In campagna elettorale tutto o quasi è consentito. Non stupiscono più di tanto le “rivelazioni”, gli scandali, gli scoop che si succederanno da qui a fine settembre 2022. Quello de La Stampa, sul presunto intervento dei russi per convincere Salvini ed altri a far cadere il Governo Draghi è tuttavia interessante perché ripropone l’antico
tema delle ingerenze esterne sulla politica italiana che si sono protratti per tutto il dopoguerra, prima nel contesto della guerra fredda, poi, dopo la caduta del muro, nel contesto della fine della storia, della guerra infinita per l’esportazione della democrazia e per il consolidamento del nuovo secolo americano, la teoria neocon che ha improntato tutto il primo ventennio del 2000 e sembra confermata per il futuro a prescindere dall’alternanza tra repubblicani e democratici alla Casa Bianca. E’ ovvio e arcinoto – in vigenza di libero mercato e sistemi istituzionali “liberaldemocratici” – che le relazioni, le pressioni e le dinamiche conflittuali tra Stati, tra lobby e centri di potere privato transnazionali e Stati, sono il sale della storia da un bel pezzo e che le leadership politiche e istituzionali sono forgiate ovunque da questi rapporti. Meno ovvia è la relazione che passa tra tali dinamiche e il concetto di democrazia come lo abbiamo conosciuto o acquisito dalla nostra Carta Costituzionale. Qui la questione si fa più complicata perché i processi democratici e le istituzioni che ne derivano dovrebbero essere fondanti del sistema e non essere influenzati da prassi spurie. Colonialismo, imperialismo, globalizzazione, hanno reso sempre incerto l’avverarsi della democrazia in singoli paesi. Ma da tempo, ciò che ha riguardato per secoli i paesi meno solidi, riguarda anche i paesi ritenuti forti, inclusi quelli europei. L’Italia è da 70 anni un crocevia di questa generale contraddizione e anche se la memoria storica si è sfilacciata, bisogna avere la forza di mantenere intatti alcuni passaggi. Ciò che andrebbe sempre rifiutata è l’ipocrisia di cui qualcuno si veste, di volta in volta, rivendicando una verginità che non ha, o una storia personale magari lineare, ma altrettanto discutibile. L’esempio proposto riguarda l’attuale segretario del PD, Enrico Letta e è tratto dall’archivio di Wikileaks (per la cui pubblicazione Julian Assange rischia 175 anni nelle galere statunitensi). Enrico Letta, giovanissimo Ministro della Repubblica, sotto il governo D’Alema I e II e Amato II (1998-2001), poi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Prodi (2006-2008) e infine Presidente del Consiglio (2013-14), tra le altre cose è stato componente della Commissione Trilaterale e dell’Aspen Institute. Nel Luglio 2011 propose la completa privatizzazione di ciò che restava dell’industria pubblica, da Eni/Snam. Poste, Ferrovie e Finmeccanica e delle circa 20.000 imprese partecipate dagli enti locali (Intervista a Repubblica dell’11 luglio 2011) per “sanare” parte del debito pubblico del paese (progetto condiviso da Fini e Casini). Come si leggerà nel cablogramma datato 24 maggio 2006 (le elezioni con la vittoria di Prodi si erano tenute il 9 e 10 Aprile), la fedeltà all’ortodossia liberista anglo-americana (ivi inclusa la citata flessibilizzazione del mercato del lavoro) e all’atlantismo (basi militari Usa incluse) è forte e convinta. Le ripetute rassicurazioni sui diversi temi oggetto dell’incontro con l’Ambasciatore americano Spogli, il tono di domande e risposte che se ne coglie, sono abbastanza sconcertanti. Non sembra emergere alcun distinguo neanche sulla sovranità giuridica del Paese davanti all’ingiunzione di non provare a toccare gli agenti CIA coinvolti nel caso di Obu Omar e anzi, si consiglia all’Ambasciatore su come operare al meglio per conseguire il risultato desiderato. Se ne può dedurre che Enrico Letta è da lungo tempo un attivo e valente garante dell’allineamento, o della subalternità italiana agli USA.