L’8 Marzo e’ la Giornata Internazionale della Donna, la Giornata in cui si celebrano i sacrifici che tante donne hanno compiuto, i pregiudizi che hanno dovuto superare, le violenze che hanno dovuto subire per l’affermazie di un principio universalmente riconosciuto a parole, magari anche in testi legislativi,
ma non ancora o, per lo meno, non del tutto e non ovunque, penetrato nelle coscienze e nei comportamenti. Anche se negli ultimi anni la Giornata dell’8 Marzo si e’ trasformata spesso in una delle tante feste consumistiche con l’organizzazione di feste o di cene “per sole donne”, la nostra Associazione vuoe invece celebrarla nel suo significato piu’ vero e profondo. Inviamo pertanto il nostro piu’ affettuoso saluto alle iscritte della nostra Associazione e alle lettrici e collaboratrici di questa newsletter, in particolare a Eleonora, a Adriana, a Franca, a Giulia, a Linda, a Ernestina, a Lina e invitiamo i nostri iscritti e i nostri lettori a stringere in un forte abbraccio le proprie madri, le proprie mogli, le fidanzate, le sorelle, le figlie: esse sono la garanzia della sopravvivenza della nostra societa’ e della In questo particolare momento il pensiero di tutti non puo’ non andare alle donne ucraine in fuga dalle proprie case in cerca di salvezza, e alle madri di tanti soldati ucraini e russi che non vedranno piu’ tornare a casa i loro figli per una guerra che non avrebbe piu’ dovuto sconvolgere l’Europa, come ci avevano promesso all’indomani della seconda guerra mondiale. Non dobbiamo dimenticare neanche le tristi condizioni delle donne afghane che abbiamo abbandonato alla violenza e all’oscurantismo, dopo averle illuse che avrebbero potuto anche loro vivere, studiare, lavorare come le donne dell’Occidente e neanche tutte le altre donne vittime dei tanti conflitti dimenticati in Siria, nello Yemen e in tanti paesi del Continente Africano. Anche per questo, ribadiamo che non si deve parlare di “Festa” dell’8 Marzo, ma di “Giornata”, giornata di riflessione e di impegno: e’ questo lo spirito col quale abbiamo concepito questa nostra newsletter in edizione “Speciale”, che dedichiamo a tutte le donne che nel mondo soffrono e lottano per la loro dignita’.
UN PO’ DI STORIA
Controversa e’ l’origine della istituzione di questa Giornata. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si affermo’ la versione chesecondo la quale l’8 Marzo avrebbe ricordato la morte orribile di centinaia di operaie nell’incendio della fabbrica di camicie “Cottons” di New York avvenuto appunto l’8 Marzo del 1908, rogo in realta’ mai avvenuto, così come non e’ mai esistita a New York nessuna fabbrica di camicette denominata “Cottons”. Probabilmente si e’ fatto riferimento ad un incendio sviluppatosi tre anni dopo sempre a New York alla “Triangle Waist Company”, incendio nel quale ci furono 146 vittime, la maggior parte donne, tutti lavoratori immigrati, in precalenza dall’Italia o dall’Europa Centrale. In ogni caso la prima Giornata della Donna (Woman’s Day) si tenne a Chicago negli Stati Uniti il 3 Marzo del 1908 nell’ambito delle Conferenze domenicali del Partito Socialista Americano. L’anno successivo sempre negli USA, fu ancora il Partito Socialista Americano ad organizzare una giornata per chiedere l’estensione del diritto di voto alle donne. In Europa fu durante la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste di Copenaghen del 1910 che si stabilì di istituire una comune giornata dedicata alle rivendicazioni dei diritti delle donne, giornata che negli Stati Uniti continuo’ ad essere organizzata l’ultima domenica di Febbraio, in Germania, Austria, Svizzera e Danimarca si svolse la domenica del 19 Marzo del 1911. Negli anni successivi la manifestazione fu ripetuta, ma non tutti gli anni e non in tutti i paesi. Durante la Prima Guerra Mondiale le celebrazioni furono sospese in tutti i Paesi belligeranti. In Russia a San Pietroburgo, l’8 Marzo 1917 si tenne una grande guidata soprattutto dalle donne contro la guerra, che segno’ l’inizio di una serie di manifestazioni antizariste che si svolsero nei giorni successivi e che portarono alla caduta dello Zar. Fu così che in Russia si considero’ l’8 Marzo come l’inizio della Rivoluzione di Febbraio. Nel 1921 la Seconda Conferenza delle Donne Comuniste stabili’ che l’8 Marzo venisse celebrata ogni anno la “Giornata Internazionale delle Operaie”. Nel secondo dopoguerra la Risoluzione dell’ONU n. 3010 del 18 Dicembre 1972 proclamo’ il 1975 come l’”Anno Internazionale della Donna”. Successivamente nel 1977 l’Assemblea Generale dell’ONU con la Risoluzione n. 32/142 propose a tutti i Paesi aderenti di deliberare un gioirno all’anno come “Giornata delle Nazioni Unite per i Diritti delle Donne e per la Pace Internazionale”. Molti Stati scelsero di fissare questa giornata proprio nella data dell’8 Marzo. ***** Completiamo questa edizione “Speciale” con le biografie di quattro donne che in tempi e circostanzemolto diverse tra loro si sono distinte per combattivita’, eroismo, spirito di sacrificio, solidarieta’ e amor di patria.
