(SA) - Questa settimana Vito ci presenta uno dei prodotti più usati nelle famiglie contadine: i fichi. Molti erano gli usi che si facevano di questo frutto. Esso si trovava in tutte le campagne, vicino alla casa (ruba) a portata di mano.
In alcuni paesi, si trovavano alberi di fichi anche davanti alle abitazioni a dimostrazione del grado di gradimento di questo frutto che non solo veniva usato solo d’estate, ma lo si seccava e veniva utilizzato anche d’inverno. I fichi, non solo si mangiavano secchi, come vrempo più avanti, ma servivano anche per fare dolci ad esempio. Famoso e tornato oggi di moda il “poucciddatu” un dolce che si usa tradizionalmente per Natale e che si confeziona in varie forme. Utilizzando i fichi maturi sbucciati, opportunamente lavorati si riesce ad avere una ottima confettura da spalmare sul pane e così via. Ma vediamo qui di seguito come ce lo presente il nostro ameco Vito marino, che ci descrive anche il processo di essiccazione. (SA) FICU SICCHI - CHIAPPI DI FICU Fino agli anni '40 - '50 si vendeva e si consumava soltanto la frutta di stagione di produzione locale. Allora, solo il pane e la pasta erano considerati alimenti indispensabili, la frutta, la carne ed i dolci erano considerati alimenti voluttuari. La frutta fresca più comunemente consumata era l'uva (anche da mosto), le arance, i fichi, i fichi d'india e le angurie. Molto consumo invece si faceva di frutta secca come mandorle, noci e fichi secchi, che si mangiavano col pane. Per la conservazione dei fichi c'era una procedura tutta particolare: si tagliavano per il lungo con tutta la buccia, si aprivano e si mettevano ad asciugare al sole sulla "cannàra" (graticcio composto di canne accostate e legate ad altre due trasversali con una cordicella fatta di “curina” (palma nana), o su delle tavole di legno (maidda, scannaturi, tavulinu, buffetta). Essi dovevano essere controllati spesso, per paura della pioggia o del vento eccessivo e di sera si dovevano mettere al riparo dalla rugiada della notte; quando erano bene asciutti, si accoppiavano, ben stretti a due a due formando i così detti "chiappi di ficu". La parola “chiappa” non significava coppia ma deriva da acchiappata, accoppiata a due per formarne una; la parola coppia si diceva “cucchia” ( per es. una “cucchia d’agghi” era formata da due trecce d’aglio). Per evitare che "avvirmassiru" (si deteriorassero con la comparsa delle larve), i fichi così preparati si sistemavano assieme a delle foglie d’alloro, dentro "la coffa di li ficu", un contenitore fatto di palma nana intrecciata, quindi si mettevano sotto una pressa (di quelle usate per torchiare l'uva), per diversi giorni. I fichi così pressati, forse per mancanza d'aria all'interno o perché la foglia d’alloro è considerata un ottimo conservante naturale per alimenti, il più delle volte non si guastavano e duravano tutto l'inverno; si otteneva così un alimento a basso costo, ma ad alto contenuto di calorie. VITO MARINO