Politica estera e di sicurezza comune, Gestione solidale delle migrazioni, Italiani nel mondo Relazione introduttiva di Luciano Vecchi, responsabile PD per gli Italiani nel Mondo Oggi avviamo un percorso programmatico verso le prossime elezioni europee. Non partiamo da zero, anche per quanto riguarda le questioni relative ai cittadini DELL’UE che vivono in un Paese diverso da quello di cui si è cittadini.

Vi sono un grande lavoro compiuto nel Parlamento europeo, il nostro posizionamento in Italia e la forza e le esperienze di oltre 2 milioni di cittadini italiani che vivono nei Paesi UE. In questo percorso le reti di PD, associazioni e sindacati devono giocare un ruolo importante. Io mi limiterò ad alcune considerazioni di quadro perché, ovviamente, abbiamo degli elementi di eterogeneità nei temi in discussione, ma credo ci sia un filo che vada ripreso. Perché quando noi parliamo di politica estera dell'Unione Europea, di ruolo dell'Unione nel mondo - quando parliamo di gestione dei fenomeni migratori esterni e quando parliamo di tutti quegli aspetti che riguardano la cittadinanza europea - in qualche modo e in maniera particolare quella vissuta dai milioni di persone che vivono in un paese diverso dal proprio - ancorché tutti i cittadini comunitari, stiamo parlando di temi che riguardano la qualità del processo di integrazione e che riguardano anche quale investimento sul futuro per quali società noi riusciamo a mettere in campo attraverso politiche, attraverso strumenti, attraverso norme che sono adottate dall'Unione Europea o che in conseguenza della legislazione Europea devono essere adottate dalle legislazioni nazionali. Quindi non voglio parlare in generale di italiani all'estero, ma sottolineo un fatto di cui andare orgogliosi: noi siamo non soltanto l'unico partito italiano che è presente non con propri fiduciari ma con una propria base all'estero con più di 100 circoli, 5000 iscritti, con un radicamento territoriale, con rapporti col sistema delle associazioni e delle rappresentanze senza eguali. Un Partito che svolge un ruolo essenziale di servizio alle Comunità italiane, presente nel sistema di rappresentanza (Comites e CGIE), ampiamente integrato nelle strutture dei Partiti della famiglia socialista e democratica (almeno in Europa), e significativamente rappresentato in tutti gli organi dirigenti del PD nazionale. Un partito che in qualche modo non fa l'operazione che altri fanno, cioè quella semplicemente di nominare fiduciari per cercare poi al momento dovuto di avere qualche voto alle elezioni. Noi cerchiamo di fare esattamente il percorso opposto, cioè partire dalle diverse soggettività degli italiani, che sono molto diverse tra di loro nel mondo ed in Europa, per rafforzare gli elementi di cittadinanza in quanto italiani, in quanto residenti in un altro paese, in quanto cittadini europei. Insomma diritti e opportunità nel quadro oggi di una grande mancanza di visione dell' establishment del nostro paese sul fatto che coloro che vivono anche al di fuori dei confini nazionali devono essere considerati come una risorsa per il paese. Un ultimo elemento da questo punto di vista - e lo dico perché è un dato politico: noi ci saremmo aspettati che, una volta al governo, un partito come Fratelli d'Italia - erede di partiti che hanno visto persone come Mirco Tremaglia dedicare, anche se in maniera diversa dalla nostra, un interesse alle comunità italiane nel mondo - rilanciasse l’azione. In realtà stiamo assistendo esattamente al contrario; i nostri parlamentari presenti lo possono testimoniare. È in atto lo smantellamento di una parte importante delle politiche e degli strumenti rivolti alle nostre comunità all'estero. La ragione è molto semplice e si rifà alla comunicazione precedente: era facile parlare di orgoglio dell'immigrazione italiana quando l'Italia non era un paese di immigrazione. Quando diventa un paese di immigrazione e si costruisce una comunicazione e un'identità politica sulla paura e sul contrasto alle migrazioni, è evidente che il tema degli italiani all'estero - che sono molti di più rispetto agli stranieri in Italia - diventa come dire un tema quasi tabù e sparisce dall'agenda. Per questo, anche in queste settimane, siamo impegnati in Parlamento in battaglie per salvaguardare gli interessi degli oltre 6 milioni di cittadini italiani che vivono all’estero. Il Governo Meloni sta attaccando rappresentanza, promozione di