Da dove ripartiamo? Il giorno dopo la sconfitta pesante dei ballottaggi tra elettori, militanti, dirigenti del Pd c’è una grande preoccupazione, smarrimento, angoscia. Leggiamo analisi, commenti, proposte. Tante riflessioni utili, per carità, ma a me sembra che sia venuto il momento di dirci che nessuna ricetta ci può togliere la fatica
di una vera discussione tra di noi. La fatica – salutare – di una discussione sulle ragioni lontane e vicine di una sconfitta talmente grande da mettere in discussione l’esistenza stessa del Pd e della sinistra riformista nel nostro Paese. Prima di decidere se “andare oltre” (e semmai verso dove) possiamo provare ad organizzare questo confronto? Dal 4 Marzo ad oggi si è discusso nei circoli, in qualche sparuto organismo sul territorio, ma non c’è stata una sede di approfondimento e di discussione vera nel gruppo dirigente nazionale. Così in una parte della cosiddetta “base” si sono consolidate letture semplificate, spesso autoconsolatorie, che non ci faranno fare un passo avanti se non interviene uno scatto da parte del gruppo dirigente nazionale del Pd. Togliamo di mezzo almeno tre di queste letture. La prima: è tutta colpa delle divisioni interne, di chi ha contrastato la leadership di Renzi. Sono tra quanti hanno lealmente sostenuto il segretario (per la verità tutti i segretari) e ho considerato una scelta assurda e sbagliata quella di chi ha abbandonato il nostro partito alla vigilia delle elezioni producendo un’ulteriore lacerazione ma non credo proprio sia possibile liquidare così il 18% del 4 Marzo, che arriva in realtà dopo una serie non breve di insuccessi e di difficoltà. Basta leggere i numeri. Dopo lo straordinario risultato delle europee del 2014, infatti, il vento è cambiato rapidamente e abbiamo pervicacemente negato la necessità di capire cosa stesse succedendo nel rapporto tra noi e gli italiani, scambiando lo stesso risultato negativo del referendum per una “quasi vittoria”. La seconda: tutta colpa degli italiani che non hanno capito quante cose buone abbiamo fatto dal governo e si sono lasciati abbindolare da Salvini e Di Maio e dalle loro promesse mirabolanti. Tra tutte, questa è la più pericolosa perché ci impedisce di capire come mai i più deboli, i meno fortunati, i cosiddetti “perdenti della globalizzazione” si sono sentiti abbandonati da noi e si sono gettati tra le braccia della Lega e dei 5S. Poiché credo che questo sia il cuore del problema che dobbiamo affrontare, facendo un esercizio di umiltà e di innovazione del nostro pensiero, davvero questa chiave di lettura – che io ho rappresentato rozzamente ma sento serpeggiare in forme più raffinate – va davvero cancellata. Delete. La terza: è tutta colpa di Renzi, basta togliere di mezzo lui per risollevare le sorti del Pd. Ovviamente non è così. La ricerca di un capro espiatorio è del tutto inadeguata a capire come possiamo uscire da questa crisi profonda, come possiamo riallacciare una relazione positiva con tanti mondi che ci hanno voltato le spalle. Eliminate queste tre “analisi” del voto però ci rimane la fatica che ho detto all’inizio. Serve una scossa. Non possiamo rimanere aggrappati alle corde del ring come un pugile che le sta prendendo. Dobbiamo reagire, vedere certo le difficoltà di tutte le forze progressiste in Europa ma anche gli errori che abbiamo fatto noi, in Italia, in questi ultimi anni. Perché un dato è evidente: dal 41% delle Europee al 18% delle ultime politiche c’è un’occasione mancata, enorme. E questa sì – non me ne vogliano Renzi e i cosiddetti “iperrenziani” – dobbiamo leggerla senza edulcorare le differenze tra di noi. Perché da un’analisi di quello che è successo in questi anni discendono anche le risposte – o meglio la ricerca delle risposte – su ciò che dobbiamo fare ora per ripartire. Lotta alle diseguaglianze, sviluppo sostenibile, ricostruzione di uno spirito di comunità, costruzione di un campo largo progressista e riformatore: banalmente, se abbiamo fatto tutto bene e le colpe sono tutte degli altri, non capisco davvero su cosa possiamo fondare l’opposizione e soprattutto la costruzione di un’alternativa credibile a questo governo che sta facendo danni seri in Italia e in Europa. Prepariamoci ad un Congresso vero, non una conta sui nomi. Domandiamoci dove pensiamo di dover e voler andare, per essere utili a quali pezzi della società italiana. Domandiamoci – come suggeriva ieri Magatti dalle colonne del Corriere – come possiamo noi assumere il tema della “de Baricco ifesa delle nostre comunità” strappando questa bandiera dalle mani dei populisti. Poi – per citare Baricco in una riflessione ancora attualissima di venti anni fa – l’atto creativo della politica ci darà anche la risposta sul “contenitore” e sulla guida di questa fase necessariamente nuova della vita della sinistra e del campo progressista. Ci chiederanno del leader, e noi rispondiamo sui contenuti, sulla trama della storia che vogliamo scrivere aprendo porte e finestre al civismo, all’universo della solidarietà, al mondo dei lavori, alle competenze, agli intellettuali. Sarà faticoso, rischioso, ma anche affascinante uscire dalle nostre ristrette beghe, dal battibecco sui social e tornare a navigare nel mare aperto della società italiana. (Marina Sereni)