La proposta del giornalista Paolo Berizzi: "Così vediamo chi e cosa resta. Perché quelle del 25 settembre sono le elezioni più importanti dal '48 a oggi. In ballo c'è la tutela della Costituzione italiana".
Daniele Nalbone 4 Agosto 2022 - Una “clausola antifascista” da far sottoscrivere a tutti i partiti che si presenteranno il 25 settembre alle elezioni politiche:
è la proposta lanciata tramite questa intervista a MicroMega da Paolo Berizzi, unico giornalista in Europa a vivere sotto scorta per le minacce subite dall’estrema destra. “C’è chi, a sinistra, parla di ‘patto costituzionale’. Chi, a destra, di ‘voto patriottico’. Ebbene, vediamo quanti firmerebbero questa clausola. Perché dire genericamente che l’antifascismo deve tornare nell’agenda politica oggi non basta più. Oggi servono gesti chiari, netti. Forti. Solo così l’antifascismo vero, non occasionale o pre-elettorale, ma permanente e costituzionale potrà tornare al centro della politica italiana, altrimenti la destra sovranista e nazionalista avrà ancora gioco facile nel definire il ‘pericolo fascista’ come uno spauracchio da agitare solo sotto elezioni”.
Sembra una proposta assurda in una democrazia nata dopo gli orrori del fascismo, ma non è così.
La nostra democrazia è nata dall’antifascismo e ogni forza politica dovrebbe avere questo valore come base. Ma così non è, e significa che c’è qualcosa che non va. Per questo a mio avviso quelle del 25 settembre sono le elezioni più importanti dal ’48 a oggi: in ballo c’è la tutela della Costituzione italiana.
Che Italia si appresta ad andare al voto e che Italia uscirà dalle urne?
Ci si avvicina al voto con una destra cattiva e una sinistra un po’ sguarnita. Mi auguro che vinca il campo democratico e progressista, ma se così non sarà dovremo prepararci al seguente scenario: la destra guidata da un partito a matrice fascista e portatrice di un messaggio xenofobo e discriminante modello Orban, proverà a riscrivere la Costituzione e magari anche la storia: è scritto nel programma della destra. La sinistra non può stare a guardare, non può stare in tribuna. Il momento è questo e, in caso di vittoria della destra, in Parlamento serviranno dei “nuovi resistenti”.
Nelle tue ultime inchieste su Repubblica racconti il “fattore M“. Ce lo puoi spiegare brevemente?
Di fronte all’elettorato di centrodestra, Meloni è riuscita nell’operazione lepeniana di “demostrificazione”, aiutata anche da chi l’ha legittimata, a partire da autorevoli editorialisti della stampa cosiddetta mainstream. Ma il maquillage di Meloni ha le gambe corte e lo dimostra proprio l’inchiesta a puntate che sto facendo sul “fattore M” su Repubblica. Meloni, davanti a questa inchiesta, reagisce con il dileggio, “buttandola in vacca” proprio come faceva Salvini: è un segno di debolezza, perché i veri leader, di destra o di sinistra, non scappano ma rispondono alle inchieste giornalistiche; non barano postando sui social faccine sorridenti in risposta ai miei articoli e rifugiandosi nel sarcasmo.
La crescita in termini di consensi di Meloni racconta però anche di una crisi della sinistra.
La sinistra oggi deve essere netta, decisa. Non basta più dire cose di sinistra, bisogna farle: lavoro, diritti civili, reddito. Soprattutto, chi ha di più deve aiutare chi ha meno. Questa l’idea di società che deve portare avanti una vera sinistra. Campi larghi, campi stretti, alleanze, patti… il problema non è la dimensione del campo ma il linguaggio di quel campo, cosa dice. Credo che la sinistra debba ripartire dalle sue fondamenta, dalle origini. Deve tornare a essere vicina ai ceti fragili, tornare in mezzo al popolo e non limitarsi a “parlare al popolo”; battersi per chi ha di meno; tenere la barra dritta sul confine tra ciò che è democrazia e costituzione e ciò che va in direzione opposta.
Dall’altra parte, che avversario c’è?
L’avversario che la sinistra ha davanti oggi è una destra cattiva, pericolosa, permeata di suggestioni fascistoidi, una destra che non recide – e mi riferisco a Meloni, a cui Salvini e Berlusconi si sono consegnati – il filo che la lega alle origini, perché significherebbe perdere voti e una parte consistente del proprio elettorato. Fdi non può essere definito un partito neofascista tecnicamente, ma è un partito che continua a non ripudiare e rifiutare il fascismo. Non è un caso che Giorgia Meloni replicando a una recente inchiesta di FanPage sulla “lobby nera” ha detto che “nel partito non c’è spazio per nazisti, antisemiti e razzisti”. Ma non ha mai pronunciato la parola “fascisti”.