(SA) - Il 15 maggio, come avviene da 78 anni ormai, si celebra l’anniversario di quel lontano 15 maggio 1946 quando Re Umberto II firmò ed emanò lo statuto frutto del lavoro della Consulta Regionale Siciliana composta dai partiti del CLN Sicilia, dai sindacati e dai ceti produttivi. Quella firma rappresentò il certificato di nascita della Regione Sicilia, che nacque prima ancora della Repubblica Italiana
e prima ancora delle altre quattro regioni a statuto speciale che sarebbero nate dopo nonché prima della Costituente che avrebbe elaborato la carta costituzionale sulla quale poggiano le basi della Repubblica Italiana, costituente che recepì lo statuto regionale. Con la firma dello statuto, il Re mise fine sia al Movimento Indipendentista Siciliano (MIS) che voleva l’Isola staccata dalla Penisola come stato indipendente, guidato da Finocchiaro Aprile, sia al movimento che si adoperava perché la Sicilia diventasse la 49^ stella sulla bandiera degli Stati Uniti. Ma l’autonomia non bastò a salvare il granaio dell’impero romano dal dramma dell’emigrazione. Il fallimento della riforma agraria, la vita disumana che si conduceva all’interno delle miniere di zolfo numerose in tutta la Sicilia e specialmente nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna, dove i minatori rischiavano la vita per una paga che non bastava nemmeno ad assicurare il sostentamento delle famiglie, innescarono il grande esodo dalle regioni meridionali verso i paesi del Nord Europa. A caldeggiare questa nuova ondata migratoria che seguiva a quella di fine ottocento diretta verso le Americhe, un contributo determinante venne dato dagli accordi stipulati dal governo italiano. In questo modo si allentavano le prevedibili pressioni sociali e si garantiva un flusso di quelle materie prime che servivano alla ricostruzione dell’Italia che usciva da una guerra distruttiva nonché al rilancio economico delle industrie del Nord. Famoso tra tutti questi accordi restò quello che nel 1946 lo Stato stipulò con il Belgio impegnandosi a fornire 50.000 lavoratori per le miniere, in cambio di forniture di carbone che aumentavano di quantità a seconda del numero di operai che si andava fornendo e la produzione che loro assicuravano alle compagnie mninerarie. L’emigrazione significò anche rimesse in valuta pregiata per l’asfittica bilancia dei pagamenti italiani e significò in qualche modo il rilancio del Sud e quindi della Sicilia, dove le rimesse erano dirette che servirono a rilanciare l’edilizia, le migliorie agrarie, il tenore di vita ma significò anche lo spopolamento di centinaia di comuni con particolare riferimento a quelli della Sicilia interna. Saremmo riduttivi se pensassimo che l’emigrazione fu solo questo. I siciliani e gli italiani emigrati portarono con loro il bagaglio di tradizioni e di abitudini anche alimentari che avevano, rafforzando il carattere di immensa risorsa che quella massa di uomini e donne emigrate rappresentavano per le regioni di provenienza. Nacque una imponente rete associativa con un rinnovato spirito di solidarietà e luogo di incontro, si esportarono anche le tante feste patronali che ancora oggi si celebrano in diverse parti del mondo, prese impulso l’agroalimentare che cambiò anche le usanze culinarie di altri popoli. Una imponente rete associativa nacque anche in Italia e nelle regioni di partenza che si adoperarono con successo a dare vita alle consulte regionali ed a leggi che si occupavano di aiutare lo sviluppo della cultura e delle tradizioni all’estero. Di questa grande risorsa spesso le regioni non si sono sapute avvalere o non hanno fornito ad essa il necessario sostegno. A ricordare e celebrare i milioni di siciliani sparsi per il mondo, oggi ci pensa il Coordinamento delle Associazioni Regionali Siciliane dell’emigrazione (CARSE) costituitosi nel 2008 e che dopo avere presentato diverse volte un disegno di legge per istituzionalizzare la ricorrenza, porta vanti la “Giornata del Siciliano nel Mondo” giunta alla quarta edizione, con lo scopo di ricordare il sacrificio di milioni di siciliani che in giro per il mondo non solo hanno contribuito allo sviluppo di tante nazioni, ma si sono anche imposti nella professione, nella politica, nell’economia, aumentando la potenziale risorsa che potrebbe fornire uno sbocco economico per lo sviluppo dell’Isola e una strada preferenziale per accordi di vario tipo. L’emigrazione di oggi, purtroppo assume carattere diverso perché a fuggire sono professionisti che non trovando opportunità ed apprezzamento nella terra d’origine cercano fortuna all’estero dove sono meglio apprezzati e remunerati. La fuga di questa ulteriore risorsa, oggi mette una pesante ipoteca sul futuro e sulla qualità degli stessi servizi necessari alla popolazione residente. Una ipoteca che dispiega già i suoi effetti negativi nella mancanza di figure apicali nei servizi, di personale sanitario che oggi si ricerca all’estero, nelle difficoltà a canalizzare capitali che potrebbero venire dall’emigrazione ma anche l’immigrazione che fornisce quella manodopera che comincia a mancare. Per fare tutto ciò occorre creare le necessarie condizioni di mobilità e sicurezza, ma soprattutto la volontà di utilizzare le risorse che non mancano, non con interventi episodici come rischia di diventare l’anno del turismo delle radici, ma con interventi definitivi che avviino su una strada senza ritorno lo sviluppo dell’economia, l’utilizzo delle risorse potenziali che la Sicilia ha, emigrazione ed immigrazione comprese. Tutto questo è quello che ci deve ricordare il 15 maggio e la conquista dell’autonomia speciale della quale la Sicilia gode fin dal 1946.
Salvatore Augello