*In quest’ultima puntata della rubrica “Memory 27/1-10/2”, abbiamo parlato con Francesco Filippi della possibilità di istituire una giornata in memoria delle vittime del colonialismo nostrano. “Da italiano ritengo che sarebbe un passo importante per la maturazione della coscienza collettiva del nostro passato”
*Di Davide Leveghi - 19 febbraio 2023 - 11:57 Condividi Contenuto sponsorizzato TRENTO. “Il fatto che alla memoria pubblica del Paese manchi del tutto una coscienza di quali siano state le nefandezze compiute in nome e per conto di una supposta superiorità italica dovrebbe farci riflettere. Per questo sono favorevole all’istituzione di una giornata in ricordo delle vittime di tutti i colonialismi, soprattutto quello italiano”. Non ha dubbi, lo storico Francesco Filippi. Nonostante l’affollamento di giornate memoriali che interessa questa parte dell’anno, c’è bisogno di istituirne una nuova: quella dedicata alle vittime del colonialismo italiano. È da anni che questa proposta si è fatta spazio nel dibattito pubblico, precisamente dal 2006, quando a promuoverla, tra gli altri, ci fu anche lo storico e giornalista Angelo Del Boca, imprescindibile punto di riferimento per chi volesse studiare le vicende delle colonie nostrane. Una data, per l’occasione, è già stata individuata: il 19 febbraio, anniversario della strage di Addis Abeba (QUI e QUI degli approfondimenti), avviata nel 1937 dopo il fallito attentato al viceré Rodolfo Graziani. Per settimane, l’Etiopia fu sconvolta da violenze perpetrate non solo dalle forze d’occupazione, ma dalla stessa popolazione civile italiana. Violenze che alcuni storici stimano abbiano prodotto circa 19mila vittime, ricordate nel Paese africano con una giornata del ricordo specifica chiamata “Yekatit 12” (le autorità etiopi offrono un bilancio diverso, parlando di 30mila vittime). Contenuto sponsorizzato Ed è proprio per questo che nel calendario civile andrebbe inserita una nuova giornata memoriale non più caratterizzata da quello che lo storico Giovanni De Luna definisce “paradigma vittimario”, bensì da un monito. Un invito alla società italiana per ricordare anche i crimini commessi in nome della nazione. Una parola, anche in questo caso, deve farci da “stella polare”: responsabilità. Termine che Filippi precisa, differenziandolo da quello di colpa. “La differenza sta nei soggetti coinvolti: la colpa è solo personale, la responsabilità può essere invece anche collettiva. Facciamo un esempio pratico, spesso utilizzato anche a sproposito: gli orrori della Seconda guerra mondiale. La colpa dell’Olocausto, ad esempio, fu di chi commise materialmente le atrocità dello sterminio e di chi, potendolo fare, non vi si oppose. Con vari gradi di intensità, possiamo individuare i colpevoli negli esecutori, nei mandanti e nei complici”. “Nessun tedesco nato dopo la fine della guerra, nondimeno, ha ‘colpe’ nei confronti della Shoah. Parliamo di responsabilità, invece, riguardo alla conoscenza di ciò che è accaduto – continua lo storico trentino – se io conosco i crimini di quel passato ho la responsabilità di ricordarli e anche di diffonderli, per quanto nelle mie possibilità, così da non dispedere la memoria e farne un monito per il futuro. Chiunque sia venuto a conoscenza dei crimini nazisti, in definitiva, ha la responsabilità del ricordo, tedesco o no. Perché quella mostruosità è purtroppo parte del nostro essere umani e non possiamo dimenticarcelo”. Contenuto sponsorizzato Di responsabilità ci parla soprattutto la Giornata della Memoria (QUI l’articolo), ricorrenza che nonostante alcuni aspetti problematici (QUI l’articolo) Filippi considera di una certa efficacia. “Da quando è stata istituita, nel 2000, la giornata della memoria ha creato una diffusa conoscenza e consapevolezza del dramma dello sterminio portato avanti dai fascismi europei e anche se resistono sacche di riduzionismo o negazionismo, la memoria della Shoah è entrata a far parte della memoria comune europea”. “In generale, quindi, a mio parere le giornate della memoria hanno un effetto positivo sul rapporto tra opinione pubblica odierna e passato – prosegue – in un mondo malato di presentismo, legato al qui e ora, trovarsi in un confronto anche obbligato con dei temi del passato significa mettersi in relazione con la storia, comprendere il suo peso nel presente. Significa prendere atto che c’è molto altro al di fuori dello stretto orizzonte dell’oggi. La memoria è sicuramente utile, però, solo se ‘è fatta bene’. Riutilizzare il momento del ricordo riducendolo all’atto formale della corona di fiori sul monumento, alla programmazione dedicata in TV e a qualche intervento sui mezzi di informazione, rischia di danneggiare più che di favorire il ricordo”. “La memoria è un organo importante ma pigro, direi, e va continuamente allenato. Se le giornate di memoria si trasformano in un momento dedicato isolato dal contesto e non inserito in una vera riflessione pubblica, esse rischiano di diventare una penosa foglia di fico per nascondere l’incapacità di fare i conti con il passato. Ricordare significa comprendere, non banalizzare”. Contenuto sponsorizzato “L’affollamento memoriale” che caratterizza