AL FIANCO DEGLI EROI - BIOGRAFIA DI ANITA GARIBALDI
Anita Garibaldi (il cui vero nome completo è Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva) nasce il 30 agosto 1821 a Morrinhos, nello Stato brasiliano di Santa Catarina. Il padre è il mandriano Bento Ribeiro da Silva, la madre è Maria Antonia de Jesus Antunes. I genitori hanno dieci figli e Ana Maria è la terzogenita. Riceve un'istruzione elementare, è molto acuta e intelligente. Il padre Bento muore presto così come tre dei suoi fratelli, per cui la madre Maria Antonia deve occuparsi della famiglia molto numerosa, che è precipitata in una situazione di estrema indigenza, da sola. Le figlie maggiori si sposano in giovane età. Ana sposa Manuel Giuseppe Duarte alla giovane età di quattordici anni nella città brasiliana di Laguna. Il marito svolge più professioni, il calzolaio, il pescatore, avendo degli ideali conservatori. Nel 1839 Giuseppe Garibaldi giunge nella città di Laguna con l'obiettivo di conquistarla in modo tale da fondare la Repubblica Juliana. Si è rifugiato nell'America meridionale, poiché condannato a morte in Italia per avere partecipato ai moti risorgimentali e per essersi iscritto all'organizzazione di Giuseppe Mazzini, la Giovine Italia. Nel momento in cui giunge in Brasile, lo Stato di Santa Catarina vuole rendersi indipendente dal governo centrale brasiliano guidato dall'imperatore Pedro I. In Brasile la situazione politica quindi non è cambiata rispetto all'epoca coloniale. Dopo essere arrivato nella città, nel mese di luglio, la sera stessa Garibaldi conosce Ana, rimanendo molto affascinato dalla sua bellezza e dal suo carattere. Presto deve lasciare la città di Laguna e Ana, dopo avere abbandonato il marito, decide di partire con lui, seguendolo nelle sue avventure. Combatte accanto al compagno Giuseppe e ai suoi uomini, impugnando le armi in occasione delle battaglie via terra e via mare. Nel 1840 partecipa con gli uomini di Garibaldi alla battaglia di Curitibanos, in Brasile, contro l'esercito imperiale. In quest'occasione diventa prigioniera delle Forze nemiche. Crede però che il compagno sia morto in battaglia, per cui chiede ai suoi nemici di poter cercare nel campo di battaglia le spoglie dell'uomo. Non trovando il cadavere, riesce con grande astuzia a fuggire a cavallo per poi ritrovare Giuseppe Garibaldi nella fazenda di San Simon, vicino al Rio Grande do Sul. Nel momento in cui scappa a cavallo tra l'altro è incinta di sette mesi. A Mostardas, vicino a San Simon, il 16 settembre dello stesso anno nasce il loro primo figlio che viene chiamato Menotti per ricordare l'eroe italiano Ciro Menotti. Dodici giorni dopo la nascita del figlio, Ana detta Anita, riesce a salvarsi nuovamente dal tentativo di cattura da parte delle truppe imperiali che hanno circondato la sua casa. Fortunatamente riesce nuovamente a fuggire a cavallo con in braccio il piccolo Menotti. Dopo quattro giorni passati nel bosco, viene ritrovata insieme al figlio da Garibaldi e i suoi uomini. La famiglia Garibaldi vive momenti difficili anche dal punto di vista economico, poiché Giuseppe rifiuta i soldi che gli vengono offerti dalle persone che sta