di Fabio Luppino Marina Boscaino (foto accanto): L'Autonomia differenziata disgregherebbe la Repubblica. Ecco perché La portavoce dei Comitati NOAD ad Huffpost: "Si determinerebbero venti staterelli a marce differenti, ciascuno con il proprio sistema scolastico, sanitario, ecc.

Diritti di cittadine e cittadini differenti a seconda del certificato di residenza. Un ribaltamento totale del comma due dell’articolo 3 della Carta costituzionale" Per il Comitato di cui è portavoce Marina Boscaino, l'Autonomia che ha in mente il ministro Calderoli è solo differenziata, con tutto quel che ne consegue. "Con la loro Autonomia combinata con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, o del Presidente del Consiglio -nel programma di questo governo- avremmo la morte della Repubblica". Marina Boscaino, insegnante, rappresenta i Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, l'unità della Repubblica, l'uguaglianza dei diritti. I comitati sono circa 40 in Italia e sono nati progressivamente, in seguito ad un'assemblea (9 luglio 2019) organizzata al liceoTasso di Roma. "Precedentemente, dal novembre 2018, non avevamo capito l'entità della partita e lavoravamo solo per la scuola - dice Marina Boscaino-. Quando ci siamo resi conto che le materie erano 23, abbiamo fondato il Comitato". Nasce poi il tavolo NOAD.

Perché no a qualunque tipo di autonomia differenziata?

Il nostro comitato si chiama Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti: un nome lungo, ma che ha un significato molto preciso. Siamo contrari a qualunque forma di autonomia differenziata perché, se anche solo una delle 23 materie disponibili alla richiesta di potestà legislativa esclusiva delle regioni, secondo quanto previsto dal c. 3 dell’art. 116, riformato nel 2001 con tutto il Titolo V, passasse alle Regioni, si determinerebbe un grave vulnus all’unità della Repubblica, determinando diritti diversi per i/le cittadini/e. E poi ‘autonomia differenziata’ è una contradictio in adjecto: come si fa a differenziare entità autonome? Evidentemente non si vuole dare maggiore autonomia alle Regioni, ma solo avviare un inizio di un processo di disgregazione della Repubblica stessa, garante - tra le altre cose – del principio di uguaglianza; nel termine repubblica sono ricomprese tutte le istituzioni, anche quelle regionali, chiamate a garantire l’uguaglianza sostanziale di tutte le persone. In realtà, si andrebbe ad allargare una strada di legittimazione delle diseguaglianze, già oggi molto evidenti, senza che l’autonomia differenziata sia ancora stata messa in atto. Se poi si pensa a quali sono le materie disponibili (3 attualmente di potestà legislativa esclusiva dello Stato (norme generali dell’istruzione; giustizia di pace; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; e 20 attualmente di potestà legislativa concorrente, tra cui sanità, sicurezza sul lavoro, tutte le infrastrutture, trasporti, beni culturali, ricerca scientifica e molte altre, altrettanto “pesanti” nella vita quotidiana delle persone) si comprende come, qualora l’autonomia differenziata entrasse in vigore, si determinerebbero 20 staterelli a marce differenti, ciascuno con il proprio sistema scolastico, sanitario, ecc. Diritti di cittadine e cittadini differenti a seconda del certificato di residenza; un ribaltamento totale del c. 2 dell’art. 3 della Carta, che sancisce l’uguaglianza sostanziale. Tipo: dimmi in che tipo di regione risiedi e ti dirò che diritti avrai.

Quali regioni avrebbero più da perdere dall'autonomia proposta dal ministro Calderoli (il governo non la chiama autonomia differenziata, ndr)?

Ovviamente il Sud, ovvero la zona del Paese che più di ogni altra ha subito, tra le altre cose, le conseguenze della crisi economica determinata dall’uno-due pandemia-guerra. Qualche esempio per capirci meglio. La regione Calabria investe 77 milioni l’anno nel “turismo sanitario”, devolvendo alle regioni del Nord (prime tra tutte la Lombardia) finanziamenti per sopperire alla tragedia della mancanza di ospedali e di una sanità commissariata per anni. Ricordate la bimba calabrese che – lo scorso gennaio – morì a 2 anni di Covid per mancanza di terapie intensive in regione?La Calabria, con 2 milioni di abitanti, ha zero terapie intensive infantili; il Veneto, con 5 milioni di abitanti, ne ha 3. Un bambino calabrese già oggi vale molto meno di un coetaneo delle Regioni che stanno chiedendo di gestire i propri fondi per fare una sanità, un sistema di istruzione, delle infrastrutture propri, in un progetto eversivo che prevede la rottura del patto repubblicano, un diverso accesso e una diversa esigibilità dei diritti universali garantiti a tutte/i le/i cittadine/i ugualmente e su tutto il territorio nazionale. Ma una grave ripercussione la avrà anche presso le classi meno abbienti del Nord, in quanto l’autonomia differenziata liquiderebbe (come si è ampiamente dimostrato in Lombardia, in occasione del Covid, relativamente al sistema sanitario) tutto ciò che è pubblico, cioè finalizzato all’interesse generale, ovvero destinato a ridurre le differenze tra ricchi e poveri. Principi e diritti sociali previsti nella prima parte della Costituzione sarebbero di fatto annullati, aprendo alla privatizzazione in ogni settore e a contratti di lavoro regionali, quindi differenziati, con buona pace del contratto collettivo nazionale. Nel Rapporto dell’Istat del 25 gennaio di quest’anno si elencano 10 parametri – dalla scuola alla sanità al Pil – dove si rimarcano le accentuate differenziazioni economiche, sociali, istituzionali tra Sud e Centro-Nord.

