ANCHE PLATONE SE NE FUGGÌ DELUSO /6 In questo clima di grave incertezza, molti si chiedono dove stia andando la Sicilia. Verso quale approdo, quale futuro? La risposta non è facile, anche se l’interrogativo non è più eludibile. Il futuro è il grande assente nell’immaginario dei siciliani. Un po’ tutti ne avvertono la mancanza: chi parte e chi resta.

Eppure non si chiede un avvenire mirabolante, ma un futuro da normali cittadini europei, una prospettiva migliore di questo opaco presente. Ai siciliani questo futuro è stato negato, rubato perciò preferiscono guardare al passato. Pensano e parlano al passato. Addirittura, nella parlata locale per indicare il futuro si usa il (verbo) presente. Ostentano un orgoglio, talvolta smisurato, per il loro passato visto come una sorta di eternità volta all’indietro nella quale, come nota Pessoa “ciò che passò era sempre meglio”. Ovviamente, questa assenza di futuro non è una devianza grammaticale, ma la spia di un disagio psicologico collettivo che nasce dall’esperienza storica e spinge i siciliani a rifugiarsi in un mondo sepolto, mitizzato, ritenuto, più a torto che a ragione, migliore dell’attuale. C’è chi chiama tutto ciò “pessimismo” inveterato, connaturato. Anche contro Leonardo Sciascia, per il quale la Sicilia era “irredimibile”, fu lanciata questa accusa che lo scrittore respinse con serena fermezza: “Come mi si può accusare di pessimismo se la realtà è pessima?” (3) In realtà, non si tratta di un’inclinazione pessimistica dei siciliani, ma della percezione di un male oscuro che permane nel tempo, fin dagli albori della storia siciliana, già durante la splendida civiltà siculo- greca. Significativa appare, a questo proposito, la “Settima lettera” di Platone (autentica o meno che sia) nella quale il sommo filosofo chiarisce le ragioni che lo spinsero a viaggiare, per ben tre volte e in condizioni drammatiche, da Atene a Siracusa per aiutare il suo discepolo Dione ad insediare in Sicilia la sua “Repubblica”. Tentativi falliti, miseramente. Com’è noto, il filosofo, per salvarsi, fuggì precipitosamente dalla Sicilia, portandosi dietro l’amarezza della delusione patita: “Mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto…” Insomma, anche nei tempi antichi la vita politica siciliana era piuttosto inquinata. Oggi la situazione è mutata, ma temo in peggio. Se Platone ritornasse per la quarta volta nella Trinacria avrebbe ben altro di cui lagnarsi. Cambiare si può, si deve Per concludere. La Sicilia ha un grande bisogno di libertà e di un forte recupero della sua identità culturale e storica che, senza scadere nella velleità indipendentista, per altro dolorosamente sperimentata, ridia ai siciliani il senso della loro storia e quindi la responsabilità di costruire un futuro di progresso nella legalità. Si può fare. Importante è partire, riavviare la ricerca e la cooperazione fra tutte le forze sane dell’Isola che resistono ed attendono un segnale di autentica liberazione. Ma i siciliani desiderano il cambiamento? Talvolta parrebbe di no. Si accetta di vivere, rassegnati, in una società immobile, individualista che tende ad escludere i settori più problematici, compresi i suoi figli ventenni. In realtà, la maggioranza dei siciliani non è contenta di tale condizione, anzi la vive nell’angoscia, come nell’attesa del crollo. C’è una contraddizione latente fra consenso politico e spirito pubblico che nasce dallo scetticismo verso ogni ipotesi di cambiamento, verso un sistema politico, affaristico e consociativo, tale da far della Sicilia una regione “senza governo e senza opposizione” (4). Tuttavia, sperare si può, si deve. Anche attraverso una sorta di autocoscienza collettiva. Tutti devono riflettere sulle condizioni e le sorti future della Sicilia, ripensare le loro azioni. Tutti e di più. Anche i mafiosi, ossia coloro che rappresentano il “male assoluto”. A questa gente, ferme restando le responsabilità penali, bisogna provare a chiedere di riflettere sugli errori e sugli orrori commessi, ponendosi dal punto di vista di chi li ha subiti, per capire il dolore degli altri e cambiare rotta. Soprattutto dovranno meditare e cambiare registro tutti coloro che hanno abusato del potere loro conferito dalla legge e dagli elettori. Alla Sicilia bisogna offrire una nuova chance. Qualcosa si muove sotto la superficie di questo mare cupo e limaccioso. Si agitano insofferenze e fermenti di cambiamento, s’intravede come una linea di riscatto in emersione attorno alla quale aggregare e mobilitare forze e risorse in grado di spezzare il circuito dell’illegalità, per riacquistare il futuro. (Agostino Spataro)

Note:

(1) Johann W. Goethe in “Viaggio in Italia”, Garzanti Editore, 1997

(2) Edmonda Charles Roux, “Oublier Palerme”, ed. Grasset, Paris, 1966

(3) Leonardo Sciascia “La Sicilia come metafora” (intervista di Marcelle Padovani), Arnoldo Mondadori Editore, 1979 (3) A. Spataro in “La Repubblica” del 17/4/2004

Pubblicato nel n. 68 della rivista "Confluences Méditerranéennes", Editions l'Harmattan, Paris, febbraio 2009 la quale gentilmente concede la possibilità di