Venti anni or sono in una piovosa mattina di settembre chi scrive si trovava a Villa Literno, terra fertile e generosa per chi la lavora, capace di dare frutti speciali, pomodori e verdure che dopo poche ore si ritrovano nei grandi magazzini all'ingrosso per arrivare, con un prezzo decuplicato, alle catene distributive ed ai piccoli commercianti.

Qualche tempo prima era stato assassinato Jerry Masslo sudafricano, nero arrivato a Villa Literno, rifugiato politico per sfuggire alla morte e che la morte aveva trovato in un casolare abbandonato dove dormiva, ucciso da rapinatori, alla fine di una giornata di lavoro faticosissimo di raccolta dei pomodori , sfruttato e mal pagato. Quel giorno i campi erano una distesa di fango dove giovani africani seguitavano a raccogliere gli ultimi pomodori della stagione. Mi chiesi entrando nelle tende inzuppate di acqua e con il fondo di fango, all'indomani di quell'omicidio, dove fosse lo stato di diritto e dove fossero le istituzioni locali. A ottocento metri da quell'improvvisato villaggio di umanità dolorante e rassegnata avevo notato, venendo in auto da Roma, un enorme recinto pieno di centinaia di roulottes inutilizzate, residuo di qualche azione di protezione civile per l'ultimo dei terremoti d'Irpinia. Il sindaco di allora che era venuto a condannare l'uccisione di Masslo e a dare parole di solidarietà ai giovani lavoratori neri non aveva pensato di fare una azione concreta solidale dando un tetto sia pure provvisorio a quei giovani migranti. Non trovammo spiegazioni convincenti. Ci rimane di quella giornata e di quell'incontro una serie di foto raccolte in un libro fotografico, pubblicato poi a cura dal patronato Inca, intitolato, mutuando il titolo dal francese maccheronico di alcuni di quei giovani: "paubliè", "non dimenticare". Dopo vent'anni la settimana di Rosarno riprecipita la comunità italiana in un faccia a faccia con una realtà addirittura peggiore di quella di Villa Literno. Qualcuno può spiegare ai cittadini italiani cosa è stato fatto negli ultimi venti anni per questi permanenti lavoratori stagionali. Non ce lo spiegano certo i telegiornali che intervallano programmi di finta realtà, di autocelebrativo intrattenimento tra tuttologi opinionisti transumanti da una all'altra rete e uomini e donne improbabili protagonisti di un universo della politica dove latitano da tempo immemorabile i contenuti reciprocamente alternativi e dove l'affermazione del valore primario rappresentato dall'interesse generale molto spesso viene visto come un attacco all'arbitrio socialmente subito ed accettato. La questione vera irrisolta non è se, nel paese che ha una costituzione il cui incipit suona: L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, la plebe pagata a 25 euro a giornata di lavoro ha fatto male a rispondere con atti violenti sulle cose alle violenze ripetute ed alla riduzione in moderna schiavitù da un vigneto ad un giardino d'aranci, da un campo di pomodori ad un oliveto. La questione vera è come sia possibile che lo stato apparato in un paese, Rosarno, il cui consiglio comunale è commissariato per sospetta infiltrazione di 'ndrangheta, in un paese nel quale si è ufficialmente dichiarata la cacciata di tutti gli immigrati per cui si può sparare e sprangare, non si vada a chiedere conto del lavoro nero, del caporalato , non si vadano a prendere i capipopolo della pulizia etnica , non si chieda il conto dell'inazione prolungata a fronte delle condizioni subumane in cui vivono gli immigrati. E non solo a Rosarno. Spesso si diventa immemori. La cultura spesso anticipa la realtà. Chi non ricorda con un forte imbarazzo il film "Pane e cioccolata" nel quale immigrati italiani in Svizzera , e tra questi il personaggio interpretato da Manfredi, vivono in una sorta di pollaio- casa limitrofo ad una villa splendida abitata da stereotipi di ricchissimi bianchi, germanofoni, anticipazione di altro film "brutti, sporchi e cattivi" dove si vedono immigrati meridionali, luridi umanissimi, lumpenproletariat ,baraccati tra lamiere e spazzatura, sulla collina romana dietro San Pietro. Pietà l'è morta ed è difficile che resusciti per gli appelli delle più alte gerarchie della Chiesa- apparato. Si parla spesso e si chiede troppo alla Chiesa comunità, ai molti parroci attivi sul versante di un impegno che è anche sociale quando poi verso forze politiche che del respingimento indiscriminato, del razzismo vero e proprio fanno un esercizio continuo anche in ruoli istituzionali al massimo si avanza solo un piccolo rimbrotto prestissimo sostituito dai soliti segnali di comprensione . I vuoti ed astratti omaggi all'autorità della Chiesa da parte di politici incalliti celebranti del dio Po evidentemente hanno maggior valore dei loro comportamenti concreti non propriamente cristiani . La realpolitik vaticana è motivo d'imbarazzo e di dolore , una cosa dannosa per la stessa funzione salvifica della Chiesa che nella contemporaneità, sul fronte dei principi, non è mai sufficientemente dura verso coloro che sono potenti. Sul terreno dei diritti e dei doveri di tutti coloro che vivono nella nostra società e che di questa nostra divisa società sono parte essenziale , sul terreno della integrazione delle persone che vivono in Italia, la legge Bossi Fini ha mostrato da tempo la sua oggettiva dimostrata