Il personale Alitalia, è parecchi giorni che manifesta per la riduzione dei voli da Palermo e Catania, mentre con noscalance, la CAI annunziava la chiusura totale dei collegamenti Alitalia Paleremo Roma, che dovrebbero essere assicurati solo da Aier One e la riduzione di quelli Catania Roma. Un bel risultato davvero, se si considera che in questo modo, diventa sempre più difficile per i Siciliani raggiungere la capitale, ma diventa anche più problematico governare i flussi turistici dalla capitale, o in arrivo dall’estero ed in transito dalla capitale. Alla fine, senza dare nell’occhio, resta in piedi la causa prima del fallimento Alitalia: l’aeroporto di Malpensa, che continuerà a pesare nella gestione e che intanto, lascia ai contribuenti ital,iana una bella fetta di debiti da pagare. Passerà sotto silenzio anche la scelta del partner estero, che a questo punto, quasi sicuramente sarà Lufthansa, che ha già costituito la Lufthansa Italia, che non fa mistero del fatto di puntare su malpensa, non solo a scapito della Sicilia e dei suoi aeroporti, ma anche a discapito dell’aeroporto di Fiumicino, che ne uscirebbe ridimensionato, anche se si dice che se ne vuole fare u aeroporto proiettato verso il traffico del Mediterraneo. Un eufemismo per dire che Fiumicino verrà privato di parecchi voli intercontinentali e conserverà voli europei e verso i paesi dell’aera mediterranea. Passa in toto, la linea di Berlusconi concordata con la Lega, che ora si spiega perché non ha più parlato né di Alitalia né di partner estero, né tanto meno della nuova compagnia CAI, che nasceva già con il proposito di accontentare le mire nordiste della lega. Quindi, a pagare con questo governo, è ancora il meridione e in maniera predominante la Sicilia, che in questo modo di allontana sensibilmente dal continente. Che ne sarà dell’aeroporto di Palermo? E di quello di Catania? Sembra davvero paradossale, che mentre si accendevano le liti e le polemiche per capire se partivano o no gli aeroporti di Comiso e di Trapani, per vedere se nasceva o no l’aeroporto ad Agrigento, oppure se era il caso di fare un aeroporto centrale ad esempio in provincia di Enna, per sopperire alle lacune di quello di Catania, quando il vulcano ne causa la chiusura forzata, c’era che programmava il ridimensionamento dei due poli di Catania e Palermo, dove ogni anni atterrano 8 – 10 milioni di passeggeri. Che ne dice il governo Lombardo di questo progressivo isolamento della Sicilia, di questo inesorabile allontanamento dell’Isola dal continente? Si parla di ponte sullo stretto e poi si riducono i treni che portano al nordi. Eliminato da tempo l’Agrigento Torino, eliminato pure l’Agrigento Roma, resta solo l’Agrigento Milano, che non cammina nemmeno tutti i giorni. All’interno, intanto, vengono progressiva tagliate tratti di ferrovia, mentre i vecchi tracciati delle ferrovie, quando parecchi paesi erano serviti da questo mezzo di collegamento, sono diventati cimiteri di archeologia industriale, popolati di scheletri del passato, di stazioni lasciate sole ed incustodite, di case sventrate, di magazzini, depositi, officine abbandonate, che quando ti trovi a pigliare ad esempio il treno che va da Caltanissetta a Palermo, ti si stringe il cuore, tanti sono gli scheletri che testimoniano la travagliata storia delle ferrovie siciliane. Il paradosso dei governi centrali vuole, che mentre si parla che in un futuro molto prossimo, la distanza tra Roma e Milano sarà coperta in poco meno di tre ore, Caltanissetta Palermo, che dista appena 130 chilometri, si percorre ancora in due ore ed un quarto, quando va bene e tutto è in orario. Oppure, mentre si parla di sviluppare l’altra velocità al nord, perché dobbiamo avvicinarci all’Europa, disegno certamente legittimo, per coprire il tratto Catania Agrigento, ci vogliono ancora quattro ore. Altro che avvicinarci all’Europa, qua ci stanno portando ad allontanaci anche dall’Africa oltre che dal continente europeo. Si continuano a fare passi indietro, nella indifferenza più grande sia del governo di Palermo, che del manipolo di deputati e senatori che eletti in Sicilia, siedono nei parlamenti romani, non si capisce a rappresentare gli interessi di chi e di che cosa. E si che abbiamo il presidente del Senato, ministri, sottosegretari, presidenti di commissioni. Ma forse, una volta arrivati a Roma, anche loro si allontanano dall’Isola e la dimenticano, per lasciarsi coinvolgere nelle vicende dei palazzi romani.ù Tanto non hanno da dare conto nemmeno agli elettori, perché, avendo eliminato la preferenza, ci troviamo oggi davanti a dei parlamenti di nomina, che invece di dare conto all’elettorato, debbono dare contro al “Dominus†che li ha nominati e li ha portati a Roma per essere funzionali al proprio disegno di gestione del potere e della cosa pubblica. E’ forse troppo chiedere che i siciliani sappiano fare gli interessi della loro terra? E’ forse troppo pretendere standard di civiltà e di progresso, che siano uguali a quelli di altre parti più fortunate dell’Italia?