aiutando. L'anno dopo i due coniugi lasciano il Brasile, ancora colpito dalla guerra, per trasferirsi a Montevideo, in Uruguay. Nella città la famiglia prende una casa in affitto. In quegli anni hanno altri tre figli: Rosita che muore alla tenera età di due anni, Teresita e Ricciotti. Nel 1842 la donna e Garibaldi si sposano a Montevideo. Cinque anni dopo Anita, insieme ai piccoli, segue il compagno in Italia. A Nizza i due sono accolti dalla mamma di Giuseppe, Rosa. In Italia diventa la moglie del Generale Giuseppe Garibaldi, che deve guidare il Paese verso un sogno, l'Unità nazionale. Nonostante le difficoltà ad adattarsi al nuovo contesto sociale, per amore del marito soffre in silenzio, mostrando sempre un atteggiamento garbato e cordiale. Quattro mesi dopo l'arrivo in Italia, Giuseppe Garibaldi deve partire alla volta di Milano in occasione dello scoppio dei moti risorgimentali ("Le Cinque giornate di Milano"). Nel 1849 è nominato deputato della Repubblica Romana che è guidata da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Anita, in quest'occasione, lascia Nizza per partire verso Roma, avendo l'obiettivo di vedere il marito con cui condivide gli stessi ideali rivoluzionari. Quindi torna sul terreno di battaglia molto presto, perché il Papa Pio IX, avendo il sostegno degli eserciti spagnolo, borbonico e francese, mira alla riconquista di Roma. I garibaldini tentano di difendere eroicamente Roma con tutte le loro forze, ma la superiorità degli eserciti che aiutano il Papa è devastante. La Repubblica Romana cade in mano nemica dopo quattro settimane dalla sua nascita. Anita in quel momento si trova al fianco del marito e, dopo essersi tagliata i capelli e vestita da uomo, decide di combattere insieme a lui. I garibaldini hanno come obiettivo quello di lasciare Roma e di raggiungere la Repubblica di Venezia fondata da Mazzini. Il generale italiano e sua moglie attraversano con i loro uomini l'area appenninica, trovando sempre l'aiuto delle popolazioni locali. Durante il viaggio la donna contrae la malaria e nonostante potesse essere anche aiutata dalle popolazioni che le offrono la loro ospitalità, è decisa a continuare il viaggio. I due coniugi e gli altri volontari arrivano a Cesenatico, si imbarcano, ma al loro arrivo a Grado trovano una situazione difficile, poiché iniziano dei cannoneggiamenti. Dopo essere arrivati a Magnavacca, continuano il tragitto a piedi aiutati sempre dalla gente del posto. Dopo tanta fatica, giungono a Mandriole, dove vengono ospitati da Stefano Ravaglia, un fattore. Dopo essere stata stesa su un letto, Anita Garibaldi muore a causa della malaria il 4 agosto 1849. Il corpo della donna viene sepolto dal Ravaglia nel campo chiamato Pastorara. Trovato pochi giorni dopo da tre piccoli pastori, è sepolto senza nome nel cimitero di Mandriole. Dopo dieci anni, Garibaldi si reca a Mandriole per avere le spoglie dell'amata moglie e portarle nel cimitero di Nizza. Nel 1931 il corpo di Anita viene trasferito per volontà del governo italiano nel Gianicolo, a Roma. Accanto a questo è stato eretto in suo nome anche un monumento che la rappresenta a cavallo con il figlio in braccio.
