Cresce in Italia il numero delle imprenditrici nate in un altro paese. Uno studio mostra le loro difficoltà a creare network, ma anche il possibile effetto traino sulla nascita di altre aziende al femminile. Molto dipende dalla cultura del paese d'origine
Di Alessandra ColombelliElena GrinzaValentina MelicianiMaria Cristina Rossi
Le imprese familiari guidate da donne aumentano ma per molte raggiungere un ruolo ai vertici resta Il tasso di imprenditorialità costituisce un asse portante della nostra economia, contribuendo alla dinamica del Pil e creando innovazione. All’interno di coloro che fanno impresa, due dimensioni sono di particolare interesse: le imprese femminili e quelle a titolarità straniera. La componente femminile, seppure in minoranza, ha mostrato un trend in costante aumento nel tempo. E la stessa tendenza caratterizza le imprese straniere in Italia. In un recente studio, ci siamo concentrate sulla popolazione delle imprese individuali in Italia, tra il 2002 e il 2013. Anche per questo gruppo si conferma l’aumento dell’imprenditoria femminile e dei migranti. Tra il 2002 e il 2013, la quota di donne imprenditrici individuali è aumentata dal 25 al 29 per cento e un balzo ancora maggiore si registra per i migranti. Nello stesso arco temporale, la quota di imprese individuali a titolarità straniera è aumentata da poco più del 4 all’8 per cento (figura 1). Un dato interessante è che c’è stato anche un aumento sostanziale delle donne migranti tra gli imprenditori individuali: tra il 2002 e il 2013, la loro quota tra gli imprenditori stranieri è passata da circa il 27 per cento a poco meno del 32 per cento, mentre la quota di donne migranti sul totale delle imprenditrici cresce da meno del 5 per cento a circa il 9 per cento (figura 2). Figura 1 – Quota di imprenditori donne sul totale e quota di imprenditori migranti sul totale per anno Figura 2 – Quota di imprenditori migranti donne sul totale degli imprenditori migranti e quota di imprenditori migranti donne sul totale degli imprenditori donne per anno Abbiamo dunque voluto investigare le dinamiche di formazione delle imprese dei migranti, con particolare attenzione alla prospettiva di genere. Ci siamo chieste in quale misura il gruppo esistente di imprese straniere costituisse un fattore di attrazione per la formazione di nuove iniziative “simili”, cioè con uguale paese di origine del titolare, ma anche con uguale provincia di destinazione e tipologia di attività. Detto in altri termini, quanto differisce il tasso di crescita di nuove imprese straniere in base allo stock esistente di imprese simili nella stessa zona e settore produttivo? La nostra analisi ha dunque indagato se esistano differenze, e quali siano gli ordini di grandezza, tra i fattori di attrazione per le imprese femminili e maschili. Il principale risultato che emerge è che l’effetto traino è maggiore per gli uomini. La formazione di nuove imprese straniere maschili è maggiormente influenzata dallo stock totale di imprese simili rispetto alla costituzione di imprese straniere a conduzione femminile. Riscontriamo quindi un effetto network meno potente per le donne rispetto a quello per gli uomini. Una spiegazione potrebbe risiedere nella minore possibilità delle donne di costituire reti di relazioni utili ai fini dell’attività lavorativa (in particolare, quel tipo di reti di relazione estese, i cosiddetti “weak links”). Ma come si modula l’effetto traino in relazione allo stock femminile e maschile di imprese simili? Un’impresa a guida femminile potrebbe agire più da traino di nuove imprese femminili, non valendo invece un effetto asimmetrico. Infatti, il genere, a parità delle altre caratteristiche (come il paese di nascita), determina un importante fattore di identificazione, ad esempio attraverso il canale del “modello di ruolo”. Il grado di attrazione esercitato dalle imprese maschili esistenti sulle nuove imprese femminili, a parità di settore, provincia di destinazione e paese d’origine, dovrebbe pertanto essere minore. E in effetti ciò è confermato nei nostri dati, dove imprese femminili stimolano di più la nascita di nuove imprese femminili. In sintesi, l’effetto traino ha una forte componente di identificazione di genere: gli uomini sono maggiormente influenzati dagli uomini e le donne sono maggiormente influenzate dalle donne. In linea con la differenza di genere nell’effetto traino complessivo, il tasso di attrazione specifico al genere è comunque minore per le imprese femminili, ossia, dato lo stock esistente di imprese femminili, il tasso di crescita di nuove imprese femminili è ridotto rispetto allo stesso fenomeno in veste maschile. Le donne rivelano quindi un effetto network tra loro (“within gender”) meno potente rispetto a quello maschile. Un risultato particolarmente interessante è che il modo in cui l’effetto traino differisce tra uomini e donne è influenzato enormemente dal grado di disuguaglianza di genere nei paesi di origine dei migranti. Gli uomini e le donne che provengono da paesi tendenzialmente egualitari non presentano differenze significative nell’effetto traino, mentre le donne che provengono da paesi con spiccate diseguaglianze di genere presentano un effetto traino molto minore rispetto agli uomini. La capacità di fare network delle donne è quindi influenzata in modo cruciale dalla cultura di genere radicata in loro. Quali sono le implicazioni di questi risultati? Data la vivacità delle imprese straniere, andrebbero fortemente incoraggiati interventi che ne aiutino la creazione di nuove attraverso l’esperienza di quelle esistenti. Le politiche dovrebbero mirare in modo particolare alle donne e avere una dimensione di genere ben radicata. Politiche di intervento generiche per l’imprenditoria straniera potrebbero dimostrarsi inefficaci nel raggiungere l’imprenditoria femminile, sia per la cultura del paese di origine che per i settori di produzione che la caratterizzano. Articolo pubblicato in contemporanea su Lavoce.info