In quali settori ci sarebbero le più accentuate disparità?

Certamente quelli che toccano i diritti universali delle persone, primi tra tutti sanità, istruzione, ambiente. Ma si pensi, ad esempio, ad un tema che non viene mai affrontato, quello della giustizia di pace. La potestà legislativa esclusiva delle regioni in questo ambito toccherebbe persino il c. 1 dell’art. 3: ovvero – per quel che attiene le prerogative della giustizia di pace – non sarebbe più vero che “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”.

La proposta del ministro Valditara di salari variabili per i docenti a seconda delle regioni di residenza è in coerenza con il progetto Calderoli?

Certamente. Ad essa si è aggiunta quella analoga del ministro della Funzione Pubblica, Zangrillo. Le dichiarazioni relative alla proposta di variare i salari sulla base del costo della vita, ovvero riconoscere un “bisogno” e un “diritto” maggiori da parte dei docenti del Nord, oltre ad essere evidentemente una goffa ricerca di consenso elettorale (non dimentichiamo le imminenti elezioni regionali in Lombardia), rappresenta una riedizione delle gabbie salariali in chiave neocorporativa, che si colloca in perfetta continuità con l’autonomia differenziata, che determinerebbe infatti contratti regionali, affiancati al contratto collettivo.Le gabbie salariali furono abolite grazie alle lotte operaie del biennio 1968-1969: vogliamo farvi ritorno? Vogliamo innescare la consueta guerra tra poveri, come tante volte si è cercato di fare nella scuola? Inoltre non si tiene assolutamente conto di quanto tutti i partiti hanno sbandierato con indignazione (e relativa promessa di invertire la situazione) a settembre, in campagna elettorale: i salari dei docenti italiani, dovunque insegnino, sono tra i più bassi in Europa. In più, non tiene conto del gap infrastrutturale interno alle scuole del Sud, ma anche esterno (difficoltà dei trasporti o inadeguatezza delle vie di comunicazione per raggiungere il posto di lavoro). La situazione poi dei medici ospedalieri è davanti agli occhi di tutti con una fuga dai pronto soccorso: medici che preferiscono essere pagati a gettone piuttosto che avere stipendi di basso livello. E questo per molti altri lavoratori.

Quali danni provocherebbe il riferimento alla spesa storica delle regioni? Sarebbe stata tolta dal documento del ministro...

Cosa sia la spesa storica ce lo ha ben spiegato Marco Esposito (“tanto spendi, tanto ti viene riconosciuto dallo Stato”), nel suo libro Zero al Sud. Reggio Emilia ha 171mila abitanti contro i 180mila di Reggio Calabria; eppure, la prima spende 28 milioni in istruzione, mentre la seconda solo 9. E ancora: 21 sono i milioni spesi in cultura da Reggio Emilia, mentre sono solo 4 quelli del comune calabrese. E’ così che emerge il famoso “zero al Sud”, di cui parla Esposito: se non hai speso in asili nido, vuol dire che non hai bisogno di asili nido, e che ciò che avrai sarà zero. E così Reggio Emilia ha 63 asili nido, contro i 3 di Reggio Calabria. E, secondo i parametri della spesa storica, questa situazione deve rimanere immutata. Non a caso Esposito dedicò quel libro (che sempre più risulta tragicamente attuale) “A tutti i bambini senza asilo nido perché nessuno di loro vale zero”. Sarà importante capire come il ministro Calderoli intenda superare questo criterio.

Basta il riferimento ai Lep (livelli essenziali di prestazioni)?