lingue e cultura italiane, Incentivi per il rientro in Italia e non risponde alle richieste di un potenziamento della rete consolare. La nostra convinzione è che, ovunque, servono norme e politiche attive per concretizzare i diritti di cittadinanza, sia in Italia che nell’Unione europea, sviluppare e tutelare i diritti, promuovere opportunità e e destinare risorse per politiche di promozione delle persone. Dato il breve tempo a disposizione mi limito ad affrontare alcune questioni che riguardano la migrazione interna (e soprattutto italiana) nell’Unione europea. Il tema dei diritti dei migranti europei riguarda ancora e sempre più gli italiani e deve tornare ad essere tema centrale per l’affermazione dei diritti di cittadinanza. In ciò ci aiuta, come da molti anni a questa parte, il Rapporto della Fondazione Migrantes, la cui diciottesima edizione, presentata poche settimane fa, compone la realtà degli emigranti italiani tra attualità e storia. In poco meno do venti anni gli italiani che vivono all’estero sono raddoppiati, da 3 a oltre 6 milioni. Oggi a partire sono per lo più giovani, dai 28 ai 34 anni. Sono, certamente, poveri e precari, disoccupati o sottooccupati, donne e uomini in difficoltà. Ma un quarto sono ricercatori e laureati. Vi è qui la fotografia del disagio giovanile e femminile che cerca altrove opportunità e tutele. È l’unica “parte” di Italia che cresce demograficamente e che fa più figli. Per i tre quarti si dirige in un altro Paese europeo e per metà resta all’interno dell’Unione. Il resto va in Paesi con uno “status europeo “ particolare, come Svizzera e Regno Unito. Il tema di una più forte è rinnovata cittadinanza europea è quindi cruciale. Lo ha sottolineato recentemente anche il Cardinale Zuppi, Presidente della CEI, rilanciando l’idea di un “passaporto europeo “ che facciamo nostra. Drammaticamente significativo che a ciò l’unica risposta del Governo Meloni sia quella di introdurre o inasprire sanzioni e ammende per chi si trova nel mezzo di percorsi di emigrazione fragile e circolare. Quando parliamo di “migranti” italiani e nell’UE, a quanti ci riferiamo? Ecco i numeri Gli Italiani che ufficialmente risiedono all’estero sono 6,5 milioni nel mondo, di cui il 55% in Europa (36 % UE e 18% in Svizzera e Regno Unito). Nel 2022 vi sono state 82.000 partenze (solo iscrizioni AIRE), di cui in Europa il 75,3% (UE poco meno del 50% e Svizzera e UK 25,7 %). Partono oggi soprattutto dal nord Italia Un quarto sono laureati e ricercatori Soprattutto tra i 28 e 34 anni. Nell’Unione Europea, nel 2021, (UE a 27) vi erano 447,3 milioni di abitanti . Tra questi 37,5 milioni di “stranieri “ e, complessivamente, 55,4 milioni nati in un Paese estero (12,4 %) Di cui 42% comunitari (oltre 15 milioni). In maggioranza comunque europei ( con ucraini e Balcanici occidentali). In maniera generale possiamo dire che, oggi, i movimenti migratori intracomunitari hanno caratteri diversi rispetto al passato. Sono sempre più circolari e discontinui. Mentre in altre epoche le appartenenze comunitarie (territoriali, sociali, religiose o politiche) fornivano qualche rete di protezione o di solidarietà, oggi gli spostamenti sono essenzialmente individuali, spesso caratterizzati da solitudine, pur in un mondo, iperconnesso, nell’affrontare nuove sfide. Se parliamo di migrazioni interne all’Unione dobbiamo affermare che nell’UE si sono raggiunti risultati importanti . Ma la Brexit dimostra che essi sono reversibili e che, anzi, si può concentrare sugli stranieri, anche se comun8tari, il rancore sociale. Rivendichiamo i risultati che hanno al centro due elementi portanti della costruzione europea: la libertà di circolazione e il principio di non discriminazione . D’altronde è grazie a battaglie progressiste ed europeiste che lo stesso concetto di libera circolazione delle persone si è profondamente evoluto rispetto alle origini. Le prime disposizioni del Trattato del 1957 prevedevano solo la libera circolazione dei lavoratori e la libertà di stabilimento e quindi si riferivano a persone intese come lavoratori dipendenti o prestatori di servizi. Era comunque già un grande passo in avanti rispetto alla totale assenza di diritti precedente, che aveva drammaticamente caratterizzato l’emigrazione (soprattutto quella italiana) degli anni e dei decenni precedenti. All’inizio degli anni ’90, il Trattato di Maastricht ha introdotto il concetto di cittadinanza dell’Unione, di