. Ed infatti le associazioni regionali registreranno un forte sviluppo parallelamente al varo di una legislazione regionale che consentirà l’insediamento delle Consulte o Consigli regionali dell’emigrazione e di misure di sostegno per gli emigrati, insomma di politiche regionali per l’emigrazione che si aggiungevano a quelle, molto carenti, a livello nazionale. Si può anzi dire che il forte impegno delle diverse reti associative regionali consolidatesi durante gli anni ‘60 costituì l’elemento decisivo per l’impegno delle regioni in questo settore. Il ruolo delle realtà federate nella Filef fu uno dei più significativi sia nel far emergere le problematiche e le opportunità, sia per la definizione delle singole leggi regionali. Il primo Statuto dell’Usef, approvato a Palermo durante il primo congresso, è, a questo proposito, esemplare, per la capacità di definire in modo sintetico e chiaro l’analisi e la prospettiva della nascente organizzazione. Un’analisi ed una prospettiva in gran parte ancora valida, anche a distanza di 50 anni, in particolare dopo oltre un decennio di ripartenza dei nuovi flussi di emigrazione che confermano la persistenza di una serie di problemi strutturali del nostro paese che continuano a scaricarsi soprattutto sul meridione e su tutte le aree interne. Si potrebbe chiosare tristemente che ad oltre mezzo secolo dalla nascita delle nostre organizzazioni i problemi continuano ed essere gli stessi pur sotto vestiti diversi. E che il messaggio lanciato dall’Usef e dalle altre organizzazioni della rete che poi nel 1999 si riunì nella Fiei (Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione) non hanno registrato l’ascolto di orecchie sensibili, sia sul versante emigrazione che su quello dell’immigrazione. Perché la difficoltà – politica ed istituzionale – a misurarsi seriamente con la dimensione di “quelli che se ne vanno” (e di quelli che arrivano) è assimilabile ad una sorta di riflesso condizionato di estraneità (e a volte di autentico fastidio) verso ciò che “appare” come invisibile, estraneo, non legato alle classiche relazioni sociali in cui invece c’è uno scambio immediato tra risposta (politica o istituzionale) ad interessi che si manifestano essenzialmente sui territori fisici o giuridici: quindi per coloro non più presenti nei territori politici o istituzionali (emigrati) o per coloro che pur essendo presenti non sono ammessi pienamente ai diritti di cittadinanza (immigrati) non c’è attenzione o ce n’è una assolutamente marginale. Questa predisposizione connaturata a verificare a breve o brevissimo termine la redditività dell’attenzione politica o istituzionale va di pari passo con la logica economica di mercato che privilegia appunto l’investimento a breve termine. Quello a medio o a lungo termine, sia nel mercato che nella dimensione pubblica, è qualcosa su cui si ritiene non si possano perdere troppe energie. Eppure gli eventi contemporanei mostrano la miopia assoluta di questo atteggiamento. Ignorare gli spazi del medio e lungo termine, le relazioni e gli effetti che producono determinate scelte, rischia di portarci alla rovina, come appare oggi abbastanza evidente non solo più a livello nazionale, ma globale e perfino a livello di ecosistema. Non essersi interessati in modo adeguato dell’emigrazione italiana (e siciliana), per tornare a noi, significa semplicemente perdita di opportunità, perdita di risorse umane, impoverimento e anche molta parallela ingiustizia nei confronti di milioni di persone che con grande probabilità non se ne sarebbero andate se la loro condizione e le loro prospettive fossero state migliori, come ci stanno ripetendo da alcuni ani i giovani di “si resti arrinesci”. Alla luce di queste considerazioni e dopo 50 anni di impegno nella promozione della partecipazione sociale e civile tra i migranti in Italia e all’estero, qualcuno potrebbe concludere che questo nostro associazionismo abbia fallito la sua missione. Può essere in parte anche vero, ma noi siamo ancora e di nuovo qui, a ripetere quello che i nostri fondatori hanno detto e scritto fin dall’inizio: i nodi della questione sono strutturali, come diceva Carlo Levi o Ferruccio Parri, o come ha inequivocabilmente spiegato e chiarito Paolo Cinanni nei suoi fondamentali libri. E, purtroppo, la storia che stiamo attraversando sta dando ragione a loro e (nella nostra limitatezza) anche a noi che li abbiamo seguiti. La permanenza di queste voci spesso emarginate dai grandi filoni di riflessione e di azione politica e sociale dimostra piuttosto fallimenti superiori. E allora a Totò Augello, ad Angelo Lauricella, alla lunga schiera di compagne e compagni dell’Usef in Sicilia e all’estero che hanno attraversato questi cinque decenni con grande impegno di volontariato e di solidarietà, va detto semplicemente grazie. E insieme al ringraziamento, l’incitamento a tenere duro per trasmettere e trasferire ai giovani e alle giovani il testimone di un messaggio non esaurito e di cui c’è profondo e rinnovato bisogno. Con questo obiettivo comune proviamo ad attraversare questa difficile stagione. Auguri all’Usef in Sicilia e nel mondo per i suoi 50 anni! Rodolfo Ricci (coordinatore nazionale Filef)