CATTERINA SEGURANA – L’EROINA CHE DIFESE NIZZA DALL’ASSALTO DELLE TRUPPE FRANCO-TURCHE
Nacque probabilmente nei primi anni del XVI secolo e divenne una lavandaia. Nell'agosto 1543, dopo alcuni attacchi di minore entità, la flotta turca guidata dal sultano Solimano II e le truppe franco-turche via terra sotto il comando del duca di Enghien e di Khaireddīn Barbarossa posero sotto assedio Nizza e aprirono una breccia nelle mura cittadine presso la torre di Sincaire. Al momento dell'entrata in città degli invasori Segurana, comunemente chiamata donna Maufaccia o Malfatta, raccolse intorno a sé un drappello di uomini e ricacciò fuori dalle mura i soldati franco-turchi. Nonostante l'atto di resistenza, considerato una leggenda vista l'assenza di fonti documentali, la città si arrese pochi giorni dopo. Poiché il 15 agosto ricorreva la festività della Vergine molti le attribuirono l'intervento di Segurana, tanto che si parlò anche di una possibile apparizione mariana. Sebbene l'effettiva esistenza di Caterina Segurana sia stata messa in dubbio l'episodio di tentata difesa della città ispirò diversi autori. L'episodio è descritto con dovizia di particolari da Onorato Pastorelli, nato però circa vent'anni dopo i fatti di Nizza, ed appare anche in scritto di Antonio Fighiera, del 1634, e di Pietro Gioffredo, quest'ultimo nato nel 1625. L'assenza dei registri civili della contea di Nizza, che risalgono solo fino al 1564, contribuisce a gettare ombre sull'esistenza di Segurana. Le furono dedicate poesie in lingua italiana da Luigi Andrioli, che le dedicò anche un poema pubblicato nel 1806, Francesco Barberis e Giuseppe Bianchi. Giuseppe Dabray le dedicò il poema Monfort et Ségurane au siége de Nice ou le triomphe des femmes, edito nel 1876 mentre lo storico Giovanni Battista Toselli le dedicò un melodramma in due parti e un dramma storico in cinque atti e dieci quadri. Tommaso Bensa un poema epico, pubblicato nel 1898 mentre Charles Roger Dessort pubblicò nel 1932 un romanzo proprio sulla sua figura. Un ulteriore melodramma dedicato a Segurana, in tre atti, uscì nel 1966 e ancora sul finire del XX secolo, nel 1999, Françoise Scoffier pubblicò a Nizza un romanzo storico. A Nizza le è stata dedicata una via e la scuola posta sulla stessa; inoltre la tribuna ovest dell'Allianz Riviera porta il suo nome e, in un incrocio della città, due epigrafi - rispettivamente scritte in lingua francese e in lingua provenzale - e una palla di cannone turca sparata durante l'assedio, ricordano il coraggio dell'eroina durante l'assedio di Nizza. Altre strade le sono state dedicate ad Anzio, Cagliari, Roma e Torino.
CLOTILDE TERRANOVA. DA LICATA A NEW YORK
25 marzo 1911: 126 donne muoiono nel terribile incendio della Triangle Waist, la fabbrica delle camicette bianche a New York; 38 sono italiane, 88 russe, austriache, ungheresi. L’evento ha contribuito, insieme ad altri, a costruire nell’immaginario collettivo il senso della Giornata Internazionale della donna che si celebra l’8 marzo. Le 38 italiane si chiamavano Clotilde, Caterina, Rosaria, Lucia, Provvidenza , Vincenza, Giuseppina, Pinella, Giuseppa, Rosina, Grazia, Concetta, Vincenza, Provvidenza, Elisabetta, Francesca, Gaetana, Michela, Maria Anna. Venivano da Casteldaccia, Marineo, Bisacquino, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Marsala, Salemi, Sperlinga, Palermo, Licata, Cerda, Noto, Cerami, Palermo. Riprendiamo la storia di una di loro, Clotilde Terranova, come ce la racconta Ester Rizzo nel suo encomiabile lavoro “Camicette bianche” (Ester Rizzo. Camicette Bianche. Oltre l’8 Marzo. Navarra Editore, Palermo frutto di un certosino lavoro di ricerca storica e di documentazione condotto in archivi a mericani e italiani. Clotilde, come l’autrice, viene da Licata in provincia di Agrigento: è biondina, gentile, intraprendente, è la quinta degli otto figli del calzolaio Calogero; arriva con 24 dollari in tasca; a vent’anni segue la sorella Rosa. Viaggia in terza classe su un piroscafo nuovo che trasporta 1364 passeggeri: 54 in prima classe, 1300 in terza; lavora al decimo piano del palazzo andato in fiamme; si butta nel vuoto, dopo essersi fatta il segno della croce. La sua storia, come quella delle sue compagne, sfata anche il mito che vede le donne dell’emigrazione come subordinate all’uomo (padre, marito, fratello maggiore) al cui seguito si spostano, o che aspettano a casa in attesa di una chiamata che non sempre arriva. Clotilde parte assieme alla sorella, arriva a New York e si mette a lavorare ottenendo una buona paga. Il suo sacrificio e quello delle sue compagne ci fa conoscere il ruolo delle donne nella storia della nostra emigrazione, ruolo che fu attivo e spesso di traino nella costruzione di una nuova vita in un mondo nuovo.
