di Roberto Ciccarelli - 03.02.2023 il manifesto Lo spaccone Il governo Meloni vara il progetto di«autonomia differenziata», la Lega pensa alle regionali in Lombardia. Tempi lunghi per la misura-bandiera di Roberto Calderoli e di Matteo Salvini. A giugno in arrivo un decreto sul presidenzialismo.
Contro lo spezzatino delle destre opposizioni e Cgil sulle barricate e annunciano mobilitazioni. Cuperlo: (Pd): “Ora siamo tutti contro questo progetto, Bene. Ma ricordiamoci che nel 2001 la riforma del Titolo V della Costituzione l’ha votata il centro-sinistra. Cerchiamo di non fare più pasticci” Il primo passo per la creazione di un paese arlecchino è stato fatto ieri dal governo Meloni che ha approvato, tra gli applausi degli astanti in consiglio dei ministri, il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. Il cammino del provvedimento sarà lungo, accidentato e non scontato. Produrrà urti e frizioni in una maggioranza a vocazione nazionalista che, con Fratelli d’Italia, aspira a dare il colpo finale alla forma di governo parlamentare e a istituire il presidenzialismo, anche se non ha ancora capito quale. La ministra per le riforme Casellati ha promesso ieri un testo entro giugno. Il presidenzialismo è il pegno da pagare a Fratelli d’Italia all’autonomia differenziata concessa alla Lega. UN ANNUNCIO delle difficoltà è stato visto ieri alla conferenza stampa organizzata al termine del Consiglio dei ministri. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non c’era. Assenza simbolica che parla più delle parole di rito pronunciate da Meloni per celebrare la festa della Lega. Segno di una distanza dagli alleati, o comunque di un problema. Se il Disegno di legge ha un’importanza così epocale, il capo del governo ci mette la faccia. La situazione anomala ha spinto Calderoli a evocare Meloni in spirito e a leggere, all’inizio dell’incontro con i giornalisti, le sue parole pronunciate domenica scorsa. “Non ci saranno cittadini di serie A e B, il paese è unito. Ho fatto miei i suoi principi”, ha detto il leghista. CALDEROLI ha chiarito quali potrebbero essere i tempi e le modalità di approvazione dell’intero progetto. Entro la fine dell’anno il testo tornerà al Consiglio dei ministri. Quella di ieri, infatti, è stata un’approvazione solo in “forma preliminare” del provvedimento. Il testo ora sarà portato alla Conferenza stato-regioni-città. Nel frattempo la cabina di regia costituita a palazzo Chigi – cioè il governo – definirà i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), i costi e i fabbisogni standard. Misure ritenute fondamentali, e nel caso dei Lep mai realizzate da 22 anni, per definire una teorica cornice unica nazionale sui diritti fondamentali e. A dire di Calderoli, nell’arco 10-12 mesi l’iter sarà realizzato. NEL 2024 scatterà un’altra fase. «Si inizierà a considerare le proposte di autonomia da parte delle regioni che le avanzeranno – ha spiegato Calderoli – Questa non è una legge che trasferisce una competenza dallo stato dall’oggi al domani. Cè bisogno di una richiesta della regione, poi del parere della conferenza stato regioni, l’approvazione del governo e il voto del parlamento a maggioranza assoluta». Ii tempi saranno piuttosto lunghi. Nel frattempo bisognerà vedere quale sarà la situazione politica nel paese, e la salute delle relazioni tra gli alleati. IL NUOVO TESTO approvato ha recepito l’esigenza della presidente del Consiglio Meloni di garantire un ruolo maggiore al parlamento. Il suo compito dovrebbe essere comunque quello di ratificare le decisioni del governo. Ad avviso di Calderoli è stata inoltre superata definitivamente il criterio della spesa storica, e sarebbe stata garantita sia la perequazione che un «equilibrio politico e geografico». LA SODDISFAZIONE che traspirava da tutti i pori ha portato Calderoli a rilanciare la classica teoria capitalista della locomotiva. Il paese non sarà spaccato, ma procederà a velocità diverse. In testa c’è la locomotiva del Lombardo-Veneto, quello dei leghisti soddisfatti delle loro «eccellenze», in coda ci sono quelle povere che devono spinger nella stessa direzione, seguendo i capitreno. «Avremo un’Italia ad alta velocità» ha aggiunto Calderoli. È un’immagine classista perfetta che coglie il senso dell’intero processo. NELLE PAROLE del regista indiscusso dell’autonomia differenziata abbiamo inoltre avvertita di nuovo una certa sensibilità alle aspre critiche non faziose, realistiche e ben argomentate di chi ha descritto la «sua» creatura come una «secessione dei ricchi». Calderoli, come altri esponenti del governo e della maggioranza nelle ultime ore, ha incassato il colpo e ha cercato di rassicurare. Però ha colto un punto molto importante per capire la ragione per cui un intero paese allo stremo socialmente e istituzionalmente, può essere fatto a pezzi e ricostruito con un’altra