LA NOCELLARA DEL BELICE
A comprovare l’importanza attribuita sin dall’antichità all’ulivo e all’olio, miti e leggende sono fioriti ovunque a profusione, facendoli diventare simboli di pace, fecondità, giustizia, sapienza, forza, purificazione.
Secondo una antica leggenda greca l’albero dell’ulivo è nato per volontà di Atena, la figlia di Giove, mentre Aristeo, un semidio nomade, figlio di Apollo e di Cirene, provvide a diffondere la cultura della pianta in tutto il bacino del Mediterraneo. Invece, secondo gli ebrei la pianta sarebbe nata in Israele; una vecchia leggenda ebraica narra che quando morì Abramo gli trovarono tra le labbra tre semi, dai quali poi nacquero il cedro, il cipresso e l'ulivo; e non a caso ad annunciare a Noè la fine del diluvio universale fu una colomba con un rametto d’ulivo nel becco. Questa pianta ed il suo olio hanno sempre goduto prestigio presso i Cristiani. Altrettanto sacra è considerata dall'Islam: il Corano la valuta, infatti, albero centrale, simbolo dell'uomo universale, del Profeta. L’ulivo è una pianta arborea sempreverde delle oleacee (olea europea sativa) originaria dell’Asia Minore; è coltivata nel bacino del mediterraneo sin da epoche antichissime. In Italia trova il suo habitat nelle regioni centro – meridionali, in Sicilia, Sardegna ed attorno ai laghi del nord. L'ulivo coltivato (Olea Europaea Sativa) è un albero sempreverde che può raggiungere anche i 20 metri d'altezza; il tronco è spesso contorto, screpolato con parte del tronco vuoto, con la base (ciocco) più espansa che emette facilmente polloni e su cui si formano rigonfiamenti mammellonari (ovoli) derivanti da gemme avventizie. Ritrovamenti preistorici dimostrano l'esistenza del progenitore dell'ulivo in Italia, sin dal periodo terziario, circa un milione di anni fa. Il Siciliano, abituato da millenni alla coltivazione del grano, quando all’inizio del 1800 si incominciò la coltivazione dell’ulivo per scopi industriali, ben difficilmente si è adattato alla sua coltura perché richiedevano alcuni anni di attesa, senza raccolto, prima di ottenere un prodotto accettabile. Tuttavia, agli inizi del 1800 nel territorio di Castelvetrano, un quarto della superficie agraria era già coltivata a vigneti ed oliveti. Con la legge Corleo del 10 agosto 1862 con la censuazione dei beni rurali ecclesiastici, 1.318 ettari di fondi nel territorio di Castelvetrano, coltivati a grano, furono acquistati da 148 enfiteuti, tutti appartenenti ad un medio ceto borghese, come la famiglia Saporito, che trasformarono questi terreni in culture specializzate come uliveti e vigneti. Già alla fine dell’800 Castelvetrano era epicentro produttivo olivicolo con nove frantoi d’olio e 72 lavoranti. Nel Meridione e Isole si ottengono generalmente oli più densi, con sapori più mandorlati e pastosi; in Sicilia si coltivano diverse varietà di olive: “bianculidda, calamignara, carbucia, cirasola, giarraffa, nuciddara, passulunara, ugghiara”. In provincia di Trapani, prevalentemente nel triangolo compreso tra Castelvetrano, Partanna e Campobello di Mazara si produce la “Nocellara del Belìce”, un'oliva da mensa particolarmente grossa e gustosa, che dà un olio più corposo. L’olio extra vergine, considerato tale perché estratto dalle olive ancora verdi o appena mature raccolte con il sistema per sfilatura, manca di acidità ed è ottimo anche per la nostra salute, essendo ricco di grassi insaturi e polinsaturi, che combattono il colesterolo. L’olio extra vergine della “Nocellara del Belìce” oltre a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione ed effetti correlati come l’ictus contiene un principio attivo, che si chiama idrossitirolo, che grazie ai ricercatori probabilmente verrà sfruttato nella lotta contro il cancro al seno nelle donne in pre-menopausa. La sostanza è stata recentemente esaminata al Houston Methodist Cancer Center (Stati Uniti) al fine di comprenderne l’eventuale effetto positivo sulla densità del seno in seguito a un anno di trattamento. Se lo stemma di Castelvetrano è una palma, con la l’insegna “Palmosa Civitas”, oggi la città è considerata ufficialmente “la città degli ulivi”. L’uso dell’olio d’oliva nelle nostre mense ha delle tradizioni antichissime. La stessa cosa dicasi per il suo uso nella saponificazione. A Castelvetrano fino agli anni 50 circa esisteva un saponificio artigianale (Sapienza), una raffineria (SAICA) ed una fabbrica per l’estrazione dell’olio dalla sansa (SPERO). Queste fabbriche artigianali usavano come materie prime oli guasti, “muria” (morchia) e “nozzulu” (sansa). La morchia è “la risirenza”, cioè il residuo pastoso e nerastro che si deposita dopo la decantazione naturale dell’olio nei serbatoi di conservazione: giare di terracotta, “stagnuna” (serbatoi di lamiera stagnata), serbatoi di acciaio. L'olivo è attaccato da molte malattie parassitarie dannose di origine animale come la mosca olearia (Dacus oleae), la tignola, la cocciniglia o di origine vegetale (funghi), come la brusca, la lebbra, l'occhio di pavone, la rogna o tubercolosi o dal batterio Xylella Fastidiosa, che recentemente ha fatto strage di ulivi in Puglia. VITO MARINO