MARIA PASQUINELLI – LA DONNA E IL GENERALE
Il 10 Febbraio del 1947, a Pola, in via Giovanni Carrara, Maria Pasquinelli, insegnante di 34 anni, uccideva, sparandogli tre colpi di pistola nella schiena, il generale inglese Robert "Robin" de Winton, di 39 anni, comandante della guarnigione britannica di Pola, massima autorità alleata presente in città, come gesto di estrema protesta armata per l’assegnazione di Pola, che dal 1918 era parte del territorio tricolore, alla Jugoslavia. Il 10 febbraio era, infatti, il giorno nel quale, a Parigi, veniva sancito il passaggio, dall'Italia alla Jugoslavia, di Fiume, di Zara, delle isole di Lagosta e di Pelagosa, dell'alta valle dell'Isonzo, di gran parte del Carso triestino-goriziano, dell'Istria. La data del trattato siglato nella capitale transalpina verrà assunta, con la legge 30 marzo 2004 numero 92, quale giorno della memoria per le popolazioni italiane costrette all’esodo per non sottostare allo strapotere degli uomini di Tito. La professoressa Pasquinelli, di Firenze, classe 1913, dopo essersi laureata in Pedagogia a Bergamo aveva insegnato Italiano a Spalato, quindi era stata in cattedra a Milano e dopo era andata a Trieste. Nell'ultima sede era entrata in contatto con il principe Valerio Borghese, comandante della X flottiglia Mas, e in stretta collaborazione anche con la formazione dei partigiani bianchi “Franchi”, capeggiata dal conte Edgardo Sogno Rata del Vallino, aveva svolto un accurato lavoro di documentazione e informazione sugli italiani assassinati nelle foibe dai partigiani comunisti di Tito. Per questa sua attivita’ (che la stessa Pasquinelli raccontera’ nelle sue memorie che confluiranno nel saggio “Tutto cio’ che vidi” di Rossana Turcinovich e Rossana Poletti, dato alle stampe da Oltre edizioni, di Sestri Levante, nel 2009) era ricercata dall’Ozna, l'Odeljenje za Zatu Naroda, ovvero i servizi segreti militari jugoslavi. Dopo l’omicidio la Pasquinelli, che proprio per il suo gesto altamente simbolico, diverrà icona dell’italianità in quel complesso momento storico del confine orientale, si lasciava arrestare dai militari inglesi. In tasca aveva il biglietto di rivendicazione del delitto. Il 10 aprile successivo la Corte militare alleata di Trieste condannerà a morte la donna, dopo il processo iniziato il 19 marzo. La pena capitale verrà poi commutata in ergastolo dal comando alleato, da scontare in Italia. Dopo 17 anni di reclusione, che trascorrerà a Firenze, otterrà la grazia dal presidente della Repubblica supplente Cesare Merzagora e tornerà libera, il 22 settembre 1964. Quindi si trasferirà a Bergamo, dalla sorella, dove vivrà fino al 3 luglio 2013, morendo da centenaria. Tutta la vicenda verrà raccontata, tra l’altro, nelle 248 pagine del volume “La donna che uccise il generale”, scritto da Carla Carloni Mocavero, pubblicato da Ibiscos Risolo editore, di Empoli, nel 2012.
FORTUNA NOVELLA, “MAMMA MAHON”: LA MAMMA DEI MARINAI.
