Roma – Il movimento Donna, Vita, Libertà in Iran. I cento passi indietro nella condizione di vita delle donne nell'Afghanistan tornato ormai da un anno e mezzo nelle mani dei taliban. La resistenza silenziosa delle donne ucraine, lasciate sole a portare avanti figli e famiglia (ma c'è anche chi combatte davvero, insieme agli uomini).
Sono storie di diritti negati soprattutto alle donne, quelle testimoniate da Parisa Nazari, attivista dell’associazione “Donne per la dignità”; Frozan Nawabi, diplomatica e giurista afgana giunta da pochi mesi in Italia tramite corridoi umanitari, e Lesia Vusyk, responsabile del Monastero ucraino di Castel Gandolfo, in provincia di Roma, che in questi 12 mesi ha ospitato oltre un centinaio di connazionali profughi di guerra, in un incontro voluto dalla vicepresidente della Camera Anna Ascani nell'antivigilia delle celebrazioni dell'8 marzo, che quest'anno devono anche far riflettere sulla condizione generale della donna nel mondo. A partire dall'Iran, il luogo dove un tentativo di rivoluzione è in corso proprio partendo dalle donne e dai loro diritti negati. Tutto è partito da un velo fuori posto, quello che è costato la vita a Mahsa Amini lo scorso settembre, ricorda Parisa Nazari "e che semplicemente è un simbolo per rendere modesto, sottomesso, il genere femminile. Ma qualcosa era nell’aria da tempo, perché sono 43 anni che le leggi misogine discriminano le donne, ma mai come oggi gli uomini sono al fianco delle donne". Dopo quasi 6 mesi di repressione brutale, culminata con l'avvelenamento di un gruppo di studentesse, oggi non si vedono più le manifestazioni di massa dei primi tempi, "perché sono arrestati migliaia di giovani" ma, assicura Nazari, "la rivoluzione non si è fermata" e va ancora supportata. Così come va supportato l'esodo degli afgani dai talebani, come dimostra purtroppo il tragico naufragio di Cutro. "A Crotone – ammette Frozan Nawabi, che in passato è stata candidata al Nobel per la Pace - ho pianto per tutto il tempo, e non solo per i morti ma per le condizioni delle famiglie. Io sono arrivata legalmente in Italia e ho comunque ho trovato molte difficoltà, pensiamo a quanto possa essere difficile per chi viene clandestinamente provare a rifarsi una vita qui". Del resto, chiede Nawabi facendo eco anche al dibattito italiano in corso su ciò da cui si fugge, "in Afghanistan non c’è nessun diritto umano tutelato, le scuole sono chiuse alle donne: cosa accadrebbe qui se domani non ti fosse più permesso andare a scuola o all’università?". Anche in questo caso, la richiesta è quella di un supporto costante, perché "anche se un domani i talebani non saranno più al potere, ci vorranno molti anni perché il paese si riprenda". Molto diversa è la situazione, anch'essa ben nota, dell'Ucraina, anche se forse poco viene messo in luce il ruolo delle donne. Lesia Vusyk fa la mediatrice culturale ed è in Italia da 22 anni, ma mai come nell'ultimo ha avuto tanto lavoro da fare: "abbiamo accolto i nostri profughi – ma noi li chiamiamo ospiti - sono passate 112 persone da noi dall’inizio della guerra a oggi". Sono chiaramente, per la maggior parte, donne e bambini, per via della coscrizione obbligatoria per i maschi maggiorenni impegnanti nei fronti di guerra. "Parecchie di loro sono ritornate in patria, soprattutto una volta visto che con la fine dell'estate la guerra non accennava a finire: sono tornate perché bisognava tornare a scuola, e a lavoro". La pura di Vusyk è "di essere lasciati soli, perché non ce la faremmo. Per fortuna per adesso la comunità internazionale capisce con chi abbiamo a che fare, e ci dà supporto". Tre paesi, tre storie diverse, ma con un insegnamento comune, quello di riassunto da Anna Ascani: "Le donne sono spesso quelle che pagano di più e che si espongono di più. Io credo che i loro diritti ci riguardino, che la loro libertà ci riguardi, e che dobbiamo impegnarci tutti affinché quelle libertà siano garantite". (NoveColonneATG)