di Andrea Vento - Continuano gli effetti distortivi delle politiche di austerità fiscale e restrittive di bilancio. Occorre cambiare rotta per fermare le derive sovraniste e xenofobe e varare un nuovo modello sociale europeo L’Istat ha confermato ad inizio marzo che il prodotto interno lordo italiano è cresciuto nel 2017 dell’1,5%.
Il rapporto deficit/pil si attesta all’1,9% mentre il rapporto debito/Pil dell’Italia è risultato pari al 131,5%, in lieve riduzione rispetto al 132,0% del 2016. L’avanzo primario (la differenza fra entrate ed uscire dello stato al netto degli interessi sul debito) si attesta all’1,9% confermando come lo stato italiano incassi di più rispetto a quanto spenda per il mantenimento della macchina statale, per i servizi alla collettività e per gli investimenti produttivi. Il quadro macroeconomico nazionale tracciato dall’Istat sembra dunque indicarci un miglioramento dei conti dello stato e un consolidamento del la congiuntura economica positiva iniziata nel 2015 dopo la lunga recessione causata dalla crisi economica mondiale esplosa nel 2008, seppur ancora oggi non completamente recuperato, appurato che è lo stesso Istituto Nazionale di Statistica ad indicarci che a fine 2017 eravamo ancora di ben 5,7 punti percentuali al di sotto del livello di ricchezza prodotta nel primo trimestre del 2008, vale a dire prima della deflagrazione della crisi stessa. Tuttavia questi segnali economici incoraggianti contrastano con la situazione sociale che continua mostrare evidenti segnali di sofferenza. Abbiamo avuto già occasione di segnalare nell’autunno del 2017 (https://cambiailmondo.org/2017/12/12/italia-aumentano-la-poverta-e-le-disuguaglianze-nonostante-cresca-la-ricchezza-prodotta/) come nel 2016 le divergenti tendenze in atto nel nostro paese continuavano a registrare da un lato una ripresa economica e dall’altro un aumento della sofferenza sociale a causa soprattutto dell’incremento della povertà e dell’esclusione sociale. Il nuovo report dell’Istat “La povertà in Italia” diffuso dall’Istat il 25 giugno scorso continua a confermare questa pericolosa dicotomia in atto: le politiche di austerità fiscale e restrittive di bilancio imposte agli stati membri dell’eurozona (che peraltro continuano a crescere a un tasso inferiore rispetto agli altri paesi Ue ma con proprie monete nazionali) producono nel lungo periodo effetti positivi solo in termini macreconomici provocando tuttavia pesanti effetti sociali che continuano ad aggravarsi in modo preoccupante. Riportiamo di seguito un breve estratto dal suddetto report che inquadra in modo puntuale la grave crisi sociale che sta attanagliando il nostro paese ormai da un decennio. La povertà in Italia nel 2017[1](https://www.istat.it/it/archivio/217650) “Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui. L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%). Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005. Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208 mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord. L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%). A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%). Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%. Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente). Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016.Si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza raggiunge il 34,5%, con forti differenziazioni sul territorio (29,3% al Centro, 59,6% nel Mezzogiorno).” La situazione che emerge dal report conferma come le politiche economiche imposte ai paesi dell’eurozona siano incapaci non solo di redistribuire la ricchezza prodotta a vantaggio delle classi sociali più deboli ma anche di risolverne i problemi lavorativi ed esistenziali. Le cause di tale insostenibile realtà sono da ricondurre alle politiche neoliberiste che da un lato riducono la pressione fiscale sui redditi più elevati e dall’altra continuano ad imporre tagli allo stato sociale. Risulta evidente che appare sempre urgente una revisione radicale di tali politiche comunitarie ponendo al centro della propria azione obiettivi di natura sociale come la riduzione della disoccupazione, della povertà e della precarizzazione del lavoro (Istat: Precarietà lavorativa – https://www.istat.it/it/archivio/191859). In tal modo non solo potremmo attuare un processo di democratizzazione del percorso di integrazione europea ma eviteremmo anche che le classi popolari, in sofferenza e politicamente disorientate, finiscano per cedere alle pericolose sirene delle forze sovraniste e razziste che hanno fatto dell’avversione all’immigrazione e alle politiche comunitarie il proprio strumento di propaganda politica. Andrea Vento – 28 giugno 2018 – Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati [1] Le stime diffuse in questo report si riferiscono a due distinte misure della povertà: assoluta e relativa, che derivano da due diver