E LA PALMA NON POTRÀ PIÙ SALIRE…/5

 Nonostante questa specificità, la Sicilia non è una scheggia impazzita all’interno di un sistema sano. La sua condizione riflette l’andamento generale della situazione italiana. Esiste, infatti, un legame forte fra l’isola e la penisola, di scambio e di reciproca influenza colto a più riprese anche dalla letteratura, soprattutto straniera. Alcuni esempi. Goethe, nel 1787, addirittura sentenziò:

“Senza la Sicilia, l’Italia non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto”. (1) Edmonda Charles Roux, premio Gongourt 1966, forse più realisticamente, ha sottolineato come : “La Sicilia, nel bene e nel male, è l’Italia al superlativo”. (2) Il pensiero della Roux rende di più l’idea di una Sicilia “eccessiva” o, se si vuole, laboratorio-politico, anticipatore delle alleanze politiche nazionali. Leonardo Sciascia intravide una “linea della palma” che dall’Isola sale verso il nord. Una dolente metafora per segnalare il pericolo di un’esportazione del “modello siciliano”verso la penisola. Punti di vista, naturalmente. Per altro, la profezia sciasciana non potrà più avverarsi visto che le palme non potranno più salire. Almeno da Palermo, dove stanno morendo, attaccate da un parassita (il punteruolo rosso) che, come la vendetta di un dio spietato, sta facendo strage dei rigogliosi palmizi, fin dentro il celebre Orto botanico dei borboni. Un regime a sovranità limitata Per queste ed altre ragioni, il solco fra La Sicilia e il Paese si allargato. Il nuovo spazio è stato occupato da un sistema di potere arcaico, familistico, parassitario e mafioso che ha bruciato le migliori risorse e prodotto una classe dirigente consociativa, oscillante fra l’astrattezza politica e il gattopardismo più deteriore. Un sistema opprimente che ha generato un regime a sovranità limitata che ha conculcato i diritti fondamentali dei cittadini, trasformandoli in favori da concedere in cambio di voti e/o di tangenti, e sfumato i doveri dei governanti. E dire che il molto speciale Statuto di autonomia, che fa della Sicilia “una quasi nazione”, avrebbe dovuto garantire all’Isola il massimo dello sviluppo possibile. A differenza di altre regioni autonome, quali la Val d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, la stessa Sardegna, l’Autonomia siciliana non ha prodotto i frutti sperati, ha deluso le attese, ha subito una sorte infelice: in parte non attuata e in parte abusata, stravolta. Alla base di tale distorsione, penso ci sia un equivoco mai chiarito che di tanto in tanto riaffiora: l’autonomia invece di uno strumento di autogoverno e di crescita civile ed economica, è stata concepita come un surrogato del separatismo, per erigere intorno all’Isola un recinto, una sorta d’anello di fuoco, dentro il quale esercitare uno spudorato dominio e bloccare di là del Faro (di Messina) le innovazioni, i cambiamenti provenienti dall’Italia e dall’Europa. Un secolo di migrazioni Di conseguenza, oggi vediamo una regione bloccata nel suo naturale sviluppo, avvilita dal clientelismo, dalla disoccupazione, dal lavoro nero, sfregiata dall’abusivismo edilizio e non solo. Si vive una condizione per molti versi insopportabile, con la quale devono fare i conti i cittadini e gli imprenditori onesti, ossia la stragrande maggioranza della popolazione. In primo luogo, i giovani ai quali resta una sola alternativa: adattarsi o fuggire. Una terza via non è praticabile. Si calcola che, nel quinquennio 2002-07, siano emigrati dall’Isola verso le ricche regioni del nord, almeno 150.000 giovani, in gran parte diplomati e laureati. Ancora emigrazione! Per i siciliani il novecento è stato il secolo dell’emigrazione. Sono partiti a milioni verso le più lontane contrade del mondo e insieme ad altri hanno scritto uno dei capitoli più drammatici della storia universale delle migrazioni. Si sperava che col boom economico italiano l’esodo si sarebbe interrotto. Invece è ripreso, anche se- nel frattempo- la Sicilia è divenuta terra d’approdo e di (mala) accoglienza per centinaia di migliaia d’immigrati provenienti dal sud del mondo. Oggi, con la recessione in atto, non sappiamo cos’altro potrà accadere. (Agostino Spataro Continua / 5)