di ALESSANDRO DE ANGELIS - a bordo della Ocean Viking, dell’Humanity 1 e della Geo Barents che invano chiedono un porto sicuro all’Italia. Situazione a bordo in peggioramento e previsioni meteo poco rassicuranti. E ci risiamo, come allora, con una discussione da “pizzicagnoli di vite umane”,
per cui Matteo Salvini, ritornato ministro dell’Interno de facto nell’intangibilità di quello de iure – vaso di coccio tecnico tra vasi di ferro politici – dice “prendeteveli voi”, ricevendo un secco no dalla Norvegia e una risposta un tanto al chilo dalla Francia (“un po’ noi, un po’ voi”). E bisognerebbe ricordare ai campioni del sovranismo nostrano come proprio la loro dottrina sia il primo ostacolo ai problemi che pongono, sin da quando l’allora premier che oggi gioca a fare il capo dell’opposizione (Conte) e l’allora ministro dell’Interno in carica che si sente ancora tale (Salvini), per fare un favore ai paesi di Visegrad, derubricarono la redistribuzione dei migranti da obbligatoria a volontà, rompendo un vincolo minimo di solidarietà europea. Scelta in grado alimentare un meccanismo perverso, perché ognuno è sovranista a casa sua: i tanti Salvini e le tante Meloni d’Europa, interpreti del medesimo “me ne frego”, non si fanno carico del problema italiano, e gli altri paesi, dalla Norvegia alla Francia, non cedono perché a loro volta hanno il problema dei loro Salvini e Meloni domestici. E se cedi a loro qua, cresce la Le Pen là, film già visto ai tempi della rivolta di Marsiglia quando, dopo una disponibilità iniziale, Emmanuel Macron si sentì costretto a chiudere il porto. Di qui l’irrisolvibilità politica della questione posta in questi termini, essendo i migranti uno dei terreni più sensibili, in termini di consenso, per il mantenimento delle leadership, che inevitabilmente subirebbero un colpo se la percezione, nelle opinioni pubbliche nazionali, fosse quella di un cedimento al primo governo di ultradestra in Italia. E presumibilmente andrà a finire che alla fine, davanti a un peggioramento delle condizioni sanitarie sulle navi, il governo sarà costretto ad autorizzare lo sbarco, non per pietà ma per le implicazioni, anche in termini giuridiche, di un mancato soccorso. Con annesso corredo di accuse, a favor di telecamera e di elettorato, contro l’egoismo altrui, perché più che la soluzione del problema conta l’evocazione del nemico Ed è perfetto anche così, per gli impresari della paura, perché basta l’evocazione del pugno di ferro per fare facile fatturato elettorale: la denuncia di una invasione che non c’è, ma rappresentata come tale, il “colpa degli altri”, in attesa della prossima nave, per dare un osso al pubblico con la bava alla bocca. Che è poi lo stesso meccanismo posto in essere con la finta emergenza rave: massimo impatto simbolico, a costo zero. E avanti così, in attesa che, parafrasando Vladimir Majakóvskij, la barca della propaganda si areni nella realtà dell’emergenza vera (economica e sociale) che gli italiani già pagano sulla propria pelle. Si chiama populismo questa vertigine tra una gestione e un racconto emergenziale e un’emergenza reale che non c’è, in cui a fronte dei 985 migranti a bordo delle tre Ong ne sono sbarcati novemila circa dal giorno della campanella a Palazzo Chigi. La maggior parte dei quali portati a terra da motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza intervenute per soccorrere pescherecci e barconi partiti dalla Libia o giunti dalla rotta turca, oltre agli sbarchi dalla Tunisia. Per dare un’idea dei numeri e di cosa significhi la parola governo, a fine giugno 2017 arrivarono in poche ore 13 mila 500 migranti a bordo di 26 navi, ma anche in quella circostanza assolutamente straordinaria non fu mai negato l’approdo a nessuno. Mai un porto chiuso, come poi accaduto con tutti i successivi governi con maggiore o minore intensità, perché la famosa “dottrina Minniti” era, appunto, un modello di governo di un’emergenza reale, esattamente l’opposto di oggi, fondato sull’idea di coniugare sicurezza e umanità: corridoi umanitari, poteri di ispezione delle Nazioni Unite nei centri di accoglienza, integrazione in Italia con i sindaci e gli Sprar, cancellati con i decreti sicurezza Salvini-Conte. Risultato: oltre 25 mila rimpatri assistiti, come frutto della collaborazione tra Unione europea, Onu e Unione africana. Lì dove eravamo, nel Sahara oggi ci sono i russi della Wagner. In Tripolitania, i Turchi. Le due Libie non sappiamo cosa siano. E da queste parti, smantellato un modello che non era della sinistra ma un patrimonio del paese, non c’è uno straccio di idea di governo del fenomeno. ALESSANDRO DE ANGELIS (FONTE: Gente d’Italia)