Fortuna Novella era nata a Carloforte nell’isola di San Pietro a Sud-Ovest della Sardegna il 25 settembre del 1880. La sua famiglia di armatori di barche per la pesca del corallo proveniva da Santa Margherita Ligure. Si era sposata a Mahón l’8 maggio 1902 con un ricco commerciante spagnolo, Antonio Riudavetz ed era l’unica italiana residente nell’isola all’arrivo delle navi con i naufraghi della Roma. Viveva in una grande casa che guarda il mare in Plaza del Retiro al numero 31, ancora dopo la morte del marito avvenuta qualche anno prima. La mattina del 10 settembre del 1943, la notizia dell’arrivo in porto di quattro navi da guerra italiane, cariche di naufraghi, ignudi, feriti e morti, si diffuse immediatamente tra gli abitanti di Mahón, soprattutto perché, come ci dicono i vecchi ancora oggi: “Todo el puerto olia a carne quemada”, si sentiva per tutto il porto odore di carne bruciata, che durò per diversi giorni. Resasi conto della situazione in cui si trovavano quei suoi connazionali, si precipitò immediatamente al porto dove, come vice console onorario d’Italia, si attivò immediatamente per portare assistenza in tutti i modi possibili. Sfruttando le sue conoscenze si prodigò per ottenere ogni genere di aiuto, mettendo a disposizione anche le sue risorse personali per alleviare le sofferenze di quei poveri giovani marinai. Dei 620 sopravvissuti della Roma, giunti a Mahón, 284 ebbero bisogno di cure mediche e furono portati all’Ospedale dell’Isola del Rey, nel centro del porto. Gli altri furono sistemati molto sommariamente, senza neppure un giaciglio di paglia, in un capannone alla Base Navale della Marina spagnola, mentre le quattro navi dei loro salvatori che li avevano portati a Mahón, rimasero internate in porto, praticamente sequestrate per sedici lunghi e angosciosi mesi. In totale tra salvati e salvatori, arrivarono in Porto circa 1800 italiani che per la signora Fortuna, vedova senza prole di 63 anni, divennero come suoi figli. Da allora la sua casa rimase costantemente aperta per quei giovani e per tutti Fortuna Novella era diventata Mamma Mahón. Dopo il rientro in Italia delle navi con i suoi ragazzi, Fortuna Novella non dimenticherà mai quei 26 caduti della corazzata Roma che riposano nel cimitero di Mahón. Se ne prenderà cura non facendo mai mancare un fiore e una preghiera. Nel 1950 la Marina Militare Italiana farà erigere un Mausoleo per onorare quei caduti e con essi tutti quelli che riposano nelle profondità del mare di Sardegna in quel sarcofago d’acciaio che è il relitto della Roma. Il monumento marmoreo è opera dello scultore italiano Armando D’Abrusco e “Mamma Mahón” partecipa con altri volontari di Mahón, alla ricomposizione dei resti di quei caduti nei nuovi sepolcri di marmo. Il 29 settembre del 1950, all’inaugurazione del monumento, tutti gli ufficiali venuti dall’Italia per l’occasione, vedono in quella piccola donna avanti negli anni, di cui hanno sentito tanto parlare in Patria, una figura di grande statura morale. L’ammiraglio Ferrante Capponi lo conferma pubblicamente dicendo: “Vi è una persona in Mahón alla quale noi dobbiamo molta gratitudine, la signora Fortuna Novella. Essa ha svolto in passato una preziosa opera di assistenza ai nostri equipaggi e dimostra tuttora verso i caduti che sono qui sepolti una cura pia ed amorevole della quale è soltanto capace un’anima nobile e generosa, mossa da amor patrio e carità cristiana”. Il 20 settembre del 1952 è invitata, ospite della Marina Militare Italiana ed è accolta con tutti gli onori. Sarà ricevuta anche in udienza privata dal Papa Pio XIIº. Il 30 luglio del 1953 viene convocata a Roma per ricevere dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi la Stella della Solidarietà Italiana di prima classe.
DI LEI DICEVANO I MARINAI:
… Non aveva nulla di notevole a parte l’azzurro intenso degli occhi, ma emanava qualcosa che andava ben al di là della sua minuta e fragile figura, qualcosa di sincero. Come il sentore genuino dell’aria di casa, quello che circonda di solito una madre! L’attenzione e la cura mostratata per quei giovani caduti durerà costantemente per il resto di tutta la sua vita che si concluderà a Mahón il 26 di giugno del 1970 all’età di 89 anni, in quella casa in Piazza del Ritiro dove i naufraghi della Roma avevano avuto conforto e aiuto. Il 25 aprile 2001 a Carloforte, il Comune e la Capitaneria di Porto le hanno reso un ultimo omaggio. Una solenne cerimonia, per intitolarle una nuova banchina del Porto: la “Calata Fortuna Novella, Mamma Mahón”. L’avventura che la signora Fortuna Novella ha vissuto in quei tragici momenti di guerra, le sue azioni e il suo impegno, spontaneo e straordinariamente generoso, le hanno consegnato il diritto di appartenere al ristretto gruppo degli italiani illustri di Minorca e come tale orgogliosi di essere suoi connazionali. La recentemente costituita Sezione Spagnola dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia Gruppo Isole Canarie e’ orgogliosa di aver intitolato a “Mamma Mahon” il labaro della propria Sezione.