Come la deputata del PD Laura Garavini, eletta in Germania, Paese in cui l’esperienza delle Sonderschulen, ovvero le classi differenziali, ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza. "L’attuale maggioranza è riuscita ad imporre in Parlamento il decreto sulle classi differenziali, adducendo come motivazione il fatto che queste classi servano ad integrare i bambini di cittadinanza straniera, i quali, arrivando in Italia e non disponendo di sufficienti competenze linguistiche, in qualche modo verrebbero agevolati e sostenuti nel successo scolastico e quindi nella loro integrazione". Per la Garavini non c’è nulla di più sbagliato e a dimostrarlo è proprio la realtà che viene presa ad esempio, ovvero quella tedesca, perché "l’esperienza pluridecennale che si è fatta in Germania, dimostra quanto sia vero esattamente il contrario". "Anche in Germania", prosegue la deputata del PD, "i bambini stranieri sono stati mandati nelle scuole differenziali, le Sonderschulen, adducendo le stesse motivazioni" della mozione Cota. Ma "in realtà la nostra comunità italiana all’estero, a distanza di oltre 50 anni di immigrazione in Germania, è la nazionalità che presenta i maggiori livelli di mancata integrazione e di mancati successi scolastici" proprio a causa dell’alto livello di bambini inviati nelle Sonderschulen. E ciò "a differenza di altri bambini di altre nazionalità , ad esempio i turchi, i quali invece sono stati inseriti nelle normali scuole" ed "hanno avuto risultati scolastici, certo, non ideali, però migliori dei nostri". Vale forse qui la pena ricordare i risultati di una ricerca presentata qualche anno fa presso la Facoltà di Sociologia dell’Università La Sapienza di Roma dalla ricercatrice italiana Edith Pichler, allora docente presso l'Istituto di Scienze Sociali della Humboldt Universitaet di Berlino. Era il dicembre del 2004 e secondo lo studio sulla "Immigrazione in Germania. Il caso degli italiani" la comunità italiana in Germania sembrava essere ancora divisa tra integrazione e disagio sociale. Ripercorrendo la storia della nostra emigrazione d'oltralpe, Edith Pichler aveva illustrato la condizione che i nostri connazionali si trovavano ad affrontare allora – e a distanza di soli quattro anni possiamo pensare che poco sia cambiato –, divisi all'interno della dicotomia inclusione/esclusione, in cui Berlino appariva come un'isola felice ed i Länder della Baviera e del Baden-Württemberg come le regioni in cui più basso era il grado di istruzione ed integrazione della nostra comunità e più alto era, di conseguenza, il disagio sociale. Un disagio che parte, non a caso, dall'infanzia ed in particolare dalla scuola. Lo studio di Edith Pichler registrava, infatti, nel 2003/2004 un preoccupante aumento dei ragazzi italiani nelle Sonderschulen (8,7%), ossia le scuole speciali riservate a chi ha difficoltà di apprendimento. Per non parlare del picco del 10,7% registrato nell'anno accademico 1987/1988 in Baviera, che non si discosta di molto nel Baden-Württemberg. Tutte percentuali più alte rispetto, ad esempio, a quelle turca, greca e spagnola e dovute per la maggior parte dei casi alla scarsa conoscenza della lingua tedesca. La Pichler spiegava inoltre che frequentare le Sonderschulen è uno stigma che accompagna i giovani per tutta la loro carriera scolastica e professionale e, dunque, influenza anche l'integrazione sociale ed economica dei futuri adulti, che hanno, poi, molte difficoltà a trovare un posto per l'apprendistato, con conseguente scarsa mobilità e possibilità di guadagno e di carriera. Tutto ciò sembrerebbe avvallare quanto dichiarato da Laura Garavini, per la quale "la nostra esperienza in Germania, dove si è adottato questo strumento, dimostra quanto esso sia sbagliato, perché il bambino viene in realtà isolato dal contesto e penalizzato da questa situazione di completa anomalia", con "effetti estremamente negativi anche per il futuro successo dei bambini nel percorso scolastico". Spiega infatti la deputata che "i deficit che vengono incamerati sin dai primi anni di scuola hanno poi degli effetti disastrosi nell’evoluzione successiva nel percorso di formazione". "E questo", precisa rivolgendosi ai sostenitori dell’iniziativa Costa (vedi aise del 23 ottobre 2008 h.17.58), "non avviene solo a livello teorico o ideologico, ma è testimoniato da quella che purtroppo è l’esperienza della nostra comunità italiana in Germania, che", conclude la Garavini, "continua tuttora a pagare le conseguenze di una politica e di una scuola proprio di questo tipo". (raffaella aronica\aise)