questa parte dell’anno, dal ricordo delle vittime della Shoah a quello delle foibe e dell’esodo istriano dalmata, passando per l’ultima giornata istituita “per la memoria e il sacrificio degli alpini” (QUI l’articolo), rischia però di andare proprio in questa direzione. Astraendo i fatti dal loro contesto storico, la storia viene banalizzata, la memoria diventa una “guerra fra bande” in cui ognuno coltiva il suo orticello. Il quadro, invece, deve essere reso più complesso. “La nascita della prima giornata della memoria – spiega Filippi - rispondeva alla precisa esigenza di preservare il ricordo di una delle più grandi catastrofi dell’umanità, dovuto alla scomparsa degli ultimi testimoni viventi di quegli orrori. L’iniziativa ebbe successo, tanto che si pensò subito di istituire altre giornate specifiche con l’intento di porre in luce aspetti poco ricordati del passato. Il Giorno del ricordo, istituito nel 2004 con lo scopo di ricordare la tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, ricalca così tempi, modi e riti del 27 gennaio, con però una differenza sostanziale”. “Se il 27 gennaio aveva lo scopo di ricordare in modo esemplare gli orrori di un passato da non ripetere, come monito per l’intera umanità, molte delle giornate che oggi affollano il nostro calendario civile sono dei fari puntati settorialmente su alcuni specifici aspetti del passato, che non creano una memoria pubblica universale ma molte ristrette ‘memorie di parte’ in cui ciascuno ricorda il proprio spezzone di passato, solitamente quello meno problematico. Ad esempio ci si ricorda come vittime più che come carnefici, come esuli piuttosto che invasori, anche se magari si è stati entrambi. Il moltiplicarsi di queste memorie divise satura un calendario civile che rischia in effetti di non dire niente, perché dice troppo. Come chiunque abbia studiato su un manuale con righello ed evidenziatore sa, sottolineare tutto significa spesso non sottolineare niente”. Contenuto sponsorizzato Entrati in un meccanismo di “lottizzazione della memoria”, il modo di raccontarsi finisce così per incanalarsi in vecchi solchi. Quelli della nazione, ad esempio, di un “Noi” a cui s’accompagna un più o meno implicito “Voi/Loro”. Questo discorso, che Filippi ha analizzato in riferimento alla storia sul web nel suo ultimo volume per Bollati Bolinghieri intitolato Guida semiseria per aspiranti storici social, vale anche per la giornate memoriali. “La storia, come tutte le forme di racconto, coinvolge e crea identità – spiega lo storico trentino – in un contesto come quello odierno, in cui la velocità con cui le informazioni cambiano il mondo attorno a noi, a molti sembra che la certezza con cui di solito ognuno di noi si descrive e costruisce siano in balia di repentini cambiamenti. Potersi identificare in temi forti, ancorati al passato e ben riconoscibili, ad esempio ‘noi’ che con Giulio Cesare abbiamo conquistato la Gallia o ‘noi’ che con Colombo abbiamo scoperto l’America, dà la possibilità di costruirsi un’identità solida, benché fittizia”. “Aggrapparsi al passato è meglio che cadere nel vuoto del non identificato. E come è importante, in questo schema, il ‘noi’ che ci descrive e in qualche modo protegge, altrettanto lo diventa il ‘voi’ o addirittura il ‘loro’ che esclude e mette a bersaglio ciò che non pensiamo di essere e ciò che non vogliamo essere. Anche escludere è un modo per identificarsi: dire che ‘loro’ sono brutti e sporchi e cattivi è spesso un modo per dire, senza dirlo, che invece ‘noi’ siamo belli, puliti e buoni”. Contenuto sponsorizzato Istituire una giornata dedicata al ricordo dei crimini del colonialismo italiano risulta quindi essere molto importante per restituire nello “specchio” del discorso pubblico un’immagine completa e non parziale di noi stessi. “Proprio da italiano – conclude Filippi – ritengo che sarebbe un passo importante per la maturazione della coscienza collettiva del nostro passato poter riflettere come Paese su un periodo che ne ha caratterizzato così a lungo l’anima”. “In questo affollamento di date memoriali in cui spesso chi propone il ricordo lo fa ponendosi nel più rassicurante recinto delle vittime, dal mio punto di vista sarebbe fondamentale, e anche molto maturo, fermarsi a guardare un pezzo del passato comune in cui non si è stati vittime ma consapevoli carnefici. Ovviamente non per caricarci sulle spalle una colpa che noi oggi non possiamo avere ma perché, conoscendo quello che avvenne con sempre maggiore chiarezza, dobbiamo assumercene la responsabilità”. Questo articolo è il quinto e ultimo di un ciclo di interviste e riflessioni sulla memoria e le ricorrenze che marcano questa parte dell'anno. Memory: 27/1-10/2, rubrica di approfondimento giunta alla sua "quarta edizione" vuole interrogarsi sul senso, le potenzialità e i rischi dell'insistenza sulla memoria nello scenario pubblico. La sua prorompente ascesa, infatti, si è accompagnata alla parallela scomparsa o alla riduzione dello spazio delegato alla Storia, come analisi critica del passato. Memory consiste nel mostrare come le “tessere” della memoria – i ricordi – non coincidano mai perfettamente tra loro.
* foto prese da internet