Quando chi governa demonizza il nemico diviene difficile accettare la sconfitta
“Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie”: è una celebre frase di Sandro Pertini, Presidente della Repubblica italiana dal 1978 al 1985; il primo Presidente “partigiano”,
avendo partecipato attivamente alla resistenza antifascista, il Presidente che ha segnato la mia formazione sociale e politica nell’Italia funestata dal terrorismo e dalla violenza politica. Ho ripensato più volte a questa frase nel corso degli ultimi anni; mi è tornata alla memoria quando ho assistito con stupore e preoccupazione alle proteste che sono seguite alla sconfitta elettorale di Trump negli Stati Uniti e di Bolsonaro in Brasile. Proteste che denotano, nel loro linguaggio e nella loro aggressività fisica e verbale, uno strano concetto della democrazia, che andrebbe bene soltanto quando si vince mentre quando si perde si evocano imbrogli o complotti. Parrebbe che nella cultura ‘sovranista’ di certi partiti la sconfitta non sia pensabile e che quando il voto popolare è sfavorevole si riaffacci forte la tentazione di rimanere comunque al comando, costi quel che costi. Fortunatamente i contrappesi della democrazia, in quella più avanzata degli Stati Uniti o più giovane del Brasile, funzionano ancora e le istituzioni si sono rivelate più forti di queste tentazioni. Qualche riflessione comunque si rende necessaria, anche perché questi episodi costituiscono segnali da non sottovalutare non soltanto sullo stato della democrazia ma della società più in generale. Così scrive Alfredo Somoza, scrittore e giornalista, uno dei maggiori esperti in Italia di America Latina: “Trump e Bolsonaro in realtà non hanno inventato nulla, si sono limitati a rendere più profonda la spaccatura che si è andata creando nelle società occidentali negli ultimi anni. Spaccatura che si manifesta in molti modi diversi: tra città e campagna, tra ricchi e poveri, tra nativi e immigrati, tra perdenti e vincenti nel grande gioco della globalizzazione. Anziché lavorare per rimarginare queste ferite, hanno fatto il possibile per aumentare la divaricazione”. E’ qui che risiede il pericolo per la democrazia e la società. Quando la politica viene utilizzata per dividere invece che per unire, per falsificare la realtà invece che per interpretarla, i rischi che ne conseguono dovrebbero allarmare e riguardarci tutti. In una democrazia, infatti, si può vincere e si può perdere, e le istituzioni si tutelano sia che si governi sia che si vada all’opposizione; soprattutto: le persone si rispettano sempre. Poche settimane fa si è votato anche in Italia e, per la prima volta, ha vinto le elezioni e governa l’Italia una formazione politica di estrema destra che mai era stata al vertice del governo. In Parlamento e nel Paese, però, l’opposizione democratica ha rispettato il risultato e a nessuno è venuto in mente di bloccare strade e autostrade o di gridare ai brogli e al complotto. E’ così che funziona uno Stato democratico. Il veleno del sovranismo che non accetta il risultato popolare, invece, toglie legittimazione all’agire di chi è chiamato a governare dopo di loro e quindi alla democrazia come sistema di rappresentanza fondato proprio sull’alternanza al potere. La sistematica costruzione di una realtà parallela, fondata sulle ‘fake news’ e la mistificazione della realtà, è così diventata la patologia più pericolosa della democrazia, contro la quale gli unici anticorpi possibili sono la tolleranza, la cultura ed il reciproco rispetto di posizioni politiche diverse. Pacificare gli animi e sanare le ferite provocate da questa voluta estremizzazione e radicalizzazione dei conflitti: sono due sfide che spetta alla politica abbracciare, con coraggio e passione.
Articolo pubblicato da "Comunità italiana" (novembre 2022)