Qualcuno ricorderà che la legge n. 189 del 2002, integrando il Testo Unico sull’Immigrazione, aveva disposto che in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente al compimento del sessantacinquesimo anno di età , anche in deroga al requisito minimo previsto dalla legge n. 335 del 1995 e cioè dei cinque anni. Fino al 31 dicembre 2011 tali lavoratori (lavoratrici), come anche i lavoratori italiani, erano inoltre dispensati, al compimento del sessantacinquesimo anno di età , dall’obbligo, oltre a quello contributivo, di maturare un importo pensionistico pari o superiore a 1,2 l’importo dell’assegno sociale (comma 20, articolo 1 della legge n. 335 del 1995). In parole povere l’extracomunitario che rientrava definitivamente nel Paese di origine e aveva versato in Italia anche meno di cinque anni di contributi nel sistema contributivo, poteva ottenere una piccola pensione al compimento del sessantacinquesimo anno di età , a prescindere dall’importo pensionistico maturato. Con l’entrata in vigore della riforma pensionistica “Fornero†le carte in tavola cambiano in maniera sostanziale ma l’Inps sembra non accorgersene. Chiariamo: la riforma stabilisce infatti che dal 1° gennaio 2012 il requisito minimo contributivo, nel sistema contributivo, sale da 5 anni a 20 anni, fino al compimento del settantesimo anno di età quando ritorna a cinque anni. La circolare dell’Inps summenzionata in primo luogo ci informa che come i lavoratori italiani anche gli extracomunitari rimpatriati dal 1° gennaio 2012 conseguono il diritto alla pensione di vecchiaia al perfezionamento del requisito anagrafico di 66 anni e in secondo luogo ci conferma che tali lavoratori rimpatriati possono conseguire la pensione di vecchiaia al compimento del predetto requisito anagrafico anche in deroga ai minimi contributivi previsti dalla normativa vigente per la liquidazione del trattamento secondo le regole del sistema contributivo (e cioè in deroga ai 20 anni specifichiamo noi). Ciò che l’Inps si dimentica di chiarire – e per questo motivo l’On. Bucchino ha presentato la sua interrogazione – è se la deroga vale anche per l’altro requisito richiesto con la nuova riforma pensionistica e cioè l’obbligo della maturazione di un importo pensionistico non inferiore a 1,5 l’importo dell’assegno sociale. Non si tratta di una questione di poca importanza perché il lavoratore extracomunitario che rientra nel Paese di origine potendo far valere in Italia solo pochi anni di contributi, con la vecchia normativa poteva ottenere comunque il suo piccolo pro-rata a prescindere dall’importo della sua pensione (era la legge a stabilirlo chiaramente), ora invece – visto che la nuova legge richiede esplicitamente a chi compie l’età pensionabile nel sistema contributivo di dover maturare il nuovo minimo pensionistico pari a 1,5 l’importo dell’assegno sociale – rischia di non essere in grado di maturare l’importo minimo e di vanificare così l’obiettivo del legislatore della legge n. 189 del 2002 che aveva inteso agevolare con un atto di generosità il lavoratore rimpatriato con pochi anni di contribuzione in Italia. Nella sua interrogazione l’On. Bucchino chiede quindi al Governo e al Ministro Elsa Fornero se si voglia chiarire se il lavoratore extracomunitario il quale rimpatria definitivamente nel Paese di origine e consegue il diritto alla pensione di vecchiaia al perfezionamento del requisito anagrafico di 66 anni, o successivamente per l’applicazione degli incrementi per speranza di vita, in deroga ai minimi contributivi previsti dalla normativa vigente secondo le regole del sistema contributivo, sia derogato altresì - come era previsto dalla normativa previgente – dal vincolo che condiziona il conseguimento del diritto a prestazione al perfezionamento di un importo di pensione che risulti essere non inferiore a 1,5 l’importo dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335; inoltre se si è consapevoli che qualora il lavoratore extracomunitario rimpatriato non fosse derogato dal vincolo del perfezionamento dell’importo di pensione non inferiore a 1,5 l’importo dell’assegno sociale, pari a euro 635 nel 2012, e, presumibilmente, avesse versato in Italia solo pochi anni di contribuzione, non sarebbe in grado di perfezionare un diritto a pensione e conseguentemente si contravverrebbe allo spirito del comma 13 dell’articolo 22 della legge n. 189 del 30 luglio 2002 che sarebbe snaturato nei suoi obiettivi e non avrebbe più ragione di esistere. (On. Gino Bucchino)