Assolutamente no. Da sempre il nostro comitato ribadisce una convinzione, pensiamo inconfutabile, se ancora i principi costituzionali hanno un senso in questo Paese. I Lep istituzionalizzerebbero le diseguaglianze. Mi spiego meglio: è legittimo pensare che – poniamo il caso – in una determinata materia la Repubblica garantisca a Crotone un livello essenziale di prestazione (ammesso che ci siano le risorse per farlo) per consentire poi a Treviso, Varese o Modena di continuare la propria sfrenata corsa per agganciare la “locomotiva europea”? Noi pensiamo che la Repubblica debba garantire innanzitutto livelli uniformi di prestazione, per attuare il più possibile, e molto più di quanto non si sia fatto sinora, il principio di uguaglianza. Inoltre i LEP sono in netto contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che impone alle istituzioni dell Repubblica la garanzia dell’uguaglianza sostanziale che, a sua volta, richiede – questa sì - la differenziazione degli interventi per dare più a chi ha meno. E poi si può affidare al Governo e a organi tecnici il compito di definire i LEP, come prevede l’ultima legge di Bilancio, attraverso la determinazione dei costi e fabbisogni standard; ciò, ripeto, in netto contrasto con l’art. 3 della Costituzione? Ma come si fa definire un costo per una qualsiasi malattia, senza tener conto delle condizioni complessive di un paziente? Assurdo, e potrei continuare a esemplificare con tutti gli altri diritti sociali

Detto questo, il centralismo ha prodotto grandi disparità lo stesso. Come bisognerebbe intervenire?

Mettendo in atto l’unica forma di autonomia che noi riconosciamo, quella prevista dall’art. 5 della Costituzione, che prevede il principio di sussidiarietà solidarietà e a garanzia della Repubblica “una e indivisibile”.

C'è consapevolezza nei partiti di opposizione dei mutamenti costituzionali che si avrebbero se la riforma del governo arrivasse fino in fondo? Qualcuno sta seguendo convintamente la vostra battaglia?

Purtroppo le formazioni politiche che stanno seguendo più convintamente la nostra battaglia si collocano fuori dall’arco parlamentare. Innanzitutto Unione Popolare, che – anche grazie al fortissimo impegno che il Prc ha posto sul tema nel corso degli ultimi anni e da quando è nato il nostro comitato – pone il rifiuto della autonomia differenziata come uno degli elementi fondamentali del proprio programma. Analogamente il Pci. Per quanto riguarda le forze in Parlamento, il gruppo Sinistra Italiana-Verdi condivide le nostre posizioni. Sappiamo del fortissimo coinvolgimento e del ruolo determinante che il Pd ha avuto nella riforma del Titolo V, e dunque sulla vicenda autonomia differenziata. Un coinvolgimento che – temiamo – sarà ancora più completo se e quando il presidente della Regione Emilia Romagna – Stefano Bonaccini -, cioè di una delle tre regioni che hanno già stipulato pre-intese con il governo per accedere all’autonomia differenziata, dovesse diventare segretario di quel partito. D’altra parte anche dalle altre persone canditate alla segreteria del Pd abbiamo avuto solo generiche parole sull’autonomia differenziata, e Francesco Boccia, che da ministro propose un disegno di legge per attuare l’autonomia differenziata, fa parte della squadra di Elly Schlein (vicepresidente – ricordiamolo – della regione presieduta da Bonaccini). Un discorso a parte va poi fatto per il M5S che, grazie al cambiamento di linea politica e a giovani parlamentari che hanno assunto consapevolezza del pericolo, ha iniziato un percorso di rivisitazione delle sue precedenti posizioni, sul quale contiamo moltissimo.

E nei cittadini?

Purtroppo 4 anni di attività dei comitati Per il ritiro di ogni autonomia differenziata non sono stati sufficienti per scalfire il colpevole silenzio dei media mainstream, che ha accompagnato il processo di autonomia, silenziato e secretato da tutti i governi (sin dal 2018, quando Gentiloni firmò le preintese con Veneto, Emilia Romagna e Lombardia 4 giorni prima delle elezioni, il 28 febbraio) fino ad oggi. Ora i media ne parlano, grazie alla politica interventista di Calderoli. Ma se ne parla molto più nei termini di una riforma amministrativa, di snellimento e velocizzazione delle procedure, che per quello che in realtà è. Assegnare la potestà legislativa esclusiva alle Regioni su 23 materie significa cambiare completamente il volto istituzionale della Repubblica e derogare completamente ai principi sanciti nella prima parte della Costituzione. Ancora oggi, nonostante quattro anni di mobilitazione, studio, assemblee, presidi, alfabetizzazione su questo tema, ho l’impressione che i cittadini e le cittadine siano ignari, soprattutto al Centro e al Sud, di quanto gli sta per cadere addosso.Infine il pericolo è ancor più grave se si pensa che il governo Meloni, insieme all’autonomia differenziata, vuole arrivare ad una più accentuata forma di verticalizzazione e personalizzazione del potere esecutivo attraverso o l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, o del Presidente del Consiglio: così avremmo la morte della Repubblica. Noi ci batteremo contro questo disegno, che spero vedrà l’opposizione di tutte le forze, politiche sindacali e associative democratiche del nostro Paese.