(Salvatore Augello) - Sabato, abbiamo voluto dedicare sia la prima pagina che le brevi dal mondo, alla giornata di manifestazione a favore della libertà di stampa e contro ogni tipo di censura, indetta dalla federazione Nazionale Italiana della Stampa (FNSI), non perché abbiamo voluto sottovalutare la sciagura che ha colpito le popolazioni del messinese,

ma semplicemente perché abbiamo voluto dare impulso alla battaglia per la libertà e la democrazia che la stampa stava conducendo e conduce in Italia. Oggi, invece, la nostra attenzione è rivolta tutta alle popolazioni colpite dall’alluvione, che hanno pagato a caro prezzo una politica scellerata incurante dell’ambiente, dove l’abisivismo esasperato la fa da padrone, assieme alla cronica distrazione della politica, che non sa assumersi le proprie responsabilità. Ora, la procura di Messina ha aperto un’inchiesta per disastro colposo contro ignoti, per indagare su un disastro che non è spuntato improvvisamente, ma che è maturato negli anni, attraverso un politica dell’ambiete e di salvaguardia del territorio, che a volere essere clementi, è stata del tutto assente. Il paradosso sta anche nel fatto, che l’inchiesta viene promossa contro ignori, quando ai responsabilità si potrebbe benissimo dare quei nomi che sono sulla bocca di tutti. Già, il dissesto che ha provocato la catastrofe, infatti, è figlio dei molti incendi dolosi che hanno incendiato i boschi delle montagne circostanti, che oggi, prive di sostegno e delle radici degli stessi alberi bruciati, franano a valle. Responsabile prima, quindi, la mancanza di rispetto dell’ambiente, deturpato pur di fare spazio a costruzioni abusive che in seguito andavano ad aggravare l’equilibrio idrogeologico, per altro già precario. Che fosse precario e pericoloso, lo si era vista nel 2007, quando si ebbe un disastro analogo a quello di oggi, che per fortuna non causo morti, un avviso completamente ignorato di cui oggi, in presenza di 24 morti e 35 - 40 dispersi, in presenza di circa 500 sfollati, si torna a parlare, cercando responsabilità. Le responsabilità ci sono, perché un numero cosi elevato di fabbricati non nasce per incanto e non nasce solo per volontà del costruttore, spesso abusivo, ma nasce per la responsabilità di chi non si è accorto che le costruzioni crescevano come funghi, che invece di rimboschire la montagna, agli alberi venivano sostituite case di ogni forma e dimensione. Che dire poi, delle case costruire letteralmente sul letto del fiume? Anche queste nin sono state viste da nessuno e non hanno responsabili? C’è invece una catena di responsabilità intimamente legate tra di loro, che oggi dovrebbero finalmente essere messe a nudo, non aprendo un’inchiesta contro ignoti, ma facendo nome e cognome. Dov’erano, infatti, i sindaci, quando crescevano le costruzioni abusive e se non erano abusive, chi formava le concessioni edilizie? Sulla base di quali garanzie di quali studi geologici sul territorio sono state concesse? Chi ha sanato quel tipo di abusivismo che da illegale diventa legale, attingendo ad una politica larga di maniche, che pur di non mettere in discussione un pugno di voti, chiude non un occhio, ma tutti e due e per sovrappiù, poi si inventa i meccanismi di sanatoria? Chi ha costruito, non ha nessuna responsabilità? Sia esso costruttore che specula o privato che costruisce la propria casa, è certo che ha creato tutte le premesse di questo immane disastro. Oggi si piangono i morti, si recrimina sui mancati interventi, ci si interroga se il disastro poteva essere evitato ed il risultato rischia di essere un pugno di mosche, dopo una lunga indagine che alla fine potrebbe chiudersi senza colpevoli. Triste destino quello dell’Italia e della Sicilia. A monte mancano i controlli, quando poi succedono le disgrazie come l’Abruzzo e Messina, per citare le ultime, ci rendiamo conto che sono mancate i più elementari controlli che avrebbero potuto evitare il peggio. In Abruzzo si scopre che nelle costruzioni mancava il cemento e mancavano gli accorgimenti antisismici, a Messina ci accorgiamo che sono mancati interventi necessari evidenziati dalle frequenti frane di cui la zona era stata colpita in precedenza, così come, ci accorgiamo che l’ospedale di Agrigento è stato costruito con cemento depotenziato e tanti altre costruzioni ed opere pubbliche hanno seguito la stessa prassi, senza che nessuno sia mai andato in galera o abbia politicamente pagato. Intanto continua l’isolamento della Sicilia non tanto dal resto dell’Italia, ma tra zone e paesi della stessa Isola, vuoi perché mancano le strade, vuoi perché la ferrovia è ridotta ai minimi termini, vuoi perché l’ambiente che dovrebbero essere fonte di ricchezza e di sviluppo per la nostra terra, viene tiranneggiato e bistrattato da tutte le parti. Altro che di ponte sullo stretto ha bisogno la Sicilia, oggi come ieri, continuano a servire strade, ferrovie, infrastrutture civili, acquedotti e dopo, molto dopo, orse potremo pensare al ponte. Dopo, quando anche la Sicilia sarà portata allo stesso livello di civiltà e di qualità della vita di altre regioni d’Italia, colmando un vuoto indegno per una nazione di antiche tradizioni e di antica storia come l’Italia.