logica. Senza colpo ferire. IL PROGETTO DI «DEVOLUZIONE» di competenze importantissime per la vita sociale ed economica sono state previste dalla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione voluta nel 2001 da un «centro-sinistra» allo sbando per anticipare l’avanzata della destra berlusconian-leghista. Che, infatti, vinse le elezioni e si appropriò di quella riforma, interpretandola a suo modo e traducendola all’interno della sua concezione del mondo: il territorialismo securitario e proprietario. Per le destre viene facile oggi dire: «ce lo chiede la Costituzione. Perché voi dell’opposizione non volete applicarla, visto che anche voi pensate la stessa cosa? Al di là della tendenziosità della domanda, e del gioco delle parti ideologiche, il ragionamento colpisce duro. IL PROBLEMA è che nel Pd non si mette in discussione alla radice questa storia. E restano molte ambiguità, come ha sostenuto Gianfranco Viesti in un’intervista a Il Manifesto. LA RAGIONE per cui il presidente dell’Emilia Romagna, e candidato alla segreteria del Pd, Stefano Bonaccini trova «irricevibile» il testo Calderoli sull’«autonomia differenziata» varato ieri dal consiglio dei ministri è il fatto che le bozze del provvedimento «non sono state condivise con la Conferenza delle regioni». Il ddl sarà sottoposto alla sua attenzione dopo l’approvazione. «è una cosa clamorosa, incredibile, perché è un testo che non tiene conto delle nostre proposte come regioni e va nella direzione di spaccare il paese. Siamo pronti alla mobilitazione». DELLO STESSO AVVISO è l’ex vice presidente dell’Emilia Romagna, ora avversaria di Bonaccini nella corsa al Nazareno, Elly Schlein, secondo la quale «il disegno di Calderoli è una sberla di Meloni al Sud del paese». Dello stesso avviso di Bonaccini sono i colleghi pugliesi e campani del Pd, Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. La «riforma» di Calderoli non va bene sia perché «ci indigna il fatto di varare il provvedimento prima delle elezioni in Lombardia» (Emiliano), sia perché la nuova versione del testo permetterà a Lombardia e Veneto (e a chi lo vorrà) di mettere mano allo «smantellamento della sanità pubblica e della scuola pubblica statale. E noi non lo permetteremo» (De Luca). ALTRO PROBLEMA sono le risorse. Il governo non ha stanziato un euro. Lo sostiene Francesco Boccia (Pd): «Non ci sono fondi, si ribadisce l’invarianza della spesa nonostante gli 80-100 miliardi di disparità territoriali tra Sud, aree interne e aree più sviluppate e si consente l’aumento dei tributi locali. E non si capisce cosa hanno approvato. Il testo tornerà indietro al Consiglio dei ministri. Un caos». NEL PD IN EBOLLIZIONE ieri c’è stato qualcuno, come Gianni Cuperlo anche lui candidato alla segreteria, che è riuscito a fare un ragionamento di respiro. «Tutti contro l’autonomia differenziata. Bene. Ma ricordiamoci che il Titolo V venne votato dal centrosinistra pensando a quel modo di sgambettare il federalismo-secessionismo leghista. Da ora in poi evitiamo di offrire alla destra l’occasione di fare danni!». Il punto è questo. L’opposizione dei governatori Pd, e della maggioranza del partito, sembra essere orientata verso la richiesta di un’autonomia diversamente differenziata. Al momento non c’è traccia di un ragionamento di critica della storia recente e di una cultura politica diversa. LE ARGOMENTAZIONI delle opposizioni sono orientate al contrasto immediato di un provvedimento dall’evidente sapore elettorale. Giuseppe Conte dei Cinque Stelle ha annunciato le barricate in parlamento: «Meloni vende l’unità d’Italia e paga dazio a Salvini per tenerlo in maggioranza in cambio di qualche percentuale in più alle regionali». LA POLEMICA sulle elezioni imminenti, soprattutto in Lombardia, è stata creata da Calderoli e dalla stessa Meloni che ieri hanno rivendicato di avere mantenuto «l’impegno» con gli elettori. Avevano promesso l’estate scorsa, durante la campagna elettorale per le politiche, l’autonomia differenziata. E l’hanno varata poco dopo i primi cento giorni dell’esecutivo. L’uso elettoralistico di riforme complesse, e dal lungo percorso, è consustanziale al populismo in tutte le stagioni. Lo hanno fatto gli stessi Cinque Stelle con il «reddito di cittadinanza», ad esempio.Dure reazioni sono arrivate sia dall’Alleanza VerdiSinistra (è il sabotaggio dell’unità del paese) che da Rifondazione Comunista («Meloni e Lega pugnalano alle spalle gli italiani»). SUL FRONTE SINDACALE Maurizio Landini, segretario della Cgil, ha rilanciato l’idea di una mobilitazione. «Servono politiche di sistema, politiche industriali comuni, una riforma fiscale degna di questo nome, un servizio sanitario vero, non ventuno diversi, e nessuna regionalizzazione della scuola. Serve una lotta senza quartiere alla precarietà». (FONTE: Roberto Ciccarelli, 03.02.2023 il manifesto)