inadeguatezza. E' invece sul terreno delle leggi che si deve intervenire a tutto campo , con una normativa a tutto campo che integri e non escluda a priori, che intervenga per fare della cittadinanza una sostanziale convinta scelta e non un esclusivo passaggio burocratico. Dalla scuola al lavoro, all'abitazione, maggioranza di governo ed attuale opposizione dentro e fuori del parlamento devono risolvere la vera questione primaria della convivenza fra vecchi e nuovi cittadini integrati da leggi condivise in primo luogo nel paese prima ancora che in parlamento. E' bene dirlo: giocano con il fuoco coloro che seguitano ad alzare l'assicella auspicando vantaggi elettorali puntando sul deflagrare di un conflitto su base razziale all'insegna della equiparazione fra irregolare presenza nel paese e criminalità. Ieri gli autobus hanno portato via da Rosarno gli africani come i comitati civici chiedevano. Hanno così perduto, certo, quei giovani lasciati soli , alla disperazione, ignari del fatto che le plebi in quanto tali , neanche guidati da uno Spartaco hanno mai vinto e che la violenza, comunque ed ovunque, non paga. Sarebbe straordinario se la grande lezione di Capitini sulla non violenza fosse fatta conoscere ai giovani immigrati che provengono da culture altre, sarebbe straordinario se accanto ai giusti richiami alla legalità si ricordassero i diritti ed ai doveri delle persone e si ricordassero insieme le molte lezioni che sul tema della non violenza ci vengono dalla nostra storia la quale a sua volta, al riguardo, è anche la vicenda testimoniata di molti cristiani. C'è inoltre da domandarsi perché una storia di sfruttamento di massa così prolungata si sia potuta incanalare sul binario morto della jacquerie e della espulsione degli sfruttati e non sull'adesione di massa alle organizzazioni sindacali di quei lavoratori precari immigrati.C'è da domandarsi anche dov'è finita la paziente azione pedagogica del movimento sindacale a fronte di questo pezzo importante del suo popolo, la sua pragmatica, duttile azione tattica e la chiarezza sulle finalità strategica. Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non può più essere contrastato facendo soltanto appello alla categoria della solidarietà , al principio dell'accoglienza, al riconoscimento della comune umanità. Una comunità nazionale vive di regole, di leggi scritte e non scritte che impegnano tutti coloro che a quella comunità appartengono per il solo fatto di viverci , di lavorarci. Tutto un sistema dei controlli, da quello degli uffici del ministero del lavoro a quello degli enti previdenziali e delle ASL che non ha funzionato a dovere in agricoltura dall'epoca dello SCAU con finte braccianti e finti forestali a migliaia seguita a non funzionare in presenza dello sfruttamento dei lavoratori stranieri in nero. S'invoca tolleranza zero ed espulsione degli irregolari ma non si fa niente per l'illegalità diffusa elevata in molti casi a sistema tollerato. "Nullum crimen sine poena" non può essere il richiamo della Lega dell'on Bossi per i reati di carattere amministrativo legati alla regolarizzazione della permanenza dello straniero in Italia. Questo principio giuridico deve guidare una incessante azione per la legalità che è tema che riguarda ogni cittadino italiano , non escluso chi vive in Rosarno. Rosarno è in Italia, nel meridione d'Italia dove i diritti di chi lavora hanno visto nel passato un movimento dei lavoratori ora gracile e combattuto ora forte, combattuto ma vincente. Quello che è accaduto nei giorni scorsi a Rosarno è stato un momento di debolezza, un abbassamento della guardia. Si sono dimenticate le mille storie familiari conosciute dei calabresi che anche nell'emigrazione hanno onorato ed onorano con il loro lavoro l'Italia. A ragione è stato detto che tutti abbiamo perduto. Chi non ricorda , per non andare troppo lontano l'emigrazione al nord dell'Italia? Quelli che c'erano se la ricordano la convivenza in alveari subumani , in locali dove di dormiva in 10-15 senza un gabinetto, neanche di quelli improvvisati nel ballatoio delle case di ringhiera. Chi scrive ricorda nei primi anni '50 intere classi di bambini meridionali in molte scuole elementari milanesi, nei freddissimi inverni con tanta neve ,con le calze di lana e con gli zoccoletti di legno con due stringhe di cuoio all'uscita dalle lezioni. A Rosarno in un contesto ambiguo nel quale si è svolto lo scontro fra i neri sfruttati ed una larga parte della popolazione da sempre intimidita e sfruttata, ci sono state scelte inadeguate da parte delle istituzioni nell'assenza di una strategia nazionale e locale di politiche sociali. Quelle scelte dettate anche dal precipitare degli eventi lasciano intatte le cause che li hanno determinati solo spostando in avanti i termini di una questione irrisolta, aperta e che per ora è solo rinviata. Il buon senso ci dice di chiedere al parlamento di porre come centrale la messa in atto di politiche nazionali e locali di integrazione . Chi seguita a pensare all'immigrazione come ad un fastidio da rimuovere e dalla conduzione della vicenda di Rosarno non trae spunti autocritici, ignora che dappertutto, anche in fatti apparentemente marginali o confinati ci si può sempre imbattere in qualche vaso di Pandora che una volta aperto non si potrà più richiudere.