cui ogni cittadino di un Paese appartenente all’UE beneficia automaticamente. La cittadinanza dell’UE afferma il diritto delle persone di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Il Trattato di Lisbona, all’inizio del XXI secolo, ha confermato tale diritto, che è peraltro anche parte integrante delle “Disposizioni generali riguardanti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia “. A seguito di ciò, venne adottata nel 2004, la Direttiva relativa al diritto dei cittadini dell’UE e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Tale direttiva – in sé positiva – è tuttavia oggetto di problemi e controversie e ha evidenziato carenze nell’attuazione ed ostacoli alla libera circolazione. Numerose sono le criticità nell’applicazione della Direttiva, così come innumerevoli sono le cause presso la Corte di Giustizia UE e le stesse petizioni al Parlamento europeo. Addirittura, nel 2013-2014, alcuni Governi – su iniziativa di quello britannico – sollevarlo critiche su un presunto abuso delle norme sulla libera circolazione ed evicando addirittura forme di “turismo sociale”. Se l’uscita dall’Unione del Regno Unito ha depotenziato tale offensiva (il cui senso ha comunque ampiamente contribuito alla Brexit), resta tuttavia evidente come le norme di libertà siano sempre sotto la minaccia delle forze conservatrici e sovraniste. La circolarità delle migrazioni cambia, almeno in parte, il quadro complessivo. In in mercato del lavoro spezzettato diventano fondamentali la portabilità dei diritti, l’integrazione dei sistemi di sicurezza e di previdenza sociale, la certezza dei diritti di cittadinanza. Sono sempre di meno coloro che si stabiliscono stabilmente in un paese per fare sempre lo stesso lavoro: l'operaio alla Volkswagen o cose di questo tipo, mentre sono sempre di più le persone che invece passano periodi più o meno limitati in uno o più paesi magari rientrando in Italia e poi tornando fuori. Allora questo produce aspetti relativamente nuovi o quantitativamente nuovi che hanno bisogno di risposte politiche: pensiamo per esempio al tema della possibilità di fruire di una pensione alla fine della propria carriera, quando per esempio si vive una parte della vita in un paese come la Svezia, dove il sistema previdenziale è bellissimo ma è incompatibile con quello della maggior parte dei paesi europei. Oppure quando per esempio si sta in un paese per un periodo inferiore al minimo per cui quel paese ti riconosce la validità dei contributi previdenziali. Pensiamo al grande tema - nonostante numerose direttive europee, nonostante il cosiddetto processo di Bologna, che portò a una convergenza dei sistemi di istruzione - del non riconoscimento dei titoli di studio e delle attività e delle abilitazioni professionali. Questo riguarda l'Italia più di altri paesi ed è ancora adesso oggetto di problemi, di lungaggine e spesso di difficoltà ad avere riconosciuti i propri diritti. Propongo una lista non esaustiva delle questioni da affrontare, anche coi partiti del PSE e con le organizzazioni sociali: • Sistemi previdenziali diversi e talvolta non integrabili (ad esempio Svezia) • Stagionalità, precarietà (irregolari, periodi minimi di contribuzione, ecc) • Doppia imposizione fiscale • Titoli di studio, attestati professionali e di abilitazione, specializzazioni • Smart working transnazionale • Espulsioni dei cittadini comunitari a carico “eccessivo “ dei sistemi di protezione sociale • Accesso alle cittadinanza nazionali in condizioni di reciprocità • Accesso si servizi sanitari • Dumping fiscale Sono importanti, per una effettiva fruizione dei diritti, politiche di sostegno attivo (sia nazionali che dell’Unione) nella formazione, nella tutela legale e sociale, nella conoscenza delle lingue. Un’ultima proposta. Vorremmo che anche i cittadini italiani residenti nei Paesi del Consiglio d’Europa (al di fuori della UE), in particolare quelli che vivono in Svizzera e nel Regno Unito, potessero votare alle prossime elezioni europee. Mi fermo qua. Concludo dicendo che esistono una serie di questioni quindi su cui è importante riuscire ad avere un approccio anche programmatico. In questo la nostra rete in Europa e nel mondo sarà impegnata nei prossimi mesi a costruire, insieme al sistema associativo, un'analisi della realtà per fare in modo di affrontare e possibilmente prevenire problemi che possono nascere dal semplice mutare della situazione. ******