potranno richiedere la corresponsione dell’assegno sociale facendo valere dieci anni di residenza continuativa in Italia in qualunque periodo temporale, anche remoto nel tempo. “Finalmente un risultato positivo – ha commentato il parlamentare – ottenuto grazie al nostro impegno e, per una volta, alla disponibilità , ancorché circoscritta, del Governo di accogliere una nostra richiesta a favore delle collettività italiane all’esteroâ€. Giovedì sera u.s. alla Camera è stato il Sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali, Pasquale Viespoli, a rispondere all’interpellanza presentata ed illustrata in aula dall’On. Bucchino in merito all’art. 20, comma 10, della legge n.133 del 6 agosto 2008, che prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2009 l’assegno sociale, di cui all’art. 3 comma 6 della legge n. 335 del 1995, debba essere corrisposto agli aventi diritto a condizione che i medesimi abbiano soggiornato legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale. La risposta del Sottosegretario Viespoli ha soddisfatto tuttavia solo parzialmente l’On. Bucchino perché se da una parte è stata accolta la richiesta di prendere in considerazione i dieci anni di residenza in qualunque periodo dell’arco vitale degli interessati, dall’altra il Sottosegretario ha ribadito che i dieci anni devono essere “continuativi†e quindi non complessivi. Infatti il Sottosegretario Viespoli ha sottolineato che “Allo stato, per quanto concerne lo specifico punto di interesse evidenziato nell'atto parlamentare, si fa presente che la norma in argomento nulla dispone in ordine al periodo «entro il quale» o «a decorrere dal quale» il requisito dei dieci anni deve essere maturato, non prescrivendo, sostanzialmente, alcun ulteriore limite temporale da accertare oltre ai dieci anni di soggiorno continuativo nel territorio dello Stato, per la corresponsione dell'assegno socialeâ€. Nella illustrazione della sua interpellanza l’On. Bucchino aveva chiesto chiarimenti sulle concrete implicazioni che la nuova normativa sull'assegno sociale avrà sui diritti previdenziali dei lavoratori e, in particolare, dei pensionati italiani emigrati. Pubblichiamo le parti più qualificanti dell’intervento di Bucchino: “Credo che le mie preoccupazioni siano più che legittime a causa della indeterminatezza del provvedimento in questione. Mi spiego meglio. Il nuovo requisito dei dieci anni di soggiorno legale, necessario ai fini del perfezionamento del diritto all'assegno sociale, è stato introdotto con il decreto-legge n. 112 del 2008 per evitare, a mio parere, ma non solo a mio parere, che i cittadini stranieri immigrati in Italia, sulla base della semplice iscrizione anagrafica, possano usufruire della prestazione assistenziale in oggetto, ancorché in presenza, ovviamente, delle condizioni reddituali richieste. Voglio ricordare che l'assegno sociale è una prestazione assistenziale, che prescinde cioè da qualsiasi versamento contributivo, ed è stato introdotto dalla legge n. 335 del 1995. Possono farne richiesta cittadini residenti in Italia, ma anche cittadini della Comunità europea e cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno. L'assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età , non è reversibile, ed è subordinato, ovviamente, a specifici limiti reddituali. In poche parole, è un estremo salvagente per tutti coloro i quali risiedono in Italia, che hanno compiuto 65 anni, ma non hanno redditi sufficienti per soddisfare le più elementari esigenze di vita. Ho già stigmatizzato in aula la mia totale avversione ad un provvedimento restrittivo (appunto il requisito di dieci anni di residenza) che colpisce la fascia di popolazione più debole e diseredata, compresi ovviamente i lavoratori immigrati, i quali potrebbero a causa di questo penalizzante provvedimento trovarsi senza alcun reddito in tarda età , con tutte le conseguenze che si possono immaginare. La nuova norma che, come detto, è stata presumibilmente concepita per limitare il diritto dei cittadini stranieri all'assegno sociale, paradossalmente colpisce però quasi esclusivamente i cittadini extracomunitari e gli italiani residenti all'estero. Ciò perché i cittadini comunitari (francesi, tedeschi e altro), ed i neocomunitari (rumeni e bulgari, ecc.) - questi ultimi il reale obiettivo del provvedimento restrittivo - sono salvaguardati dal regolamento comunitario 1408/1971/CE che include nel suo campo di applicazione oggettivo anche l'assegno sociale e prevede specificamente che l'istituzione di uno Stato membro, la cui legislazione subordina il diritto alle prestazioni non contributive, appunto come l'assegno sociale, al compimento di periodi di occupazione di attività lavorativa autonoma o di residenza, tiene conto, per quanto è necessario, dei periodi di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza compiuti nel territorio di un qualsiasi altro Stato membro, come se si trattasse di periodi compiuti nel territorio del primo Stato membro. Quindi i dieci anni di residenza richiesti dalla nuova normativa potranno essere soddisfatti dai cittadini comunitari, prendendo in considerazione la residenza nel Paese membro di provenienza. Se il requisito dei dieci anni di residenza non potrà perciò applicarsi ai cittadini comunitari per le ragioni su esposte, colpirà invece, lo ripeto, i cittadini extracomunitari e purtroppo anche i cittadini italiani emigrati che sono rientrati o che intendono rientrare in Italia per trascorrere serenamente gli ultimi anni della loro vita, i quali non possono far valere dieci anni di residenza nel nostro Paese immediatamente precedenti il compimento del sessantacinquesimo anno di età o, comunque, in maniera continuativa, come potrebbe intendersi attraverso un'interpretazione restrittiva della nuova norma. Allora, per non discriminare i nostri connazionali è indispensabile un chiarimento che salvaguardi i diritti sociali di coloro i quali siano emigrati in anni remoti nel tempo, ma abbiano comunque risieduto in Italia almeno dieci anni. Con questa interpellanza chiedo, quindi, al sottosegretario di fornire un'interpretazione della legge succitata nel senso che i dieci anni di residenza possono essere fatti valere nell'intero arco vitale degli aventi diritto, affinché sia garantito l'assegno sociale a tutti i cittadini italiani che risiedono permanentemente in Italia, che soddisfino i requisiti anagrafici e reddituali previsti dalla normativa vigente ed i quali abbiano risieduto, anche in tempi remoti, almeno dieci anni in Italia. Auspicando l'accoglimento da parte del Ministero di questa richiesta, voglio infine ricordare che comunque, a causa di questo infelice provvedimento, rimarranno esclusi dalla possibilità di accedere all'assegno sociale, se decidessero di rientrare in Italia, tutti i cittadini italiani emigrati da giovani, in tenera età , i quali non sono in grado, in nessun modo, di far valere i dieci anni di residenza in Italia. Sarebbe, quindi, opportuno riconsiderare la normativa vigente nel rispetto dei requisiti anagrafici e reddituali, dando così accesso all'assegno sociale a tutti i cittadini italiani residenti permanentemente in Italia a prescindere dai vincoli temporali di residenza.â€. Nella sua replica l’On. Bucchino esprimendo parziale soddisfazione ha anche enfatizzato come la nuova norma determinerà tuttavia, a partire dal 1o gennaio 2009, una revoca dell'assegno sociale a tutti gli attuali percettori, compresi i cittadini italiani residenti in Italia, che in quel momento non abbiano ancora maturato i dieci anni di residenza. “Spero che in un immediato futuro – ha concluso Bucchino - si possa correggere questo ultimo piccolo ma importante dettaglioâ€.