di Alfiero Grandi L’esame del ddl Calderoli sta entrando in una nuova e preoccupante fase. Infatti la maggioranza, pur se vive una difficoltà messa in evidenza dagli emendamenti che propone di introdurre, sta raggiungendo un accordo politico al suo interno che fa presagire il peggio sul risultato finale. Gli emendamenti di settori decisivi della maggioranza al testo riguardano problemi di rango costituzionale,
ma un conto è che entrino a far parte del testo degli articoli 116 e 117 della Costituzione (non a caso al centro di proposte di modifica del comitato promotore della Lip contro l’autonomia differenziata), altro è che entrino nel testo di una legge ordinaria, che a sua volta può essere modificata da leggi successive come quelle che, secondo la proposta di Calderoli, dovrebbero recepire le intese tra Governo e Regioni. Diritti fondamentali e Lep Il tema centrale sono i diritti sociali fondamentali come istruzione e salute, che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, espressione che infatti è stata ripresa da Cassese in Senato in un’audizione sui Livelli essenziali delle prestazioni. Ma è esattamente questa la ragione delle dimissioni di Amato, Bassanini ed altri dalla Commissione sui Lep quando si sono resi conto che questo criterio costituzionale fondamentale non sarebbe stato rispettato. Si potrebbe aggiungere che questo era chiaro fin dall’inizio, ma in ogni caso è importante denunciare come, con la proposta di autonomia differenziata, l’Italia vedrebbe cristallizzate le differenze attualmente esistenti tra le Regioni del Nord e quelle del Sud (e anche all’interno delle singole Regioni), che ad esempio nel campo della sanità hanno fatto crescere strutture di cura al centro nord, ingranditesi grazie cosiddetto fenomeno dei “trasferimenti sanitari”. Definire questa proposta come “secessione dei ricchi”, dunque, non è affatto infondato. Le Regioni più ricche, infatti, possono contare già oggi su maggiori risorse di partenza, a cui si aggiungeranno quelle derivanti dal trasferimento di poteri e funzioni dallo Stato richiesto, anche se con ampiezze diverse tra loro, da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Un brusco passo indietro L’Italia, quindi, oltre a compromettere diritti costituzionali, rischia di creare una confusione/sovrapposizione istituzionale che renderebbe più difficile l’attività delle aziende, la gestione dell’ambiente e del territorio, e finirebbe con il contraddire importanti regole europee: un salto indietro di decenni, e forse anche di più. Dal canto loro, le Regioni più deboli resterebbero intrappolate nelle loro difficoltà, anziché avere un percorso di recupero delle differenze che richiederebbe risorse importanti calcolate tra 60 e 100 miliardi. Per questo la nostra Costituzione prevede un regionalismo solidale con indispensabili risorse per il riequilibrio territoriale, ma di queste non c’è traccia nel ddl Calderoli, nel quale invece è scritto che l’autonomia differenziata non debba comportare ulteriori oneri per lo Stato. Quindi, se andasse in porto la proposta, chi ha più difficoltà se le dovrebbe tenere, mentre chi ha posizioni di maggiore forza potrebbe puntare sul fai da te. L’illusione di queste Regioni è di compensare gli arretramenti che negli ultimi anni hanno avuto nella graduatoria delle regioni europee, abbandonando il Sud al suo destino. Insomma, lasciare il Sud per salvare sé stessi: una linea folle che porterebbe l’Italia a perdere ruolo in Europa e a regredire tutti, perché il Mezzogiorno deve essere, al contrario, un importante volano di sviluppo per tutta l’Italia. Purtroppo la maggioranza sta chiudendo l’accordo al suo interno perché il ddl Calderoli è legato a doppio filo al premierato, che porta con sé il principio di una legge elettorale maggioritaria scritta addirittura in Costituzione, che avrebbe come esito un Parlamento definitivamente ridotto a ratificare quanto deciso dal Governo. Si tratta di un attacco di fondo alla nostra democrazia. Eppure, ci sono esponenti teoricamente dell’opposizione come la senatrice Gelmini, oggi in Azione, che ha presentato un emendamento guarda caso accolto dalla maggioranza che inserisce nell’articolo 3 un elenco di quindici materie oggetto di possibile devoluzione alle Regioni, tra cui spicca per gravità l’istruzione. Per questo occorre insistere perchè la proposta di legge costituzionale contro l’autonomia differenziata si discussa dal Senato prima di continuare la discussione sul ddl Calderoli. D’altronde, ci sono proposte simili di iniziativa parlamentare che giustificano ancora di più la richiesta di sciogliere, preliminarmente alla discussione della legge Calderoli, i nodi costituzionali. Del resto il regolamento del Senato “protegge” le iniziative di legge popolare e quindi è un obiettivo possibile. Verso il 7 ottobre È evidente come, di fronte al tentativo della maggioranza di ricompattarsi su obiettivi istituzionali (tanto più a fronte della pochezza degli interventi economici e sociali del Governo), occorre fare crescere con forza ed intensità un movimento di contrasto di massa sull’autonomia differenziata e la manifestazione del 7 ottobre deve assumere una posizione forte e decisa. Si tratta di una manifestazione importante, che deve riuscire bene e dare messaggi forti. Può, infatti, aiutare a rafforzare un’iniziativa che dovrà continuare anche dopo. La diversità di sensibilità politiche e sociali non devono essere un ostacolo a concentrare l’iniziativa su obiettivi comuni sull’autonomia differenziata, che rischia di creare una grave frattura nei diritti dei cittadini e di portare l’Italia indietro di molti decenni, inseguendo il miraggio degli staterelli preunitari. FONTE: https://www.strisciarossa.it/nuovo-accordo-della-maggioranza-sullautonomia-differenziata-i-diritti-dei-cittadini-sono-sempre-piu-a-rischio/